La libertà
Città della Spezia, 19 ottobre 2014 – “La libertà era nei monti, per la prima volta riuscivamo a sentirla, e picchiava in testa. Imparavamo nel bosco a vedere oltre il bosco, oltre la nostra visione ristretta ciò che non sapevamo vedere prima – ma c’era. La lotta di Liberazione è stata una scorribanda per leggere cosa c’era di nuovo. Non una guerra. Non una guerra soltanto. La nostra vittoria va ben oltre l’azione militare. Vedevamo fatti che sarebbero accaduti, di cui noi cercavamo di far germinare i semi… La mia vicenda umana sta per terminare. Non importa. L’importante è stato vivere per qualcosa, non come un’anima spenta. ‘Cercate di non fuggire dalla libertà’, diceva qualcuno. Noi non siamo fuggiti. Non sono fuggiti i colti e gli ignoranti. E penso con intensità ancora maggiore, intanto che vedo arrivare la fine, a come i nostri contadini potessero combattere una battaglia senza aspettare ritorni fruttuosi, con la sola ambizione di ritornare a essere padroni a casa loro. E ritrovo con commozione i compagni persi nelle boscaglie, nei greti dei fiumi, nei nostri alti pascoli, nati poveri prima della Resistenza e morti poveri prima di poterne apprezzare i frutti. Se potessero parlare direbbero: ‘non vogliamo essere celebrati, ma amati’”. Queste bellissime parole sono state scritte, in “Io sono l’ultimo. Lettere di partigiani italiani”, da Nello Quartieri, il comandante Italiano del battaglione Guido Picelli, poi Matteotti-Picelli, l’ultimo comandante della IV zona operativa, quella della Resistenza sui nostri monti. Anche Italiano se ne è andato, qualche giorno fa. Sono stato con lui fino a poche ore prima. Conservava le ultime forze: mi ha stretto forte la mano per tutta la visita, e mi ha parlato a lungo, senza interrompersi mai. Mi ha raccontato ancora delle boscaglie, della “santa pattona” con cui i contadini nutrivano i partigiani, della fuga miracolosa da un camion tedesco che lo avrebbe portato in Germania, del suo -del nostro- socialismo, del suo -del nostro- amato Thomas Mann… In una delle due bellissime foto pubblicate accanto a questo articolo Italiano sta leggendo “Attenzione, Europa”, il testo in cui, da Berlino nel 1930, lo scrittore tedesco ammoniva sull’avanzata del nazismo. Ne conservo una copia, che lui mi regalò anni fa. Non celebrare ma amare i partigiani, ha scritto Italiano nelle sue ultime righe. Amare, e trasmettere, i loro valori: “Ogni giorno era da essere vissuto secondo il senso del comando partigiano: giustizia distributiva, eguaglianza, onore, sincerità, verità, libertà, democrazia”. In “Io sono l’ultimo” Italiano scrive che “non tutte le cose che cercavamo di fare spuntare sono rimaste”. Anche nel nostro ultimo incontro aveva ben chiari i mali della nostra Italia e della nostra sinistra. Ma bisogna sperare e battersi ancora: “vivere per qualcosa, non come un’anima spenta”.
IL LAVORO NON E’ UNA MERCE
Tra ciò che non è rimasto, o che sta rischiando di sparire, c’è la giustizia sociale in fabbrica, c’è la dignità e la libertà del lavoro. L’articolo 18 della legge 300/1970, lo “Statuto dei diritti dei lavoratori”, ne è il simbolo: “Il capo guadagna 10 o 100 volte più di me, può fare gli orari o le vacanze che vuole, assumere chi gli sta a cuore, però una volta che io sono lì, al lavoro, non può mandarmi via. Il posto di lavoro è anche mio. C’è un giudice che, nel caso, me lo darà indietro”. Il progetto che vuole abolire questo articolo non rappresenta un’innovazione che apre la strada al futuro ma una regressione a un’epoca in cui le relazioni industriali erano regolate esclusivamente dai rapporti di forza a prescindere dal diritto. Circolano molte mistificazioni che tentano di ingannare i cittadini: occorre quindi precisare che l’articolo 18 non interviene sulla libertà di licenziamento, che resta regolata dal principio della giusta causa o del giustificato motivo; si tratta di una norma-sanzione che reprime il licenziamento ingiustificato, cioè illegale, eliminandone gli effetti. L’articolo non riguarda tutti i lavoratori direttamente, ma è una cosa giusta per tutti, un valore per tutti: un valore indivisibile, come la giustizia sociale, come la dignità e la libertà del lavoro. Chi vuole abolirlo usa anche questa paradossale argomentazione: l’articolo 18 costituirebbe un’ingiustizia verso tutti quei lavoratori che non ne fruiscono, perché lavorano in imprese con meno di 16 dipendenti o perché sono precari. Ma se solo una parte della popolazione ha il pane, il problema è di darlo a tutti, non di toglierlo a chi ce l’ha! Il 23 marzo 2002 eravamo in tre milioni alla grande manifestazione al Circo Massimo, organizzata dalla Cgil di Sergio Cofferati in difesa dell’articolo 18: allora era il Governo diretto da Silvio Berlusconi a premere per la totale libertà di licenziare, per la trasformazione della prestazione di lavoro in una merce, per calpestare al massimo grado la dignità e la libertà dei cittadini-lavoratori. Oggi è Matteo Renzi ad affermare che “se un imprenditore per motivi suoi deve fare a meno di una persona non è che poi lo si può convincere a farlo restare”. Il 25 ottobre, in piazza San Giovanni, chiamati anche questa volta dalla Cgil, i lavoratori si faranno sentire ancora. Sbaglia chi li sottovaluta.
