Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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La festa di tutti

a cura di in data 11 Maggio 2015 – 09:42
La Spezia, Monumento alla Resistenza (2006)  (foto Enrico Amici)

La Spezia, Monumento alla Resistenza (2006)
(foto Enrico Amici)

Città della Spezia, 3 maggio 2015 – Qual è stato il tratto distintivo di questo 25 aprile? Oggi si conclude la “Festa della Liberazione”, organizzata dal Comune e dal Comitato Unitario della Resistenza a settant’anni dal 25 aprile 1945: nove giorni di incontri e spettacoli, accompagnati da celebrazioni e momenti di ricordo che sono stati organizzati in ogni paese della provincia, in tante scuole, davanti a tante lapidi… La mia sensazione, dopo aver partecipato a molte iniziative, è che il 25 aprile stia diventando una festa di tutti. E che le polemiche del passato abbiano lasciato il posto a una visione più condivisa: il 25 aprile come festa della nostra democrazia. Perché è in quegli anni, dal ’43 al ’45, che vennero poste per la prima volta le fondamenta di uno Stato democratico nel nostro paese. Come scrisse Norberto Bobbio, la Resistenza ha rappresentato una “grande frattura” tra l’Italia di ieri e l’Italia di oggi: “Resistenza e Repubblica democratica fanno tutt’uno, altrettanto fanno tutt’uno fascismo e negazione radicale di ogni principio di democrazia”. Solo dieci anni fa, ricordiamolo, c’era chi proponeva di abolire il 25 aprile: fu il momento più basso della campagna “antiantifascista” che cercava per l’Italia radici identitarie diverse dalla Resistenza e dal patto costituzionale.

Il livore revisionista si è, in questi anni, attenuato. Soprattutto perché il revisionismo non ha mai saputo rispondere alla vera domanda che gli è stata posta, sempre da Bobbio: se avessero vinto i nazifascisti che cosa sarebbe accaduto? Così come è del tutto insostenibile la tesi dell’equivalenza delle cause per cui si battevano i partigiani e i militi di Salò. Ritorna utile, su questo punto, un’altra riflessione di Bobbio: quella sull’importanza della distinzione tra la moralità degli individui e la moralità delle singole cause. Solo questo criterio ci permette di distinguere e contrapporre chi ha combattuto per Salò e chi dall’altra parte, evitando di porre sullo stesso piano storico e morale gli uni e gli altri. Come scrisse Cesare Pavese in “La casa in collina”, i morti sono egualmente degni di pietà, ma fu la guerra partigiana a dare forma, voce e respiro a un paese che vent’anni di dittatura avevano sfibrato, e a consentire all’Italia di non finire tra le nazioni nemiche vinte. Alla Conferenza di Pace dell’agosto del ’46 a Parigi il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi poté rivolgersi al mondo appena uscito dalla guerra tutelando la dignità degli italiani, nonostante l’alleanza dei fascisti con i nazisti, perché parlava a nome di tutti i resistenti che avevano ridato all’Italia l’onore perduto.

Qualcuno, anche a Spezia, ha voluto ricordare il ruolo determinante degli alleati dal punto di vista militare. Che certamente fu tale. Ma quello dei partigiani non fu irrilevante. Carlo Borione “Bill secondo”, appena letta la polemica, mi ha telefonato per esprimermi tutto il suo dolore, lui che fu ferito dai tedeschi proprio nella battaglia di aprile che liberò Spezia (si veda la sua testimonianza in questa rubrica: “L’epopea del Gottero”, 25 gennaio 2015). Il 24 aprile i partigiani attaccarono i tedeschi asserragliati a San Benedetto di Riccò del Golfo e li annientarono in serata, ma ebbero gli ultimi cinque caduti. Altri combattimenti si tennero nelle colline a nord est della città. Il 25 aprile il grosso delle formazioni ribelli scese a Spezia e sfilò per le vie della città, mentre il CLN si insediò in Prefettura: il segretario del Comitato, Mario Pietro Beghi, assunse la carica di Prefetto. Ma se è doveroso ricordare il contributo dei partigiani dal punto di vista militare, è giusto evidenziare il loro ruolo anche e soprattutto sul piano politico e morale: avevano dimostrato a tutti gli italiani e al mondo intero che dall’interno dell’Italia stessa era nata un’alternativa al fascismo. Fu questa la forza che diedero a chi ci rappresentò alla Conferenza di Pace del ’46. Ed è questa l’eredità più preziosa che ci hanno lasciato.

