Requiem per un sogno?
Città della Spezia, 24 maggio 2015 – Molti amici e lettori mi hanno scritto dopo aver letto il mio intervento sulle elezioni regionali (“Tra Toti e Paita spero vinca il M5S. L’alleanza con Altra Liguria sarebbe interessante”, Città della Spezia, 21 maggio). La maggioranza lo ha condiviso, tanti altri amici hanno espresso l’intenzione di non votare o di votare scheda bianca o nulla, altri ancora di votare M5S, una piccola minoranza propende per Rete a sinistra. Ma ho anche amici che, turandosi il naso, voteranno Pd, e altri che, pur persone di sinistra, sono intenzionate a votare Toti, basta che la Paita sia sconfitta. Insomma, il mio piccolo “sondaggio” esprime quello che tutti percepiamo: il risultato è incerto, molti decideranno in questa settimana se votare o meno e, in caso positivo, chi votare. Una cosa è chiara: la Paita è davvero “divisiva” nell’elettorato progressista. Ha ragione uno dei più acuti commentatori politici italiani, Stefano Folli, che ieri su Repubblica ha scritto: “De Luca a Napoli e Paita a Genova sono esponenti di un partito che non è quello che il Presidente del Consiglio vuole costruire attorno a sé. Sono candidati subiti, come nel caso dell’ex Sindaco di Salerno, ovvero figli di un errore di calcolo, come nel caso della Paita. Entrambi devono convivere con una forte ripresa dei Cinque Stelle, un dato che deve preoccupare Renzi”. E’ esattamente la mia analisi, con in più la speranza che vinca il M5S, anche se non lo voterò. Posizione quasi ovvia, direi, per uno come me, che non è di destra ma che non ha mai votato, nemmeno una volta, per il Pd (come ho confessato tempo fa su questa rubrica). Meno ovvio, forse, è che uno con la mia storia non voti per Rete a sinistra. Lo faccio perché ho deciso di non votare per questi partiti e per questa sinistra.
Per spiegare questa scelta devo fare qualche riferimento alla mia vicenda politica e umana: non per il suo valore in sé, ma perché a volte è proprio a partire dalle piccole storie delle persone che si capiscono meglio le tendenze e gli orientamenti di opinione più generali. Tutto partì nel 2005, con una lunga incubazione: in quell’anno decisi di non accettare la proposta di candidatura a parlamentare che mi fece la segreteria nazionale dei Ds (episodio raccontato di recente da Vannino Chiti, allora “vice” di Piero Fassino, durante la presentazione del mio libro “Non come tutti” nel Parco di San Rossore-Massaciuccoli). Feci quella scelta perché era giusto che terminassi il mandato da Sindaco, e perché avevo già deciso di dedicarmi alla cooperazione internazionale e di ricominciare da capo la mia vita, cosa che rivelai pubblicamente solo poche settimane prima della scadenza del mandato. Vedevo avanzare il degrado morale nei partiti e nella sinistra, e avevo molti e via via crescenti dubbi sul Pd che stava nascendo. Non me la sentivo più, non avevo motivazioni interiori. Mi licenziai da funzionario di partito e divenni un cocopro nel campo della cooperazione internazionale, senza mai abbandonare la passione per la politica. La politica non ho mai smesso di farla, da cooperante e nelle mie tante “avventure” sociali e culturali, spezzine o liguri o nazionali, tutte all’insegna dell’impegno civico e associativo. Avevo un sogno: contribuire, da questa postazione “dal basso”, al cambiamento dei partiti e della sinistra. Un sogno comune a tanti “attivisti” come me. Il momento in cui il sogno sembrò avvicinarsi fu il 2011: la vittoria di Pisapia a Milano, quella nei referendum sui beni comuni, la grande manifestazione della Fiom a ottobre… In quella fase mi impegnai con ancora più passione nei movimenti e aderii a Sel, perché sentivo la necessità di una “virata” del centrosinistra che raccogliesse quella spinta. E perché capivo che quella speranza di cambiamento, nel vuoto di una risposta politica, avrebbe incontrato il vento antipartitico. Purtroppo la “virata” a sinistra non ci fu, anzi. A fine anno, caduto Berlusconi, avrebbe potuto esserci una trasformazione politica davvero profonda: ma il Pd decise di evitare le elezioni anticipate e di sostenere il Governo Monti. Ciò fu esiziale per Bersani, e anche per il suo alleato Vendola. La sconfitta nacque già qui. Nella sinistra più radicale, inoltre, l’esperienza potenzialmente positiva di “Cambiare si può” fu scippata dalle segreterie dei partitini. Le elezioni politiche del febbraio 2013, dopo un anno di Governo Monti e con il Pd che continuava a proporre l’”agenda Monti”, diedero il risultato che molti di noi temevano. Le mobilitazioni dal basso, non trovando una rappresentanza nei soggetti politici tradizionali, finirono con il premiare la protesta contro la Casta dei Cinque Stelle: il M5S divenne il primo partito, e ottenne risultati straordinari nella Val di Susa della Tav, nella Taranto dell’Ilva e nelle aree di crisi occupazionale più grave.
