La terra brucia, facciamo a meno del carbone
Città della Spezia, 7 dicembre 2014 – Come dimostrano le alluvioni in Liguria, gli eventi catastrofici legati al riscaldamento globale si susseguono: siamo dentro il drammatico passaggio dalla stabilità all’instabilità climatica. Le cause del climate change sono innanzitutto le emissioni di Co2. La concentrazione di Co2 in atmosfera ha raggiunto il livello di tre milioni di anni fa, e il clima sta diventando più estremo, come allora. Ce lo spiega molto bene l’ultimo Rapporto della Wmo, l’Organizzazione meteorologica mondiale: il Greenhouse gas bulletin. Ma la lettura più istruttiva è quella del V Rapporto sul clima dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change), organo dell’Onu, pubblicato tra la fine del 2013 e il marzo 2014. Con il I Rapporto di 25 anni fa questa istituzione, che si avvale di oltre 2500 scienziati e centri di ricerca in tutto il mondo, aveva avviato il processo che portò, quasi dieci anni dopo, l’11 dicembre 1997, agli accordi di Kyoto, firmati da Bill Clinton ma non approvati dal Congresso americano e successivamente disdetti da George Bush jr. Il 16 febbraio 2005, per una felice iniziativa dell’Unione europea, anche la Russia di Vladimir Putin e i Paesi a lei vicini firmarono il trattato facendo raggiungere il quorum necessario per la sua entrata in vigore. La Russia, che aveva avuto un pauroso tracollo industriale pauroso dopo il crollo dell’Urss, era allora al di sotto dei limiti di Kyoto. In piena epoca neoliberista, questi accordi imponevano comunque vincoli e interventi pubblici per ridurre le emissioni di Co2 nell’atmosfera e per sviluppare le energie rinnovabili in sostituzione di quelle fossili.
Dall’obbligo di rispettare i limiti erano esclusi i Paesi in via di sviluppo. E’ chiaro che in queste condizioni gli effetti sono stati insufficienti a bloccare l’aumento delle emissioni e del global warming. Il V Rapporto dice, infatti, che nei primi dieci anni del secolo l’incremento delle emissioni è stato tale da anticipare al 2030 rispetto al 2050, come previsto nel I Rapporto, il raggiungimento del punto oltre il quale non sarà più possibile limitare il riscaldamento globale entro i due gradi centigradi: le conseguenze in termini di vite umane e di costi per l’economia mondiale diventeranno a quel punto incalcolabili.
L’Unione europea si era adeguata agli obblighi di Kyoto, ma negli ultimi anni ha fatto grandi passi indietro sui temi ambientali. Lo dimostra l’esito del Consiglio europeo su clima ed energia 2030, tenutosi nelle scorse settimane. Il nostro Governo, presidente di turno dell’Ue, è rimasto a guardare, cedendo alla lobby del fossile. I leader europei hanno addirittura peggiorato la proposta poco ambiziosa e inadeguata della Commissione uscente, raggiungendo l’accordo su tre obbiettivi comunitari al 2030: 40% di riduzione interna delle emissioni di Co2 vincolante per gli Stati membri; aumento al 27% per le rinnovabili, vincolante solo a livello comunitario; incremento al 27% dell’efficienza energetica, obbiettivo solamente indicativo. Obbiettivi non coerenti con la traiettoria di riduzione delle emissioni di almeno il 95% al 2050, la sola in grado di contribuire a contenere il riscaldamento del pianeta sotto la soglia critica dei 2 gradi centigradi. L’Ue deve quindi contenere le sue emissioni ben oltre il 40% entro il 2030, e sviluppare di più sia le fonti rinnovabili sia l’efficienza energetica. Cosa possibile sia tecnicamente che economicamente. E’ realistico chiedere una riduzione del 55%, e raggiungere il 45% per le rinnovabili e il 40% per l’efficienza.