Credo sia giusto, poi, evidenziare che, nelle tante iniziative, l’attenzione viene sempre più posta sulla Resistenza come lotta non solo armata ma anche civile, sul sostegno solidale della popolazione alla lotta partigiana. Con il risultato di contribuire a quella condivisione di cui parlavo all’inizio. Un grande storico della Resistenza, comandante partigiano della Divisione “Lunense” in Lunigiana, Roberto Battaglia, usò il termine “società partigiana”: qualcosa di più del sostegno, direi l’assunzione di una responsabilità collettiva. Uno scatto di soggettività popolare di massa che ci viene raccontato dalle gesta dei contadini, degli operai, delle donne, dei sacerdoti, dei militari che rifiutarono di arruolarsi nelle brigate nere… Cito ancora Bobbio: la Resistenza fu “un grande moto storico”, un fatto nuovo nella storia italiana, anche rispetto al Risorgimento, essendo stata non solo una “rivoluzione di intellettuali”, ma anche “la più grande lotta” mai combattuta da “coloro che non sono mai stati considerati, se non in momenti eccezionali, i protagonisti della storia”.

Alta via dei monti liguri, veduta dal monte Dragnone dal monte Civolaro  (2015)  (foto Giorgio Pagano)

Alta via dei monti liguri,
veduta dal monte Dragnone dal monte Civolaro
(2015) (foto Giorgio Pagano)

Infine qualche considerazione sull’oggi. Nel mio intervento alla manifestazione del 25 aprile al Monumento alla Resistenza ai Giardini Pubblici ho insistito sull’attualità della Costituzione, e sulla necessità di attuarla, anziché stravolgerla. La Costituzione merita ed esige più rispetto: c’è troppa fretta, troppa facilità nel metterci mano. Ed è il vero “programma di governo” in questa Italia così smarrita. Ora, dopo l’approvazione della nuova legge elettorale, insisterei ancora di più su questo punto. E’ vero che non è stata toccata la Costituzione formale, ma quella materiale sì. Ci sarà, al governo del Paese per un’intera legislatura, un uomo solo al comando, padrone incontrastato di un Parlamento ridotto a un guscio vuoto. Ma limitare il danno e magari innescare un’inversione di tendenza non è per niente facile. Dobbiamo interrogarci a fondo sulla crisi del tessuto politico-sociale che costituì il contesto in cui nacque la Costituzione. Da un lato c’è la crisi dei partiti, lo svuotamento del loro senso democratico, che ha determinato la crisi profonda della democrazia rappresentativa. Ma c’è anche la crisi della “società partigiana”, che è molto meno “partigiana” di un tempo, è più passiva e privata di soggettività, ripiegata sull’”io” e lontana dal declinare il “noi”. Salveremo e attueremo la Costituzione se saremo capaci di ricostruire partiti democratici e popolari e di ricostruire una “società partigiana” per l’oggi, un nuovo impegno collettivo e sociale. Credo che l’accento vada messo su questo impegno collettivo e sociale: è evidente che non usciremo dalla crisi della democrazia con le forze che oggi sono dentro i partiti. Solo con l’impegno collettivo e sociale potremo non ripetere l’errore fatto durante il fascismo, indicato da un giovanissimo condannato a morte della Resistenza in una lettera ai genitori, e ripreso nei giorni scorsi dal Presidente della Repubblica: “non volerne più sapere della politica”.

lucidellacitta@gmail.com


SETTANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE

La Spezia, Monumento alla Resistenza 25 aprile 2015

Intervento di Giorgio Pagano
Copresidente del Comitato Provinciale Unitario della Resistenza

Autorità, cittadini, compagni e amici partigiani,
grazie per essere qui ancora una volta, al Monumento alla Resistenza, a tenere viva, settant’anni dopo, la memoria del 25 aprile. Una testimonianza che è forza di futuro, continuità del sogno e impegno per realizzarlo: un Paese di persone eguali nei diritti e libere. L’Italia della Costituzione, eredità immensa della Resistenza.

