Migranti, aiutarli qui e a casa loro
Il Secolo XIX Nazionale, 29 luglio 2015 – Le proteste contro gli immigrati sono innanzitutto il frutto di una gestione approssimativa dell’accoglienza. Il fenomeno è governato con una logica emergenziale e non come un processo complesso, che riguarda non solo i migranti ma anche le comunità che li ospitano. Per accogliere serve lavorare con piccoli numeri e con un’opera paziente di condivisione, come chiede Anci Liguria. Altrimenti il razzismo prenderà sempre più campo: è un sentimento più spontaneo dell’ospitalità, cresce quando l’accoglienza viene imposta e i predicatori d’odio soffiano sul fuoco della paura.
Mentre sinistra e M5S balbettano, Giovanni Toti parla chiaro: distinguiamo tra chi ha diritto all’asilo e chi no, i “clandestini”, che vanno rinchiusi in un Cie ed espulsi; non bisogna accoglierli, ma “aiutarli a casa loro”.
Serve parlare altrettanto chiaro: le guerre ai confini dell’Europa e la massa di profughi, politici, economici e ambientali, che preme su di essi rendono impossibile tornare alla normalità, per quanto dure siano le politiche di respingimento adottate. I Cie non rispondono a ragioni né di umanità né di sicurezza: sono inutili e costose prigioni, in via di dismissione. Bisogna liberarsi dal pregiudizio secondo cui ogni straniero irregolare è un “clandestino” che minaccia la nostra incolumità, e adottare altri mezzi per l’accertamento della loro permanenza in Italia e per la loro eventuale espulsione. Dovremo, in ogni caso, accogliere di più: servono, allora, misure su lavoro, reddito, casa che impediscano la guerra tra poveri e garantiscano standard minimi per tutti, italiani e migranti. E’ decisivo un Piano per il lavoro: i migranti acquisirebbero capacità e competenze utili per il riscatto del loro Paese di origine, per creare cioè le condizioni del loro ritorno a casa. Che è esattamente ciò che vogliono.
Bisogna, dunque, “aiutarli qui”. E anche “a casa loro”, certo. Il problema è che siamo noi a impedire agli africani di cambiare: prima con il colonialismo, oggi perseguendo interessi neocoloniali. Sono un cooperante a Sao Tomè, in Africa: la povertà è impressionante, un terzo della popolazione è emigrato. Nei giorni scorsi Renzi, ad Addis Abeba, si è impegnato ad aumentare le risorse per la cooperazione internazionale, a creare partenariati duraturi a cui partecipino le nostre imprese, per creare lavoro con investimenti responsabili e sostenibili ecologicamente. Giusto, vedremo i fatti. Decisivo sarà l’apporto delle Regioni: ma nella nuova Giunta ligure la delega alla cooperazione internazionale non esiste. Senza rimediare sarà difficile “aiutarli a casa loro”.
Giorgio Pagano
Presidente delle associazioni Mediterraneo e Funzionari senza Frontiere
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