Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 29 novembre ore 16.30 a Pontremoli
24 Novembre 2024 – 21:44

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 29 novembre ore 16.30
Pontremoli – Centro ricreativo comunale
Il libro di Dino Grassi “Io sono un operaio. Memoria di un maestro …

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Il colonnello guerrigliero

a cura di in data 18 Maggio 2015 – 09:30
Alta via dei monti liguri, vetta del Monte Gottero, la croce in ferro in memoria dell'Anno Santo 1933 e la stele in memoria del rastrellamento nazifascista del 20 gennaio 1945, collocata a cura degli operai dell'Oto Melara    (2015)    (foto Giorgio Pagano)

Alta via dei monti liguri, vetta del Monte Gottero,
la croce in ferro in memoria dell’Anno Santo 1933
e la stele in memoria del rastrellamento nazifascista
del 20 gennaio 1945,
collocata a cura degli operai dell’Oto Melara
(2015) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 10 maggio 2015 – Nei tanti incontri che ho tenuto in occasione del 70° della Liberazione la domanda più frequente che mi veniva fatta, soprattutto tra i più giovani, era questa: “Ma come fecero i 2500-3000 partigiani della IV Zona operativa a resistere e a vincere contro forze così soverchianti, decine di migliaia di tedeschi e di fascisti?”.

Fondamentale fu l’appoggio della popolazione civile, che li protesse, li sfamò, li incoraggiò durante quei 19 mesi; decisivo fu il ruolo militare degli Alleati; ma molto del merito fu anche loro, del loro eroismo e della loro efficienza militare. Ecco, quanto a quest’ultima, è giusto ricordare le virtù del Comando Unico e soprattutto del suo comandante, che seppe infondere equilibrio, senso di responsabilità e serenità ai partigiani: il colonnello Mario Fontana.

Ma chi era Mario Fontana? E perché la scelta del comandante cadde su di lui? Era uno spezzino, classe 1897. La sua formazione di combattente fu precoce e impegnativa: partecipò a 18 anni alla prima guerra mondiale, a 20 era già capitano, con una Croce di guerra e una Medaglia di bronzo al valor militare. Divenne poi insegnante di tattica militare alla Scuola Allievi Ufficiali di Spoleto. Arrivò la seconda guerra mondiale: Fontana vi partecipò con il grado di colonnello, e compì molte azioni. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 non trovò nessuno dei suoi capi militari e, nello sbandamento generale, cercò conforto negli affetti familiari, presso la madre e la moglie sfollate a Monterosso. Da lì si recò al Comando Militare della Spezia per precisare il suo rifiuto a servire i tedeschi e la sua decisione di combatterli. Venuto a conoscenza della formazione delle prime bande ribelli ai monti, decise di entrare nella lotta. Fu nella tarda primavera del 1944 che il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale, costituito dai partiti antifascisti) gli affidò il difficilissimo compito di organizzare e addestrare i nostri partigiani.

Mario Fontana era un uomo con tre doti: la competenza militare, la fede nei valori alla base della lotta partigiana (divenne membro del CLN per il Psi) e l’amore per i giovani. Riuscì nel suo compito per questo insieme di qualità. Essere nominato comandante significava infatti molto poco: bisognava conquistarsi la fiducia di tutti i gruppi partigiani! Fontana ci riuscì, vinse la naturale prevenzione dei partigiani nei confronti dei militari e diventò “il comandante”, colui che fece di uomini , o meglio ragazzi, pieni di ideali ma divisi dalle diverse idee politiche e dalla diversa educazione, e insofferenti a ogni disciplina, i membri di un “esercito popolare” disciplinato e organizzato.