Ricordiamo i compagni e gli amici che ci hanno lasciato nell’ultimo anno. Due nomi per tutti: l’ultimo comandante, Nello Quartieri “Italiano”, garibaldino del “Matteotti Picelli”, uomo di grande rigore morale, e la staffetta Vanda Bianchi “Sonia”, garibaldina della “Muccini”, testimone instancabile della Resistenza e della lotta per i diritti delle donne. Non vi dimenticheremo. Ringrazio tutti gli “ultimi” che sono con noi: per quanto facciano fatica, vogliono testimoniare ancora, sono pieni di speranza.

Settant’anni fa i partigiani fecero il loro trionfale ingresso in città. Le fabbriche e il porto erano stati minati dai tedeschi al fine di distruggere la città: ma furono costretti a rinunciare. L’arrivo degli Alleati avvenne senza dover sparare neppure un colpo, perché i nazifascisti erano stati già spinti alla fuga.
Il Comitato Provinciale Unitario della Resistenza ha iniziato le manifestazioni del 70° della Liberazione nel 2013. Perché la Resistenza, preparata nella lotta clandestina nel ventennio fascista, iniziò subito dopo la caduta di Mussolini, il 25 luglio ‘43. La prima grande manifestazione popolare si tenne il 29 luglio, con due giovani operai uccisi. Abbiamo poi ricordato l’8 settembre, la disfatta dello Stato, l’invasione tedesca; e la scelta della Marina di sottrarre le navi del nostro porto ai tedeschi, il sacrificio di 1250 marinai della corazzata Roma: una scelta che dimostrò senso del dovere e dell’interesse della Patria, i sentimenti che animarono la Resistenza.

Dopo l’8 settembre cominciarono a formarsi le prime bande dei ribelli nelle nostre colline e montagne. Erano militanti dei partiti antifascisti, militari sbandati, giovani renitenti al bando della Repubblica fascista di Salò. I partigiani riuscirono a superare due terribili inverni solo grazie a uno straordinario sostegno popolare: dei contadini, delle donne, dei sacerdoti, degli operai, con il grande sciopero politico del marzo ‘44. In questi due anni abbiamo ricordato i principali eventi, cercando di dare il senso della Resistenza spezzina come grande moto di popolo, unione di lotta armata e lotta civile. Non a caso i civili furono vittime di rappresaglie: la più terribile a Migliarina, il 21 novembre ‘44, cui seguì la deportazione di massa nei campi di sterminio nazisti.

Da oggi al 3 maggio, insieme al Comune, abbiamo organizzato ai Giardini Pubblici la “Festa della Liberazione”, per unire al rispetto verso chi si sacrificò la gioia dello stare insieme e la riflessione sull’attualità dei valori della Resistenza.

Alla radice della Resistenza furono due grandi scelte. La prima: i resistenti non accettarono di essere spettatori passivi della storia. Furono uomini e donne che scelsero di pensare alla vita non come a una chiusura in se stessi ma come a un cammino da percorrere insieme agli altri. La seconda: furono uomini e donne che scelsero il bene contro il male, la libertà contro la dittatura, il coraggio contro l’opportunismo.

La scelta del cammino con gli altri e la scelta del bene: ecco ciò che accomuna le varie forme di Resistenza, con le armi e senza le armi. Per la prima volta nella storia d’Italia gli italiani vissero un’esperienza di disobbedienza di massa. E questo fu ancor più vero per i giovani. I giovani si ribellarono non solo ai nazisti invasori e ai fascisti oppressori, ma anche a un ordine sociale ingiusto. La Resistenza fu infatti innervata anche da radicali speranze di rivolgimento sociale.

C’è una parola, quasi caduta in disuso, che significa lottare per la libertà propria e di tutti, e che indica al tempo stesso la liberazione dalla schiavitù dell’ignoranza, dalla menzogna della propaganda del regime e della formazione scolastica. E’ la parola emancipazione. Ecco, i giovani si emanciparono, si liberarono dalle costrizioni più odiate e scoprirono nuovi modi di essere e di vivere: con gli altri e per gli altri, per il bene e per la libertà. La Resistenza fu anche questo: un grandissimo momento di crescita, di formazione di sé, di educazione alla vita.