Dopo le elezioni scrissi un’email a Enrica Salvatori, un’amica docente universitaria, per invitarla a un’iniziativa pubblica di Sel. Ecco la sua risposta, che è davvero un “segno del tempo”: “Il danno di quello che è stato fatto è incommensurabile e lo pagheremo carissimo negli anni a venire. Sel, che ha tutta la mia stima e che ho votato, non ha la minima forza per ricostruire dal basso un processo di trasformazione, perché c’è già qualcuno che l’ha fatto al posto suo con altri mezzi e fini (Grillo). Ogni ambiente funziona come un sistema ecologico, se la nicchia ecologica è occupata dai dinosauri il posto per l’uomo non c’è, bisogna aspettare che si crei. Questo significa che qualsiasi operazione si metta in campo ora è destinata a produrre frutti solo nel corso di uno o due lustri. Unica chance: lavorare su poche idee forti: socialismo nei sistemi produttivi, pari diritti e ambiente; contemporaneamente agire nel concreto per applicare queste direttive a livello locale insieme ai grillini, che sono destinati fatalmente a trasformarsi”.
L’analisi era ed è ancora valida. Una fase storica si era davvero chiusa, la sinistra non poteva riproporre una continuità di classi dirigenti e di programmi (si veda, in questa rubrica, “Il terremoto Grillo”, 3 marzo 2013). E invece si è continuato con i vecchi schemi, come se non fosse morto il bipolarismo centrosinistra-centrodestra, come se non fosse entrata in crisi la democrazia rappresentativa… Nemmeno l’astensionismo alle regionali emiliane ha fatto aprire gli occhi. Io ci ho battuto di naso nel breve periodo in cui un gruppo civico mi ha proposto per la candidatura a Presidente della Regione: poteva essere l’occasione, al di là del mio nome, per aprire una fase nuova di osmosi tra sinistra politica e associazioni e movimenti, ma i partitini hanno dimostrato tutto il loro disinteresse. Anzi, hanno scientemente distrutto il tentativo. L’importante era fare un nuovo partito con Civati! Benvenuto Pippo, ma purtroppo non basti!
Mi viene in mente una dichiarazione rilasciata a caldo da Mercedes Bresso, Presidente uscente del Piemonte, dopo la sconfitta alle elezioni regionali del Piemonte: in Italia non conta governare bene, conta fare politica, parlare, raccontare… E’ vero, quello che conta è fare politica: significa governare bene ma anche rendere evidente ai cittadini che quello che la politica afferma e realizza è rilevante per la loro vita. Non essere autoreferenziali, avere antenne per capire tutto quello che succede nella società, starci dentro, suscitare la partecipazione popolare, attivare pratiche mutualistiche, sostenere tutto ciò che sotto traccia si muove contro la competizione e per la condivisione… La politica come “gioco politico” e costruzione delle alleanze non è sufficiente: rischia di sommare solo pezzi di ceto politico, senza alcuna presa mobilitante. In Liguria può contare sulla debolezza della Paita: ma è troppo poco per superare il “divorzio dal popolo”, che è oggi il vero punto debole della sinistra.
Io ho riflettuto sulla mia esperienza. Non ho cercato la proposta di candidatura, però ho detto di sì. L’ho fatto per spirito di servizio, ma è stato anche un atto di libertà. In precedenza, prima pezzi di Pd e poi Sel mi avevano prospettato tante candidature (politiche 2008, europee 2009, regionali 2010, comunali 2012, politiche 2013) ma io le avevo sempre rifiutate senza pensarci nemmeno un minuto. Se questa volta ho detto sì, vuol dire che mi è scattata una molla dentro: non solo l’amore per la mia Liguria così maltrattata, ma anche la consapevolezza che il futuro è qui, in questa osmosi tra sociale e politico, non negli esperimenti fatti con alambicchi arrugginiti.
