Dalla Valle di Lagorara al Monte Porcile
Città della Spezia, 9 agosto 2020
TRA IL ROSSO VIOLACEO E IL VERDE SMERALDO
Da Santa Maria di Maissana un ampio sentiero sterrato porta alla Valle di Lagorara e a una cava preistorica di diaspro rosso. La roccia silicea, formatasi oltre 200 milioni di anni fa in fondali marini profondi più di 2 mila metri, emerge per oltre 150 metri sotto forma di una serie continua di migliaia di strati. Il sito fu scoperto da Sergio Nicora, che nel 1987 rinvenne alcuni manufatti sullo sterrato e informò subito la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria. Questa curò i sopralluoghi e le indagini, che si svolsero a partire dal 1988. Il sito è vincolato dal 1992.
Si tratta di un bene di straordinario valore e interesse, risalente al III-IV millennio a. C.: il maggior esempio di cava a cielo aperto di materiale siliceo in Europa, sia per dimensioni che per stato di conservazione.
Fino alla piena affermazione della metallurgia del bronzo (circa 3500 anni fa), l’approvvigionamento delle rocce costituì un’attività di grandissima importanza per produrre strumenti per la caccia, il lavoro e l’ornamento. Nella Liguria orientale il materiale maggiormente utilizzato per confezionare questi strumenti era il diaspro rosso: la roccia di Lagorara è il più imponente sito conosciuto di estrazione di questa pietra.
L’accostamento tra il rosso violaceo della pietra e il verde smeraldo della valle di Lagorara è spettacolare (si veda la foto in basso). E’ di grande interesse, inoltre, poter riconoscere le varie attività svolte nella cava.
Sono perfettamente visibili le tracce delle estrazioni della cava, per le quali l’uomo preistorico, non potendo ancora usare l’acciaio, usava mazze di pietra. La Soprintendenza ha studiato gli scarti di lavorazione ottenendo informazioni cruciali per ricostruire l’intera catena operativa svolta sul sito. In particolare gli scavi hanno evidenziato, oltre agli scarti grezzi, anche gli esiti di una prima sommaria sbozzatura del materiale estratto, in gran parte attribuibile a “test di scheggiatura” volti a selezionare i blocchi di qualità migliore, che venivano ulteriormente lavorati presso comodi ripari, visibili ancora oggi, che si trovano a un centinaio di metri di distanza, subito dopo aver attraversato il torrente. Qui erano localizzate vere e proprie officine di lavorazione e di rifinitura dei blocchi estratti.
Venivano realizzati manufatti di forma ogivale, scheggiati su entrambe le facce, denominati “ogive”, adatti, per forma e dimensioni, ad essere trasformati in punte di freccia. Ma gli uomini preistorici non pensavano solo alla caccia. L’ambizione di connotare il proprio aspetto esteriore è documentata da numerose collane e pendagli in steatite, pietra anch’essa presente nella cava: gradevole al tatto, di colore raffinato, piuttosto tenera e facile da lavorare, opportunamente levigata assume un aspetto traslucido che ricorda quello dell’ambra. Venivano realizzati, inoltre, recipienti per conservare e cucinare gli alimenti e le bevande e i contenitori per il trasporto dei diversi prodotti: erano di materiali differenti a seconda degli usi, dalle sacche di pelle, ai cesti intrecciati di fibre vegetali, ai vasi di legno e di terracotta.
L’epoca di più intenso sfruttamento della cava è stata collocata nell’Età del Rame, tra 3600 e 2600 anni a.C., con sporadiche manifestazioni all’inizio dell’Età del Bronzo. La quantità di materiale estratto e lavorato nel corso di questo periodo, oltre mille anni, è davvero notevole; è stato calcolato che possa aggirarsi intorno a due migliaia di tonnellate.