Leggiamo insieme alcuni testi. Questo è dello scrittore Guido Piovene:
“Ricordo quei mesi tra i più belli della mia vita. Non furono tetri, ma allegri. Sentivo entrare in me di giorno in giorno la salute morale, come una salute fisica. Ho imparato in quei mesi in che cosa consista l’essenziale colleganza tra gli uomini. Ho avuto la massima gioia che possa toccare a un uomo, quella di trovarsi con uomini di ogni qualità, e di sentirsi solidale con tutti”.
Queste parole, invece, sono del filosofo Norberto Bobbio, che riferisce ciò che dicono ancora i suoi compagni:
“Abbiamo imparato a capire che cosa significa una vita degna di uomini… Quello che abbiamo imparato in quei pochi mesi non l’abbiamo più dimenticato… E’ stata una lezione per tutta la vita: l’unica vera lezione della nostra vita”.
Ed ecco infine le parole dello storico Giorgio Bocca:
“Io ho la religione della guerra partigiana. Per come l’ho vissuta, è stata un’esperienza formidabile, quasi incredibile per un paese come il nostro pieno di ‘tira a campare’ e di ladri. E’ stata un’esperienza dove il paese ha rivelato il meglio di se stesso, quindi io ne ho un ricordo entusiasmante. E’ stata la prova che gli italiani nel peggio danno il meglio. Quando tutto è perso, quando si rischia di essere denunciati e fucilati in ogni momento, ecco che scatta la solidarietà e trovi della gente che ti aiuta”.

Potremmo ricordare tante pagine drammatiche della Resistenza spezzina: il rastrellamento del 3 agosto ’44 e quello, ancor più terribile, del 20 gennaio ’45 in Val di Vara e Lunigiana; quello del 29 novembre ’44 in Val di Magra. Ma la Resistenza, nonostante la tragedia e lo sconforto, si riorganizzò sempre, riprese forza, superò ogni ostacolo, fino alla vittoria di aprile. Eppure i protagonisti di allora non sapevano come sarebbe andata a finire. Il 20 gennaio il ripiegamento e la salita al Gottero furono terribili, a 15-20 gradi sottozero di notte, senza l’equipaggiamento adatto, senza cibo per giorni. Quando la brigata autonoma “Cento Croci” arrivò sulla vetta era il tramonto, e si vedeva Spezia, il mare. Terzo Ballani “Benedetto”, il commissario politico, disse al cappellano don Luigi Canessa: “Guardi, don Luigi, quanto è bello il mare, il nostro mare, ma il mare non è fatto per noi”. Il prete fu colpito: tutti gli spezzini erano commossi, anche “Benedetto”, l’uomo indurito dal carcere e dal confino fascisti, che espresse con quelle parole il sentimento di tutti: non erano certi di poter rivedere il loro mare. Eppure i partigiani non si arresero mai. In nessun altra fase della storia nazionale l’Italia ha mobilitato tanta passione civile. Mai così tante persone hanno scelto di mettere in gioco la propria vita per la collettività. Non solo tra i partigiani ai monti, ma anche nella società che li appoggiava e li fiancheggiava. E’ difficile capire oggi come questa impresa sia potuta accadere, tanto più in un Paese che veniva da una dittatura ventennale, con una pedagogia di massa che non aveva certo educato alla libertà e alla solidarietà. Eppure accadde. Come fu possibile? Perché ci fu quell’emancipazione, quella formazione di sé: la scelta del cammino con gli altri, la scelta morale del bene contro il male.

La Resistenza è uno spartiacque cruciale nella storia d’Italia, quello in cui bene e male sono stati distinti una volta per tutte; che ha imposto a un popolo di schierarsi, da una parte o dall’altra. La forza della Resistenza è che ci spinge a prendere una posizione netta, alla scelta morale. Come allora e come sempre, anche oggi bisogna scegliere tra il bene e il male. Ecco perché è inaccettabile, come ha detto il Presidente della Repubblica, che il Mediterraneo sia una grande fossa comune per persone che cercano una vita migliore. La nostra umanità deve ribellarsi, come fece settant’anni fa. E deve scegliere il bene: la solidarietà, l’accoglienza, la lotta alle mafie e ai trafficanti per togliere loro il monopolio sulle vite e sulle morti dei fuggitivi, la predisposizione di vie legali di fuga, presidiate dall’Unione europea e dall’Onu.

