Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Il Monte dei Greci

a cura di in data 1 Settembre 2020 – 08:19

Veduta del Passo delle Cento Croci e del Passo della Cappelletta dall’Alta Via dei Monti Liguri
(2020) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 23 agosto 2020

L’ALTA VIA
L’Alta Val di Vara è innanzitutto terra di montagna. Una montagna con una natura ancora selvaggia, anche se il rapporto uomo-natura è sempre stato molto intenso. Oggi lo è di meno, e la natura selvaggia sta prendendo sempre più campo. Nei giorni scorsi ero in giro per chiese e per sentieri con l’amico don Sandro Lagomarsini, che ovunque mi diceva: “vedi, là una volta era tutto pascolo o agricoltura, ora è tutto bosco, il paesaggio è cambiato, i panorami non sono più quelli di un tempo”.
E tuttavia, se ci guardiamo attorno, scorgiamo con chiarezza la tipologia degli insediamenti umani, i paesini, i percorsi di crinale o di fondovalle.
Il percorso montuoso attorno a Varese Ligure ha grandi pregi dal punto di vista paesaggistico. Il tratto varesino dell’Alta Via dei Monti Liguri inizia al Passo del Bocco, in territorio in realtà genovese, al confine con il parmense. Da lì si sale al Monte Zatta, la “vera” montagna di Varese Ligure (m. 1.406) Nel corso della storia chi arrivava a Varese Ligure dalla costa per proseguire verso la Pianura Padana (ne ho scritto nell’articolo di domenica scorsa) doveva oltrepassare lo Zatta. La vetta è ancora in provincia di Genova, poi il monte diventa spezzino. Dallo Zatta nasce il fiume Vara, che all’inizio è un piccolo torrente. Si scende a Colla Craiolo, sopra Càssego, e si prende un percorso pressoché pianeggiante, fino al monte Ventarola, dove anni fa presi il secondo più violento acquazzone della mia vita, superato solo da quello che qualche tempo dopo mi impedì di salire al Pico di Sao Tomè nella stagione delle piogge. Ero preoccupatissimo per mio figlio e mio nipote, allora ragazzini, mentre loro si divertivano come non mai… Poi si sale ancora fino al Monte Zuccone (m. 1423), che è nel Parmense. Si scende al Passo delle Cento Croci, si sale al Monte Scassella e infine al Monte Gottero (m. 1639), al confine tra Liguria, Emilia e Toscana, la “vera” montagna di Sesta Godano.

Nelle falde montane più elevate domina la faggeta. Dalle faggete che coprivano i monti circostanti Varese Ligure, per secoli la Repubblica di Genova ricavò il legname necessario a costruire i remi per le galee della sua flotta.
Tutta la dorsale che collega lo Zatta al Gottero si chiama Monte dei Greci: Il toponimo risale all’epoca bizantina, e spiega perché il più antico quartiere di Varese Ligure si chiami Grecino. Su questo percorso, mi ha spiegato don Sandro, si mosse un visitatore vescovile venuto da Genova a ispezionare la Plebs de Varia già nel 1031.
L’Alta Via è un asse davvero importante per la valorizzazione della montagna e un volano per il turismo. Ma vanno potenziate le strutture ricettive e resi percorribili tutti i sentieri di collegamento. Già ora, dallo Zatta, si distacca l’Alta Via delle Cinque Terre, con tappa al Passo della Biscia (si veda l’articolo di due domeniche fa), da cui si va in quota al Passo Brocchieie, per poi proseguire fino a Montemarcello e a Lerici. Ma si può anche salire ai monti Porcile e Verruga, così come scendere a Valletti e da lì a Varese Ligure. Il Monte dei Greci e i monti che si snodano sul versante opposto, non solo il Porcile e il Verruga, ma anche il Chiappozzo, formano un unico, grande anfiteatro, esteso per oltre 45 km. Una vera meraviglia. Quando, da ragazzo, partivo per quelle zone, il mio amico Carlo Barbanente mi diceva sempre: “Dai, andiamo in Canada!”.
Un’ultima segnalazione, tra le tante che si potrebbero fare: dall’antica via “della farina”, che collegava Codivara a Santa Maria del Taro, si arriva ai resti del castello di Novasina, costruito dai Fieschi nel XII secolo. Qui si gode di uno scenario ambientale straordinario: tutta la Val di Vara, Portofino e il Golfo Paradiso, le Alpi Apuane. Poi si può salire all’Alta Via, a Colla Craiolo.

Infine, una riflessione: subito dopo il Passo delle Cento Croci, in territorio parmense, si sono moltiplicate le pale eoliche, come dimostra la foto in alto. Le ultime pale della foto, a destra in lontananza, sono quelle del Passo della Cappelletta, in Comune di Varese Ligure, esistenti da tempo, che stanno per essere potenziate. Il tema è controverso. Benché approvato dalla maggior parte dell’opinione pubblica, l’eolico suscita molte polemiche, classificabili in due categorie principali: gli aspetti tecnico-economici (potenziale reale, efficacia economica, utilità energetica) e le questioni ambientali e paesaggistiche. Mi dice don Sandro: “Non sempre ciò che è utile è bello. Bisogna rispondere alla domanda se l’eolico è davvero utile in generale. Ma anche alla domanda: cosa ne viene al territorio? Nel nostro caso nulla, nessun beneficio per le bollette, come era stato promesso”. La vis polemica non manca mai a don Sandro, che si autodefinisce “prete prepotente”. Ma, esiliato a Càssego da una Chiesa che lo ha emarginato, ha trasformato una parrocchia in una scuola contro la povertà e ha studiato come pochi altri il modo di dare dignità al mondo della montagna. Sempre solo con la sua fede. Si possono discutere le sue idee, ma non si può che stimarlo e volergli bene.