Ma come possiamo immaginare gli uomini che lavoravano nella cava di Lagorara nell’Età del Rame? Fornisce qualche suggerimento l’Uomo del Similaun, la famosa Mummia dei ghiacci rinvenuta sulle Alpi del Trentino-Alto Adige nel 1991 a 3210 metri di quota presso il confine austriaco: la scoperta di questo individuo ha permesso di cogliere con grande efficacia la complessità delle conoscenze di cui erano portatori gli uomini dell’Età del Rame, relative all’ambiente in cui si muovevano e ai modi per la gestione delle risorse.
Nel nostro territorio particolarmente ben documentate sono la pastorizia e l’arte mineraria; basti pensare che, nel coevo sito di Monte Loreto (Castiglione Chiavarese), ubicato a pochi chilometri dalla Valle di Lagorara, è stata portata in luce la più antica miniera di rame dell’Europa occidentale. Va sottolineato come l’adozione della pastorizia transumante, che portando l’animale al foraggio permette di utilizzare i pascoli montani, e la produzione di formaggio, alimento digeribile anche da chi è intollerante al lattosio, come 6000 anni fa era ancora una larga parte della popolazione europea occidentale, fu la svolta socio-economica che favorì l’aumento demografico. Nel corso del IV millennio a.C. divenne dunque possibile intraprendere attività che richiedevano alta specializzazione e forte impiego di energia, quali appunto l’apertura di cave e di miniere.
IL PROBLEMA DELLA VALORIZZAZIONE E DELLA FRUIZIONE DEL SITO ARCHEOLOGICO
Il sito di Lagorara è stato oggetto di un progetto di valorizzazione e fruizione promosso dal Comune di Maissana e realizzato nel 2000 da TerraMare in collaborazione con LASA (Laboratorio di Archeologia e Storia Ambientale) – Università di Genova, con la supervisione della Soprintendenza e il patrocinio del DIPTERIS (Dipartimento per lo studio del territorio e delle sue risorse) – Università di Genova. Vennero realizzate nove schede di fruizione, da distribuire ai visitatori e collegate ad altrettanti punti di osservazione lungo il percorso. Il Comune, che ha in gestione il sito, ha poi proseguito le attività di valorizzazione e fruizione, con l’istituzione di un centro visita presso l’Oratorio di Santa Maria di Maissana e di un Laboratorio Archeologico nella vicina frazione di Ossegna (ex scuola elementare), finanziato con fondi europei.
Rispetto a qualche anno fa, però, l’area si presenta oggi abbandonata. I pannelli informativi sono andati distrutti, e la vegetazione infestante ricopre gran parte della roccia. Il problema non è di semplice soluzione.
La Soprintendenza, che ha la competenza diretta sul sito, non avendo né forze né mezzi per la gestione diretta, ha siglato nel dicembre 2018 una convenzione con il Comune, al quale è stata affidata la custodia e la gestione.
Poiché nemmeno il Comune ha forze e mezzi sufficienti per la gestione turistica del sito, la soluzione individuata, d’intesa con la Soprintendenza, è stata quella dell’accordo con il Polo museale del Tigullio orientale (Sestri Levante – Castiglione Chiavarese), che è gestito dalla società Mediaterraneo e da alcune cooperative specializzate con essa collegate.
Mediaterraneo è società in house del Comune di Sestri Levante. Questo, per il Comune di Maissana, evitava l’esigenza di una gara ma richiedeva un accordo complesso che, complici prima l’elezione del nuovo Sindaco poi il Covid-19, nel corso del 2019-2020 non è stato ancora siglato.
In ogni caso, in attesa di un gestore esterno vero e proprio, il Comune gestisce le visite, previa prenotazione, attraverso la figura dello scopritore del sito, Sergio Nicora, il quale è stato nominato dalla Soprintendenza “assuntore di custodia” del sito, con il compenso di circa 400 euro l’anno. Il Comune aggiunge circa altrettanti euro per le attività di scheggiatura che vengono effettuate nel Laboratorio di Ossegna. Chi vuole, quindi, deve chiamare il centralino del Comune, e “prenotare” la visita con l’assistenza di Nicora.