La forza della Resistenza è spingerci alla scelta morale. E’ la forza che la rende il mito fondativo della nazione. Ed è questa forza, in tempi di passioni tristi, il grande messaggio politico e morale consegnato all’Italia di oggi. Cambieremo l’Italia soltanto tornando ai valori della Resistenza e della Costituzione nata dalla Resistenza.

Bisognerebbe davvero che i nostri politici, al governo e all’opposizione, leggessero la nostra legge fondamentale, che contiene l’insieme delle regole alle quali deve conformarsi il potere. Molti forse non l’hanno mai letta, molti l’hanno dimenticata. E’ un testo attualissimo, ma ignorato, disapplicato, quando non avversato. Ma la Costituzione, ha detto il Presidente della Repubblica, “vive perché viene applicata nei suoi valori”.

Pensiamo all’eguaglianza, principio fondamentale della Costituzione: l’eguaglianza formale o giuridica, secondo cui tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, e l’eguaglianza sostanziale, secondo cui la legge deve garantire il rispetto della persona umana nella società. Eguaglianza di fronte alla legge ed eguaglianza di fronte alla società, al di là delle diverse condizioni sociali. Le differenze sociali ci sono, e comportano diseguaglianze tra i cittadini. La Costituzione non lo ignora, e afferma di conseguenza: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. La Costituzione si impegna quindi a eliminare le differenze sociali e a tutelare le situazioni di diseguaglianza economica nel campo della giustizia, della salute, della scuola. O, ancora, pensiamo al diritto al lavoro: la Costituzione attribuisce all’attività lavorativa un ruolo centrale nella vita dello Stato, che non è più soltanto garante dei diritti di libertà di tutti i cittadini, ma è chiamato a intervenire nei rapporti sociali per impedire il predominio del potere economico fondato sul capitale e per consentire una più equa redistribuzione dei beni economici tra le diverse classi sociali. Ecco perché “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Un ultimo esempio, riguardante la libertà di iniziativa economica privata: essa non è assoluta, ma incontra limiti oggettivi nel fatto che non deve porsi in contrasto con l’utilità sociale e non deve recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La Costituzione vuole cioè impedire che la proprietà del capitale condizioni la società civile e di conseguenza il diritto al lavoro. Nella Costituzione è ben presente la situazione concreta esistente nella società, nella quale il lavoratore è il soggetto debole rispetto all’imprenditore, soggetto forte. E la Costituzione non usa mai a caso le parole: il lavoro è definito “diritto”, mentre l’iniziativa economica è definita “libertà”, peraltro non assoluta.

Ecco qual è il problema della politica: tornare a questa lezione, a questo “programma di governo”.
Di fronte alla gravissima crisi del Paese dobbiamo tornare alla Costituzione, che ci detta un sentiero di profonda inversione di rotta rispetto agli ultimi decenni: partecipazione popolare, diritti, dignità del lavoro, lotta alle diseguaglianze. Il problema della politica non è la “governabilità”, cioè le riforme per restringere il campo del comando, ma la capacità di rappresentare la società, il lavoro in primo luogo, e di battersi per la sua dignità. Il sentiero della Costituzione è l’unica garanzia di un Paese libero e civile. E’ il sentiero che impedisce il ritorno al passato ed è un monito contro ogni rischio di autoritarismo.

Settant’anni fa c’è stata gente che non aveva ricavato dalla politica notorietà o carriera, ma alla politica aveva dato, mettendo a rischio fino in fondo la propria vita, per amore delle generazioni che sarebbero venute. La Resistenza ci dice che cosa deve essere la politica: un’attività che si ispira a valori e interessi collettivi, fatta da persone capaci di dare piuttosto che di chiedere. C’è uno straordinario bisogno, in questa Italia della carestia morale, in cui i valori e gli interessi rischiano di essere solamente quelli privatistici e individualistici, di questa concezione della politica. Il partigiano Giacomo Ulivi, alla vigilia della morte, scrisse agli amici: “Tutto noi dobbiamo rifare. Tutto, dalle case alle ferrovie, dai porti alle centrali elettriche, dall’industria ai campi di grano. Ma soprattutto dobbiamo rifare noi stessi: è la premessa per tutto il resto”. Parole intensamente attuali, settant’anni dopo. Parole preziose per costruire, sulla strada tracciata dalla Costituzione, un’altra Italia, migliore e più giusta.

Viva la Resistenza, viva la Costituzione, viva il 25 aprile!

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