Le brigate erano cresciute troppo in fretta, con gravi problemi di disciplina e di organizzazione, e con scarso coordinamento tra i diversi comandi. Non a caso il rastrellamento del 3 agosto 1944 fu una grande sconfitta per i partigiani, che ebbero ben 120 caduti: solo poche formazioni furono in grado di reggere l’assalto nemico. Fontana diede le dimissioni, che furono respinte. A mano a mano le formazioni si riorganizzarono: il Comando venne riformato il 3 settembre 1944. La sede era ad Adelano di Zeri, in seguito a Fontanafredda di Rocchetta Vara. Fontana assunse il nome di battaglia di “Turchi”, poi di “Cossu”. Sfuggì sempre ai tedeschi e ai fascisti, che arrivarono a imprigionare la moglie per ricattarlo. Cominciarono le azioni coordinate di guerriglia: occupazioni di caserme per sequestrare armi, distruzione di ponti, atti di sabotaggio. I partigiani resistettero al terribile rastrellamento del 20 gennaio 1945 (la “Battaglia del Gottero”), costringendo 25.000 nazifascisti a ritirarsi. Fu una delle più belle pagine di eroismo e di sacrificio della Resistenza italiana, vinta grazie soprattutto alla tattica militare decisa dal Comando: la difesa e lo “sganciamento”, cioè la tattica della guerriglia. Fu lo scacco definitivo per i nazifascisti, che aprì il cammino allo scatenamento della lotta partigiana fino alla vittoria di aprile.

Scuola media Mario Fontana, lapide a Mario Fontana     (2015)   (foto Giorgio Pagano)

Scuola media Mario Fontana,
lapide a Mario Fontana
(2015) (foto Giorgio Pagano)

Ma leggiamo alcune parole del ricordo di Fontana pronunciate da Pietro Mario Beghi, il Prefetto della Liberazione, nel discorso tenuto il 5 ottobre 1964 in occasione della inaugurazione della scuola media a lui intitolata: “Mario Fontana aveva realizzato il suo capolavoro: lotta alle barbarie, lotta agli aspetti truci dei primi mesi, lotta alle improvvisazioni e alle avventure, lotta agli eroismi individuali. Calma, metodicità, paziente ricerca del minimo mezzo, rispetto di se stessi e degli altri (anche dei nemici), intima e fraterna collaborazione con le popolazioni delle quali i partigiani dovevano essere diretta espressione. Mentre Mario Fontana forgiava a sua somiglianza i propri ragazzi, questi trasfondevano giorno per giorno in lui nuove energie, nuovi entusiasmi, nuove speranze. Mario Fontana ebbe piena coscienza di questo travaglio e ne andava orgoglioso. Impose i suoi partigiani al rispetto di tutti: nemici e alleati. Insegnò che con i nemici bisognava essere dignitosi e anche generosi, ma irriducibili; che con gli amici bisognava essere leali ma gelosi della propria dignità. Quando il 25 aprile 1945, dopo aver aperto la strada agli Alleati che inseguivano i nazifascisti in rotta verso i valichi appenninici, fece confluire le sue formazioni su Spezia, su Spezia distrutta e martoriata, diede inequivocabile segno che, scacciata la barbarie, entrava la civiltà, una civiltà nuova. Lo testimonia il fatto che gli Alleati non lasciarono alla Spezia un solo reparto delle proprie truppe: bastava il colonnello Mario Fontana con i suoi partigiani. Designato dal CLN ad assumere la carica di Prefetto della Spezia, rifiuta e a nulla valgono le molte pressioni universalmente esercitate su di lui. Preferisce continuare a interessarsi ai suoi ragazzi, costituisce l’associazione partigiana. Il 1° giugno 1945 viene nominato Comandante del Presidio Militare e Capo Ufficio della Commissione interrogatorio prigionieri, e successivamente promosso al grado di Generale di Brigata per meriti di guerra. La guerra aveva logorato le sue energie fisiche e mentali e un male atroce ebbe a stroncarlo il 10 maggio 1948 presso una clinica medica di Firenze. La Spezia aveva perduto uno dei suoi figli migliori, simbolo dell’epopea partigiana della IV Zona operativa, dei giorni in cui si moriva perché l’Italia vivesse”.

