Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
I due …

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L’eccidio di Punta Bianca e le nuove scoperte sulle menzogne di Kesselring – Prima parte

a cura di in data 6 Giugno 2022 – 21:37

Campagna d’Italia, 1944. Il maresciallo Albert Kesselring, a sinistra, mentre conversa con uno dei suoi ufficiali,
National Archives americani

Ameglia Informa, 1° maggio 2022

“Ameglia informa” ha più volte pubblicato articoli sull’operazione “Ginny”, la missione alleata del marzo 1944 che aveva come obiettivo la distruzione della galleria ferroviaria tra Bonassola e Framura, per interrompere i collegamenti delle forze tedesche che occupavano l’Italia. L’obiettivo fallì, i quindici soldati americani del commando furono uccisi dai nazisti a Punta Bianca, il 26 marzo 1944.
La ricerca storica non ha mai smesso di interrogarsi su questo eccidio.
In una memoria pubblicata nel 2018 Raffaella Cortese de Bosis e Marco Patucchi raccontarono le vite delle quindici vittime[1]. Erano militari dell’OSS, il corpo dell’esercito statunitense che veniva impiegato in operazioni speciali. I componenti dei commandos venivano generalmente scelti tra i soldati con origini familiari nei Paesi obiettivo delle missioni. In questo caso tredici figli di emigrati italiani in America e due nati in Italia. Storie di emigrazione, di viaggi in nave durati settimane per raggiungere Ellis Island, a New York. Erano giovani operai, muratori, macchinisti, barbieri… Ecco i loro nomi: Santoro Calcara, Angelo Sirico, Alfred L. De Flumeri, Salvatore Di Sclafani, Joseph M. Farrell (la madre era italiana), John J. Leone, Joseph A. Libardi, Dominick C. Mauro, Joseph Noia, Vincent J. Russo, Thomas N. Savino, Rosario F. Squatrito, Paul J. Traficante, Liberty J. Tremonte, Livio Vieceli.
Dopo un primo interrogatorio a Bonassola i quindici vennero portati nella villa di Carozzo, nelle colline di Spezia, sede del quartier generale di Kurt Almers, comandante della Brigata 135. Nonostante le regole della Convenzione di Ginevra che proibivano l’esecuzione di soldati nemici catturati in divisa, il 25 marzo arrivò l’ordine del 75° Corpo d’armata di fucilare immediatamente i prigionieri. Il telegramma fu firmato dal generale Anton Dostler, capo del 75°. Iscritto al partito nazista, era arrivato in Italia il 5 gennaio 1944, promosso dopo le azioni criminali in Ucraina. All’alba del 26 marzo i quindici giovani furono uccisi.
Furono fucilati o subirono altri oltraggi? Secondo le autopsie effettuate dai medici militari americani una volta individuata la fossa nell’Italia liberata, potrebbero essere stati trucidati a colpi di badile: in alcuni esami autoptici, infatti, venne rilevata l’assenza di fori di proiettile. Una versione controversa. Nel manoscritto senza data dello studioso levantese Giulio Mongatti conservato nell’Istituto Ligure per la Storia della Resistenza, intitolato Un intero “commando” americano trucidato nella IV Zona Spezzina, si legge:
“Scavata una fossa comune, legati a tre per volta, si sparava nella testa ad uno di essi (che trascinava seco anche gli altri). Una scarica a casaccio compiva l’esecuzione; da accertamenti compiuti dalle truppe americane […] alcuni dei giustiziati furono sepolti ancora vivi”.
La fonte di Mongatti era la “testimonianza orale del sig. Passalacqua (da Ameglia, ora residente in Levanto), che ebbe i particolari sull’eccidio da un suo concittadino (vulgo: “Monchino”)”[2].

Punta Bianca, resti del presidio tedesco
(foto Giorgio Pagano)

Dostler fu catturato nel dopoguerra e sottoposto a processo nell’ottobre del 1945, nella Reggia di Caserta. Si difese sostenendo di aver obbedito agli ordini di Hitler del 1942. I due documenti di Hitler del novembre e del dicembre 1942 erano netti: ampi poteri ai soldati, uccisione immediata e senza alcuna formalità giuridica di partigiani e civili, nessuna limitazione alla violenza anche contro donne e bambini. Furono la giustificazione formale ai peggiori eccessi.
E tuttavia va sottolineata la peculiarità dell’eccidio di Punta Bianca. Lo storico Carlo Gentile ha scritto di tre diverse guerre condotte dai nazisti: contro gli eserciti alleati, “combattuta quasi senza eccezioni secondo i canoni del diritto di guerra”; antipartigiana, “combattuta con estrema durezza e scarso rispetto del diritto bellico”; contro la popolazione civile, “condotta con modalità in larga prevalenza criminali”[3].
Nel caso di Punta Bianca ci fu l’eccezione: i canoni del diritto di guerra non furono rispettati.
Dichiarato colpevole, Dostler fu fucilato ad Aversa il 1° dicembre 1945.
Ma Dostler dipendeva dal feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante militare in capo del sudovest. Non poteva non averlo informato, né aver proceduto senza la sua autorizzazione. Lo storico Sandro Antonini, nel libro “Generali e burocrati nazisti in Italia: 1943-1945”, ha studiato i verbali degli interrogatori dei nazisti nei National Archives americani. Kesselring disse di non aver mai saputo nulla della vicenda. Del resto, se lo avesse ammesso, sarebbe stato fucilato come Dostler.
Le falsità di Kesselring erano state rivelate già nel 1998 dalla prestigiosa rivista di studi militari germanica Cronache di Storia Militare, che pubblicò il saggio Kesselring, via Rasella e la “missione Ginny” dello storico statunitense Richard Raiber. Documenti inoppugnabili della Wehrmacht conservati al Bundesarchiv-Militararchiv dimostrano che Kesselring in quei giorni si trovava non a Roma, come ha sempre sostenuto, ma in Liguria. Pernottò a Nervi il 22 e a Rapallo il 23, dopo aver ispezionato la costa ligure fino a Ventimiglia. Arrivò alla Spezia alle 10,45 del 24 marzo 1944.
Scrive Antonini:
“Le contraddizioni di Kesselring sono così evidenti da apparire perfino puerili: mente sapendo di mentire. Del resto la menzogna, unita ai vuoti di memoria, è la cifra che caratterizza i grandi gerarchi nazisti catturati e sottoposti a processo, su cui incombe la possibilità di una condanna a morte”[4].

Giorgio Pagano

[1] Raffaella Cortese de Bosis, Marco Patucchi, Il plotone perduto, la Repubblica, 29 giugno 2018.
[2] Relazione di Giulio Mongatti. Fondo Gimelli 2, b. 25, fasc. II, ILSREC.
[3] Carlo Gentile, I crimini tedeschi di guerra in Italia. 1943-1945, Einaudi, Torino, 2015, p. 20.
[4] Sandro Antonini, Generali e burocrati nazisti in Italia: 1943-1945, Internos, Chiavari (GE), 2022, p. 61.

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