La speranza, dunque, è che presto il progetto di valorizzazione e fruizione sia ripreso e soprattutto che abbia una continuità di gestione. Lo merita il sito, e lo merita tutto il territorio Val di Vara-Tigullio, in particolare il territorio di Maissana e delle sue valli, che costituiscono un circuito turistico-culturale di grande interesse.
LE CHIESE, I CASONI, I MONTI DI MAISSANA
Numerose sono, nel territorio di Maissana, le opere pittoriche e le sculture in legno di valore, studiate dall’amico Piero Donati. Nel campo dei dipinti si segnala una tela di un pittore anonimo legato a Genova nella chiesa di San Michele Arcangelo di Ossegna, raffigurante la “Trinità, la Vergine e le Anime Purganti” (secolo XVII – XVIII). Forse del genovese Agostino Storace è la scultura “Nostra Signora della Cintura”, nella chiesa di San Bartolomeo a Tavarone (secolo XVIII), sempre ligure è “Maddalena”, nell’Oratorio di Santa Maria Maddalena a Maissana (secolo XVIII), mentre più tarda è la scultura, anch’essa ligure, “San Giuseppe e il Bambino” nella chiesa di Santa Maria Assunta a Santa Maria di Maissana (fine secolo XVIII – inizio secolo XIX).
Da Campore si sale alla Cappella di San Bernardo, dove si possono ammirare panorami dell’Alta Val di Vara, del Monte Gottero e delle Alpi Apuane.
Vi sono, poi, emergenze architettoniche interessanti: lungo il sentiero che porta alla Valle di Lagorara si notano i “Casoni della pietra”, costruiti con muri a secco: erano costruzioni utilizzate per la conservazione del fieno e l’essiccazione delle castagne, e come ricovero notturno del bestiame.
Maissana è inoltre al centro della rete escursionistica ligure. La salita più bella del territorio, con splendidi panorami, è quella al Monte Porcile (1249 m.), che si innalza sullo spartiacque tra la Val di Vara e la Val Graveglia, poco a sud-est rispetto all’ampia sella del Passo del Biscia, da cui parte il sentiero più agevole. Il Passo del Biscia è nel Comune di Ne, al confine tra le Province della Spezia e di Genova. Il monumento “Le anime pietrificate” dello scultore ungherese Berzsenyi Balazs, composto di tre figure, è dedicato al sostegno dato dai contadini alle formazioni partigiane operanti in questi territori.
Il Porcile è una bella montagna isolata, in gran parte erbosa, dalla forma di ripida ed eminente cupola che lo rende ben riconoscibile anche da lontano. La montagna è in gran parte costituita dai cosiddetti “calcari a calpionelle”, rocce calcaree a grana finissima di colore bianco candido (si veda la foto in alto). Sul versante sud-ovest, invece, affiorano i diaspri, rocce silicee dal colore rosso violaceo, come quelle di Lagorara. Nelle giornate limpide, dalla vetta si osserva un panorama estesissimo, su tutto l’arco della Liguria dalle Cinque Terre a Ventimiglia, sulla parte sud-occidentale delle Alpi, sulla Val di Vara con il Monte Gottero, su parte del crinale dell’Appennino Tosco-Emiliano e sulle Alpi Apuane. Se si è fortunati, in mezzo alla distesa azzurra del Mar Ligure si possono scorgere le isole toscane e la Corsica. Sulla vetta, inoltre, si vedono spesso i bellissimi cavalli selvaggi della Val Graveglia.
Il Porcile è una montagna poco frequentata, come il vicino Monte Verruga (1208 m.), raggiungibile sempre dal Passo del Biscia. Anche il Verruga è di diaspro rosso violaceo e di rocce calcaree bianche, ed è un eccezionale balcone panoramico.