Zanega di Scurtabò, Oratorio di San Martino, statua della Madonna di Loreto
(2020) (foto Giorgio Pagano).

IL PATRIMONIO ARTISTICO DELLA MONTAGNA
Il nostro itinerario nell’Alta Val di Vara si snoda tra natura, devozione e arte. E’ soprattutto la montagna di Varese Ligure a ospitare un patrimonio artistico di rilievo. Il “miracolo” varesino, che vide il borgo diventare una piccola capitale tra Seicento e Settecento (si veda l’articolo di domenica scorsa), ebbe conseguenze anche nelle Terre Alte. Per dimostrarmelo, don Sandro mi ha portato nella Chiesa di San Lorenzo a Scurtabò, nell’Oratorio di San Martino a Zanega di Scurtabò e nella Chiesa di Sant’Anna a Valletti.
La chiesa di Scurtabò, già ricordata nel 1387, viene ricostruita nel 1626. All’interno è di notevole pregio, in particolare, una parte dell’altare in marmo, del Seicento.
Dell’Oratorio di Zanega si ha notizia già nel 1148; l’iscrizione posta in facciata, scolpita in lavagna, riporta la data del 1492, dovuta probabilmente a una riedificazione dell’edificio. Una voce popolare narra che accanto all’Oratorio esisteva un ospizio dell’Ordine Carmelitano, legato al flusso mercantile del lino e al pellegrinaggio per la Madonna di Loreto. La visita a Loreto, mi ha spiegato don Sandro, diventò con il tempo, dopo le Crociate, un’alternativa al pellegrinaggio in Palestina. La devozione alla Madonna di Loreto arrivò in Val di Vara nel 1582 a San Pietro Vara, e probabilmente nello stesso periodo a Zanega. Nell’interno dell’Oratorio colpiscono l’altare, un crocifisso, e soprattutto la bellissima statua della Madonna di Loreto in ebano nero che vedete nella foto in basso: ha tratti occidentali, come il bambino, nonostante il colore. E’ un prodotto dell’artigianato ligure, probabilmente databile alla fine del XVII Secolo. E’ molto bello anche uno stendardo, sempre con la Madonna nera.
Nella Chiesa di Valletti, intitolata a Sant’Anna nel 1695, colpiscono due olii su tela, la “Sacra Famiglia e i Santi Anna e Vincenzo M.” e la “Madonna del Carmine e i Santi Antonio di Padova e Filippo Neri”, restaurati sotto la direzione di Piero Donati. Sono gli unici due dipinti attribuiti a Giuseppe Catto -collaboratore e parente di Bernardo Strozzi, probabilmente sfuggito alla peste che imperversava a Genova- entrambi firmati e datati 1657.
Grazie al sacerdote Marco Morolla ho visitato anche la Chiesa di Comuneglia, in bellissima posizione nella Valle. Dedicata a San Pietro, fu probabilmente edificata nel XIV secolo e poi più volte restaurata. L’interno è di grande pregio, dagli altari alle cappelle, dalle statue alle pitture. Colpiscono in particolare la seicentesca “Madonna col Bambino e San Filippo Neri” (il Santo, dopo Valletti, mise radici in tutta l’Alta Val di Vara, compreso, come abbiamo visto domenica scorsa, Varese Ligure, con l’intestazione della Chiesa conventuale delle Agostiniane) e la “Madonna col Bambino”, statua in marmo bianco delle Apuane attribuita alla mano di Luca Cambiaso, artista del Cinquecento nato a Moneglia. L’opera proviene -mi ha spiegato Piero Donati, che la fece restaurare- dal cantiere di demolizione della Chiesa di San Francesco di Castelletto di Genova (faceva parte del monumento funebre di uno Spinola).
Segnalo, infine, la Chiesa di San Cristoforo a Cavizzano, con il quadro “Madonna col Bambino tra San Cristoforo e San Giacomo”, databile all’inizio del Seicento, opera attribuita al genovese Giovanni Domenico Capellino. Piero Donati lo definisce un “episodio di grande valore”.
Ora una delle prossime tappe in territorio varesino sarà, con don Sandro, l’Oratorio di San Pellegrino, a Perosa, al confine con la Val di Taro, in buona parte da restaurare (lui ha già cominciato a sue spese).
In conclusione: ormai non si può più dire che l’Alta Val di Vara sia una terra di grandi bellezze naturali ma meno ricca, al confronto di altre zone della Liguria, di manufatti artistici. Bisogna avere questa consapevolezza e agire di conseguenza, per contrastare l’abbandono operando su più leve intrecciate tra loro: allevamento, agricoltura, artigianato, turismo escursionistico, culturale e, perché no, enogastronomico.
La tradizione ospitale a Varese Ligure ha radici lontane. Lo storico Antonio Cesena ricordò che ancora prima della fondazione del borgo, nel XIII secolo, un tale Vero aveva aperto un’osteria vicino al Vara, dove sostavano i fedeli. Intorno al 1760 sorgeva la locanda “Insegna della bottiglia”, gestita da Michele Marcone; l’attività si è tramandata di padre in figlio per due secoli e l’antica locanda si chiama oggi Albergo Amici. La speranza è che riprendano nuova vita l’Albergo La Posta, nel centro di Varese, e l’Albergo Cento Croci, subito dopo il passo, in Emilia. Ma chissà, con agriturismi e b&b, forse si tratta di una speranza non realizzabile. L’importante è non dimenticare che Gioacchino Rossini, grande compositore e finissimo gastronomo, “amava moltissimo i funghi secchi delle monache di Varese”, come scrisse un patrizio genovese nel 1867.

Giorgio Pagano

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