La figura di Fontana merita senz’altro di essere studiata e approfondita. Senza alcuna agiografia, cercando di conoscere meglio alcune vicende, dall’uccisione del comandante Dante Castellucci “Facio”, circa la quale non risulta alcun documento sulla posizione di Fontana, fino alla sostituzione, alla testa della Brigata “Cento Croci”, del comandante “Richetto” con “Wollodia”. Certo è che Mario Fontana rimarrà sempre, nella nostra memoria, il “colonnello guerrigliero”, l’artefice della costruzione del nostro “esercito popolare”.

Concludo con un’altra citazione tratta, come quella precedente di Beghi, da un libro prezioso, ormai introvabile: “1945-1995. 50° Anniversario della Liberazione. Documenti e testimonianze”, pubblicato nel 1995 dalla scuola Fontana. Ho letto il libro nei giorni scorsi, in occasione del ricordo di Fontana nella “sua” scuola. La citazione è di Tommaso Lupi, che del Comando era il Commissario politico, designato dal CLN con compiti di educazione politica dei partigiani. Una personalità diversissima da Fontana (si veda, in questa rubrica, “Lerici ribelle”, 27 aprile 2014): un operaio lericino, protagonista delle lotte operaie fin dal 1917, quando, sedicenne, lottò per le otto ore nel cantiere del Muggiano, e poi dell’occupazione delle fabbriche nel 1920. Lupi aderì al Pci e sotto la dittatura fascista entrò in clandestinità: fu responsabile della prima tipografia clandestina, nata nel 1929 a Lerici, per stampare il giornale l’Unità, volantini e manifesti; fu arrestato nel 1933, condannato al carcere e poi al confino fino all’8 settembre; tornato a Spezia, gli fu nuovamente affidato il compito della tipografia clandestina, questa volta alla Rocchetta, nella villa del Fodo, fino al settembre 1944, quando i tedeschi sequestrarono la villa. Lupi andò allora ai monti, e fu nominato Commissario politico della IV Zona a fine ’44, al posto di Antonio Cabrelli “Salvatore”. Ecco come Lupi ricorda Fontana, in una testimonianza raccolta dalla scuola: “Lupi rimase colpito dalle capacità militari e organizzative del colonnello ‘Turchi’, ma soprattutto dalla sua coscienza antifascista e dalla volontà di lottare fino alla vittoria. Un episodio che Lupi ricorda particolarmente è quando, l’ultimo giorno del grande rastrellamento del gennaio ’45, lui e Fontana si ritrovavano vicino a Caranza (sopra a Varese Ligure) dove, nascosti in una caverna erano riusciti a sfuggire ai tedeschi. Subito dopo mezzogiorno arrivarono a Porciorasco in una casa di contadini per ricevere le ultime notizie radio. Poco dopo si sentì un grande trambusto all’esterno, e un contadino, entrando precipitosamente in casa, li avvisò che i tedeschi erano ritornati. I due scapparono giù per una mulattiera che andava verso Costola e Buto, camminando faticosamente sulla neve ancora alta. I tedeschi, che si erano accorti della fuga, iniziarono a seguirli e Fontana, seguito da Lupi, si buttò nel torrente che scorreva proprio sotto la mulattiera; continuarono a correre seguendo la corrente, trovandosi talvolta quasi sommersi dall’acqua. Quando non sentirono più gli spari degli inseguitori, decisero di ritornare a Caranza, che raggiunsero verso mezzanotte. Vennero ospitati in una casa di contadini che li rifocillarono e fornirono loro degli abiti asciutti. Ecco come Lupi conclude il racconto: ‘Rifocillati e rasserenati, il colonnello Fontana mi guardò ed esclamò: ‘Caro Lupi, anche questa volta possiamo contarla, l’abbiamo scampata bella’. Poi tra il serio e il faceto soggiunse: ‘Vedo che non hai più il tuo Sten, forse l’hai abbandonato in quella casa in cui eravamo ad ascoltare la radio; orbene, per abbandono dell’arma in tempo di guerra, dovrei punirti come si fa nell’esercito -anche se sei Commissario di Zona- ma lasciamo perdere, qua la mano’. E così dicendo mi strinse calorosamente la destra, come un fratello. Ancora oggi, quando penso a quel momento, mi si inumidiscono gli occhi’””.

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