LA MARGINALIZZAZIONE NON E’ INEVITABILE
Concludiamo con qualche notizia su Maissana e qualche notazione sul suo possibile futuro. Il Comune è il quarto per estensione della Provincia della Spezia (42 chilometri quadrati), ma è uno dei più piccoli in quanto a popolazione residente (circa 610 abitanti). La densità della popolazione è dunque molto ridotta e la massima parte del territorio comunale è rappresentato da boschi e pascoli. Il consumo di suolo è tra i più bassi della Liguria.
La popolazione è dislocata in dodici frazioni: cinque hanno più di 50 abitanti residenti, le altre di meno. La maggioranza della popolazione ha più di 60 anni, e quindi il reddito prevalente dei residenti è fornito dalle pensioni.
Non ci sono industrie ed anche i laboratori artigiani sono molto pochi. Gli unici esercizi commerciali sono legati a trattorie e ristoranti: in pratica, il titolare vende anche generi alimentari o altri di consumo. Di recente, a Torza, è stato aperto un birrificio.
L’attività economica prevalente è legata al turismo: oltre alle tradizionali trattorie e ristoranti (al momento, ce ne sono sette), sono stati aperti diversi agriturismi e case vacanze. Lo sviluppo turistico è rallentato dalla cattiva manutenzione delle strade, a cominciare dalla SS 523 di Centocroci, e dalla provinciale n. 52, che attraversa in senso longitudinale il territorio del Comune.
Il turismo è legato anche alla presenza di seconde case di villeggiatura, soprattutto nelle frazioni di Tavarone e di Cembrano, ma un poco anche nelle altre.
A Tavarone esiste un centro sportivo comunale utilizzato da squadre di calcio per gli allenamenti estivi (in passato anche la Sampdoria, e squadra non italiane, anche svedesi e indonesiane). Esiste inoltre una piscina all’aperto, sempre comunale, che attira clientela da tutta la zona del Sestrese e anche dalla Val di Vara.
A Ponte Rollino, dove il fiume Borsa sfocia nella Vara e dove c’è un impianto del parco Montemarcello – Magra – Vara per lo studio dell’ululone, un giovane del luogo ha aperto di recente un mini stabilimento balneare, per bagni in una piscina artificiale e, per quanto possibile, nelle acque del fiume.
Per quanto riguarda l’agricoltura, ci sono alcune attività residue nella zona di Ossegna e di Cembrano, che tradizionalmente si presta di più (coltivazioni di frutta, miele, ortaggi), ma -salvo il caso dell’azienda Ezechiele, fondata dal parroco- la produzione è esclusivamente di autoconsumo o di rifornimento delle trattorie.
Ancora abbastanza numerosi sono i pascoli, in prevalenza comunali (antichi usi civici o comunaglie poi ceduti al Comune). Maissana appartiene alla Valle del biologico: la carne e il latte prodotti nei pascoli sono in genere conferiti alle cooperative di Varese Ligure. Tra i conduttori (affittuari) dei pascoli ci sono diversi allevatori giovani.
Le prospettive del Comune sono quindi ancora l’allevamento e soprattutto il turismo, in un rapporto da reinventare con un ripensato turismo costiero, troppo affollato e troppo poco legato all’entroterra.
Più in generale -vale per tutte le Terre Alte- va ripensato non solo il rapporto tra costa ed entroterra, ma anche quello tra città e aree interne. Le nostre città non possono vivere senza le aree interne, e viceversa. La ricchezza dell’Italia sta nella sua diversità e varietà, nel suo policentrismo territoriale, antropologico, sociale e culturale. In questa Italia policentrica la marginalizzazione dei territori interni non è inevitabile. Nel “piccolo luogo” si possono ripensare nuovi modelli di abitare e di lavorare, stabilire connessioni più dense con la natura, inventare una nuova socialità e pratica di vita. Non contro le città, ma per cambiare anche le città.
Giorgio Pagano
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