Liguria, usciamo dal fango
Città della Spezia, 16 novembre 2014 – Dopo Genova, Chiavari e Leivi. I fiumi Entella e Rupinaro hanno rotto gli argini, una coppia è morta travolta da una frana. Il “carruggio dritu” di Chiavari è stato travolto da una doppia piena, con l’acqua a un metro e mezzo che arrivava da ponente e da levante. Da tempo immemore i due fiumi, sui cui depositi alluvionali fu costruita la città, esondano con una certa regolarità: 45 eventi rilevanti dal 1650, 35 nell’ultimo secolo. L’ultima grave alluvione risale al 2002, con una vittima. Ma i lavori annunciati allora non sono mai partiti. Il ponte della Castagnola, troppo basso, funziona da tappo: ma il Comune non ha ancora realizzato il progetto del ponte più alto. Ed è dal 2002 che la Provincia di Genova ha 8 milioni in cassa, arrivati dal Ministero dell’Ambiente, per la sistemazione idraulica del tratto terminale dell’Entella: soldi mai spesi in dodici anni. Non un cantiere è stato aperto, per rinforzare gli argini e mettere in sicurezza l’area. Per fortuna Legambiente ha bloccato la realizzazione di un parcheggio nell’area dell’esondazione: che cosa sarebbe successo se così non fosse stato? Ma, in compenso, è stato appena realizzato un capannone nel greto dell’Entella, come ha denunciato il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli in un’intervista a la Repubblica.
A distanza di pochi giorni, a Chiavari, e di poco più di un mese, a Genova, è sempre più chiaro che non è stata solo la furia della pioggia a provocare i disastri, ma anche e soprattutto l’incuria di chi avrebbe dovuto difendere le due città. Su la Repubblica Liguria, a proposito di Genova, Franco Monteverde ha smontato la tesi secondo cui “non ci sono responsabilità politiche”. Toccherà alla magistratura accertare le colpe, ma è evidente che c’è chi non ha predisposto, negli anni e fino alle ultime ore, le misure adeguate. Lo scaricabarile infantile a cui abbiamo assistito in queste settimane ha offeso non solo i cittadini ma anche il buonsenso. La verità è che tutto, o quasi, il sistema politico e di potere della Liguria ha organizzato negli anni scorsi la marcia per il Terzo valico, ma non ha mai pensato, nemmeno per un momento, a indirne una per il contrasto al dissesto idrogeologico. L’ordine delle vere priorità della nostra regione è stato sempre scompaginato e alterato.
Ora serve una svolta netta ed esplicita, che deve basarsi su sette punti:
1) E’ inaccettabile che il Governo nazionale destini alla salvaguardia dalle alluvioni risorse pari al 3% di quanto si stanzia per le grandi opere (110 milioni contro 3.890): la classe dirigente ligure, se c’è, batta un colpo.
2) Va finanziato e realizzato, a Genova, lo scolmatore del Bisagno, il cui progetto è stato approvato nel 2008. Costa 300 milioni: meno dei danni dell’ultima alluvione (appello di cinque docenti di Idraulica della scuola genovese fondata da Enrico Marchi).
3) Vanno realizzati, a Chiavari, il nuovo ponte della Castagnola e la sistemazione idraulica del tratto terminale dell’Entella.
4) Vanno programmati, ovunque in Liguria, “interventi e monitoraggi puntuali, efficaci e costanti nel tempo sui versanti dei bacini, per recuperare il reticolo idrico stuprato dall’edilizia” (Santo Grammatico su la Repubblica Liguria). La messa in sicurezza professionale del sistema idrico ligure è la vera protezione civile.
5) Occorre assumere un ristretto numero di alte professionalità in tutti gli enti pubblici competenti (“Non ho le persone per proteggere la città”, Marco Doria sul Secolo XIX; “Ore 18, tutti a casa, Protezione civile regionale chiusa mentre la città affogava”, Giuseppe Filetto su la Repubblica Liguria).
6) Va finalmente adottato un Piano Territoriale Regionale (PTR) che difenda il paesaggio e contrasti il consumo di suolo: la cementificazione ha sacrificato troppi terreni, che hanno perso la capacità di assorbire l’acqua e ne velocizzano lo scorrimento.
7) Va incentivato il ritorno alla terra, a un modello agricolo che prediliga la fertilità dei suoli, la presenza di persone nelle campagne e la tutela della biodiversità. Serve un Piano straordinario regionale per il rilancio dell’agricoltura, attraverso un’economia integrata, basata anche su enogastronomia, turismo sostenibile, cultura, artigianato, energie rinnovabili.