Nei prossimi mesi la Commissione Juncker dovrà predisporre il pacchetto di proposte legislative su cui Consiglio e Parlamento dovranno raggiungere l’accordo, in vista della Conferenza mondiale di Parigi di fine 2015. Siamo quindi solo all’inizio della partita. Bisogna invertire la rotta, con una mobilitazione dei cittadini per un nuovo ruolo del Governo italiano. E perché ogni amministrazione pubblica, ogni azienda, fino alle singole famiglie, sia messa in grado di promuovere l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili. Molto, infatti, dipende anche da noi, da decisioni da noi praticate, fino all’utopia realistica dell’autogestione energetica. Certo, ciò sarà possibile quando si “cambierà verso” anche dall’alto, Governo nazionale in primis. Finora non è stato così, anzi. In materia energetica il Governo Renzi non si sta discostando dagli obbiettivi della Strategia Energetica Nazionale voluta all’inizio del 2013, alla vigilia della sua caduta, dal Governo Monti. Questa Strategia è stata puntualmente attuata con le disposizioni del decreto “Sblocca Italia”, che considera strategici e beneficiari di corsie preferenziali gli interventi di ricerca degli idrocarburi liquidi e gassosi a terra e in mare. Anche la legge di stabilità non dedica alcuna attenzione al capitolo ambientale. Niente incentivi per le rinnovabili, no alla carbon tax…
In fondo, nonostante tutti i suoi limiti, “l’Europa è comunque uno stimolo per l’Italia”, come ha detto l’europarlamentare Eleonora Forenza in un recente incontro organizzato dall’Associazione Culturale Mediterraneo: perché, sia pure in maniera inadeguata, sta investendo in un’economia a basse emissioni di carbonio. Anche Stati Uniti e Cina hanno cominciato a farlo: l’accordo bilaterale firmato tra i due più grandi responsabili al mondo in quanto a emissioni di gas a effetto serra è indubbiamente un fatto storico. I segnali di caos climatico sono ormai sempre più chiari e drammatici, e i politici cominciano ad avvertire il peso di un’opinione pubblica molto allarmata, che si accorge che gli effetti del climate change modificano la vita quotidiana. Ora tocca anche all’Italia: la fine dell’era dei combustibili fossili è inevitabile, è necessario sviluppare fonti energetiche alternative. L’Italia, che non ha carbone, ha pochissimo petrolio e gas, non ha uranio e ha tanto sole, può solo trarre vantaggio da una strategia alternativa, cogliendo anche le opportunità di sviluppo che offrono le energie rinnovabili per un rilancio dell’occupazione e delle esportazioni. Ecco perché è profondamente sbagliato pensare, come fa il Governo italiano, di sfruttare i giacimenti di petrolio e gas che si trovano nel Mare Adriatico tra Italia e Croazia. Queste attività estrattive comprometterebbero il valore paesaggistico, culturale ed economico dell’Adriatico, le cui coste sono un’ingente e consolidata fonte di reddito turistico sia per l’Italia che per la Croazia. La stima è di estrarre risorse che corrispondono al 6% del consumo annuale italiano: rinunciare si può, basta diminuire i consumi del 6%, una quota che può essere raggiunta con azioni minime di educazione al risparmio e all’efficienza energetica. Bisogna inoltre prendere atto che la transizione energetica è già cominciata: le energie rinnovabili non sono più una fonte marginale. L’idroelettrico copre il 16% dei consumi elettrici globali. In Cina, già alla fine del 2012 l’eolico produceva più energia del nucleare. In Europa l’eolico fornisce oggi il 6,5% dell’energia elettrica, che diventerà il 37% nel 2030. Su scala mondiale, l’eolico produce energia come circa 100 reattori nucleari e il fotovoltaico come più di 20. In Italia, quest’anno il 9-10% dell’elettricità sarà prodotta con il fotovoltaico e il 5-6% con l’eolico. Risparmio, efficienza e rinnovabili sono l’unica via percorribile se vogliamo raggiungere l’indipendenza energetica e allo stesso tempo custodire il pianeta. Il futuro non solo ambientale ma economico, industriale e occupazionale del nostro Paese, così come della nostra regione e della nostra città, può essere basato solo sullo sviluppo delle energie rinnovabili, non sulla trivellazione del nostro suolo e dei nostri mari o sulla permanenza di vecchie e inquinanti centrali a carbone. Governo nazionale, Regione Liguria e Comune della Spezia devono davvero “cambiare verso”.
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