Poi mi sono ritirato (si veda “Solo l’alleanza tra civismo e sinistra avrebbe potuto sconfiggere il sistema dominante”, in La Gazzetta della Spezia, 10 aprile 2015, ora in www.associazioneculturalemediterraneo.com). In quel campo di gioco -l’alleanza tra civismo e sinistra-avevo fallito, massacrato dalla logica “partitista” dei vertici nazionali dei partitini. Giocai la carta della “figura terza”, ma non fu nemmeno presa in considerazione. Per un altro progetto non c’era il tempo: non solo e non tanto per l’organizzazione, quanto per il radicamento sociale e per l’elaborazione politico-programmatica (il nesso è stretto: il progetto di una nuova Liguria si costruisce solo con la partecipazione, il confronto con il popolo). Che cos’è una lista civica, sociale, popolare, alternativa ai partiti non lo sapevo e non lo so bene ancora. Tuttavia la fiammella va tenuta accesa: è il grande merito della lista civica “Progetto Altra Liguria” e di Antonio Bruno, persona coerente e assolutamente perbene, che la guida. Un lievito per il futuro, che continua il lavoro iniziato e può attrarre chi pensa di non votare.
E’ una lista alternativa ai partiti, e anche alla sinistra che c’è. Bisogna guardare a una storia, anche gloriosa, e intonare il requiem. “La sinistra che conosciamo è morta”, scriveva Luigi Pintor, il miglior giornalista della sinistra italiana, nel suo ultimo articolo (2003). Nella notte del Natale 2010 don Andrea Gallo mi scriveva: “La Sinistra è ‘quasi’ fuori dalla Storia”. Non è morta definitivamente, ma richiede, per rinascere, un progetto politico e sociale completamente nuovo. La parola “sinistra” richiama altro rispetto al significato originario: oggi significa il vecchio, una classe dirigente che ha fallito. Quella che Stefano Rodotà chiama “zavorra”. Ha ragione, allora, Pablo Iglesias, leader di Podemos: “l’obbiettivo non è l’unità della sinistra ma l’unità popolare”.
“Progetto Altra Liguria” non vincerà le elezioni, come del resto non le vincerà Rete a sinistra. Potrà però esercitare un utilissimo ruolo di opposizione al sistema dominante. E potrà anche esercitare un utilissimo ruolo di governo, se vinceranno i Cinque Stelle e se essi non avranno, come è probabile accada a chiunque vinca, la maggioranza in Consiglio. Sarebbe un “laboratorio politico”, questo sì, assolutamente interessante. Che potrebbe coinvolgere la stessa Rete a sinistra, se il suo spazio politico si rivelasse davvero alternativo al Pd.
Certo, vedo bene le contraddizioni del M5S. E’ un movimento che attrae gran parte delle forze a cui guarda una lista civica progressista radicale: lo fa con le sue iniziative in campo ambientale così come in quello del welfare (reddito di cittadinanza). Svolge, inoltre, un ruolo positivo di socializzazione politica e di rinnovamento della rappresentanza. Ma fa anche proposte inaccettabili, come quelle sull’immigrazione; ed è un movimento padronale, monocratico. Va quindi incalzato e sfidato a trasformare se stesso. E’ difficile, ma non c’è alternativa: a meno di stare nel campo del centrosinistra o del centrodestra. Ma abbiamo sperimentato al governo della Liguria entrambi gli schieramenti, e con risultati negativi. Leggiamo un altro bravo commentatore, Marco Damilano, nell’ultimo numero de “L’Espresso”: “Claudio Burlando era il capo del Bloccone: la coalizione trasversale di partito, sindacato, Finmeccanica, Fincantieri, Autorità Portuale, Camera di Commercio, Curia, Banca Carige che da anni comandava in città e in regione e impediva ogni cambiamento. Il Bloccone controllava, nominava, guidava il credito e le carriere. Ed è arrivato al capolinea, con la rovinosa caduta del Presidente della Carige Giovanni Berneschi e i guai dei due Claudii: giudiziari quelli di Claudio Scajola sul lato Forza Italia, politici quelli di Claudio Burlando a sinistra, lo sciogliete le righe del vecchio partito, tra inimicizie e odi intramontabili… Ma i voti dei Cinque Stelle sono in crescita, la candidata Salvatore è agguerrita. E la vecchia Liguria potrebbe anticipare il futuro della politica nazionale”. Meglio non si potrebbe dire. Aggiungo solo che c’è da augurarselo.
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