Qualche considerazione, per finire, sulla nostra provincia. Il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli ha criticato nei giorni scorsi, nella citata intervista a la Repubblica, la costruzione dell’outlet di Brugnato in zona esondabile. Il Piano di bacino del Vara-Magra, approvato dalla Regione una decina di anni fa, individuava nella piana dove ora sorge l’outlet, allora inedificata, un rischio di esondazione. Un rischio di lungo ritorno, quindi un rischio di bassa eventualità, ma sempre rischio era e rimane. Le previsioni di rischio vennero purtroppo confermate in tutta la loro drammaticità nell’autunno del 2011 con lo straripamento, per la rottura dei vecchi argini, di un torrente in piena, il Gravegnola, vicino all’abitato di Brugnato. Morti e distruzioni furono il tragico bilancio di una “bomba d’acqua” che tutto travolse. L’onda d’acqua e fango prima attraversò l’abitato di Brugnato devastandolo, poi arrivò alla piana travolgendo tutto, fino a infrangersi contro il terrapieno alto su cui scorre l’autostrada che comunque non bastò a contenerla, scavalcò il rettilineo autostradale per poi sfogarsi dall’altra parte nel sottostante fiume Vara. Tre giorni dopo l’alluvione vi erano ancora i tronchi e le sterpaglie incastrate, su entrambi i lati dell’autostrada, sotto i rispettivi guard rail, a riprova dello scavalco dell’autostrada e dell’altezza dell’onda di piena. Almeno dieci metri, a occhio, tra la piana sottostante e il posizionamento al suolo dei guard rail sul rilevato autostradale. Nella piana dove ora sorge l’outlet non si ebbero vittime perché disabitata; morì solo un povero cavallo che trovava rifugio in un fragile capanno. Alla data dell’alluvione tutto era pronto per l’inizio dei lavori dell’outlet: sembra impossibile, ma nessuno si era fatto carico del rischio idraulico (si veda il mio “L’outlet di Brugnato è pericoloso, ecco le carte he lo bocciano”, in La Repubblica, 5 dicembre 2011, ora in www.associazioneculturalemediterraneo.com). L’alluvione cambiò comunque tutte le carte in tavola e diede voce alla necessità di una riflessione. In molti chiedemmo alla Regione di emanare una direttiva di immediata sospensione in salvaguardia di tutte le concessioni edilizie o titoli edificatori in itinere o già rilasciati ma non ancora realizzati, insistenti su territori che i vari Piani di bacino individuavano come zone a rischio di dissesto o di eventi calamitosi, indipendentemente dal livello di rischio. La Regione, dopo un dibattito aspro, accolse la richiesta ed emanò una direttiva di sospensiva su tutto il territorio regionale delle singole concessioni, demandando alle autorità di bacino una verifica puntuale per ogni concessione. Nel caso dell’outlet in molti ci saremmo aspettati un ripensamento radicale e risolutivo su quella autorizzazione. La stessa normativa sul Piano di bacino offre più di un riferimento a revocarla. E’ la normativa, infatti, che distingue, indipendentemente dal livello di rischio, il tipo di intervento che si pensa di realizzare. In ogni area esondabile non si possono realizzare grandi impianti sportivi, caserme, scuole, centri commerciali, ecc, cioè manufatti e attività a forte polarizzazione di utenza. Ma l’autorità di bacino ha rimosso la temporanea sospensiva, dettando delle prescrizioni (argini più alti) e oggi l’outlet è realtà. Ma siamo sicuri che queste prescrizioni siano davvero efficaci? Spero solo che non si ripetano gli eventi drammatici di tre anni fa e che gli argini realizzati reggano. Ma confesso, dopo aver sentito il parere di alcuni tecnici e soprattutto dopo aver letto le dichiarazioni di Gabrielli, certamente non rilasciate a caso, che la mia speranza assomiglia a un atto di fede.
La considerazione conclusiva è tutta politica: se il centrosinistra oggi al governo della Regione non si dimostrerà capace di rigenerarsi e di proporre un programma di cambiamento radicale sul punto decisivo del contrasto al dissesto idrogeologico, altri soggetti politici copriranno il vuoto che si è creato. La politica ligure è di fronte a una delle sue prove più difficili: un mondo è finito, il cambiamento si impone. Il bivio è chiaro: cemento o difesa della natura, declino o crescita sostenibile, distruzione o cura della nostra bellissima Liguria. Oggi la distinzione tra destra e sinistra ha anche questo significato.
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