IL JOBS ACT NON DA’ LAVORO
L’argomentazione di fondo dei sostenitori del Jobs Act e dei nemici dell’articolo 18 riguarda l’occupazione: una volta che avessero le mani libere di licenziare a loro arbitrio, gli imprenditori, potendo “spadroneggiare”, assumerebbero volentieri. I lavoratori subirebbero magari una temporanea ingiustizia, ma sarebbero poi compensati da una sistema in cui lo Stato troverebbe loro un altro lavoro, garantendo, nel frattempo, un reddito. Si tratta di due colossali bugie: sia perché le imprese assumono solo se c’è una domanda di beni e servizi; sia perché il Governo non ha minimamente i soldi per finanziare ciò che promette: dal 2016, per esempio, sarà abrogata l’indennità di mobilità triennale, e resterà la cosiddetta Aspi, di breve durata e con importi decrescenti. Il futuro che si prospetta, se non si capovolgono i paradigmi neoliberisti, è purtroppo quello di un lavoro sempre più scarso, sempre più sottopagato e sempre più privo di dignità: i lavoratori saranno sempre più precari (come già deciso con la legge Poletti) e, se a tempo indeterminato, sempre più ricattati e senza il contratto nazionale, che si vuole smantellare. Lo scenario è quello di un esasperato sfruttamento del lavoro, che ci porterà indietro di decenni. Come ha detto Stefano Fassina, deputato del Pd, “Renzi dice no a un diritto del lavoro di serie A e B, ma propone tutte lavoratrici e lavoratori in serie C”. Se qualcuno dovesse arrivare a investire in queste condizioni sarebbe più un avventuriero che un imprenditore. Non a caso imprese vere come Wolkswagen e General Electric hanno investito in Italia senza chiedere svalutazioni del lavoro.
GENOVA, DISASTRO CONTINUO
L’emergenza dell’Italia non è solo il lavoro, è anche l’ambiente. Un’altra alluvione annunciata ha sconvolto Genova: il disastro, dunque, continua. Al di là delle singole responsabilità, l’amara verità è evidente a tutti: il sistema politico in generale, a livello nazionale, ligure e genovese, non ha considerato il contrasto al dissesto idrogeologico come “la” priorità. Ma non è solo Genova ad affondare a scadenze temporali sempre più ravvicinate. E’ l’Italia intera che rischia di crollare sotto i colpi dell’abbandono della cultura della manutenzione e della progressiva cementificazione del territorio. Eppure, di fronte a questo prezzo inaudito in termini di vite umane, di lavoro e di ricchezza, il decreto “Sblocca Italia” di Matteo Renzi, all’articolo 7, ha stanziato solo 110 milioni per la riduzione del rischio idrogeologico in Italia. All’articolo 3, invece, vengono destinati quattro miliardi al sistema delle “Grandi Opere”, che è affondato nella corruzione e ha svuotato le casse dello Stato. Tra l’altro queste “Grandi Opere” sono 504, tutte non si realizzeranno mai: possibile che, anche in questo caso, non si possano scegliere le priorità, a rischio di scontentare le grandi lobby del cemento? Finché alla salvaguardia delle alluvioni verranno destinate risorse pari al 3% di quanto si spende per le “Grandi Opere”, non si potrà mai salvare l’Italia dal fango che la sta sommergendo. Tre anni fa scrivevo: “La leadership politica ligure deve avere pensieri nuovi: dopo la marcia per il Terzo Valico, bisogna marciare sull’agricoltura, sulla manutenzione del territorio, sullo scolmatore del Bisagno” (“Tecnologia e solidarietà per ripartire”, Repubblica-Il Lavoro, 24 novembre 2011, ora in www.associazioneculturalemediterraneo.com). Il problema politico, purtroppo, è rimasto identico, e del tutto irrisolto. Ma il vero “Jobs Act” è questo: creare lavoro con investimenti sull’ambiente e il territorio.
LIKE A ROLLING STONE
Ieri ho festeggiato i miei sessant’anni. In realtà li ho compiuti il 18 agosto, periodo dell’anno in cui è difficile radunare gli amici. Quest’anno, dato il compleanno un po’ speciale, lo ho invitati esattamente due mesi dopo, in occasione dell’inaugurazione della mia prima “personale” fotografica. C’erano tutti, o quasi: gli amici spezzini di Mediterraneo, del Comitato Unitario della Resistenza, del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia, di Mangiatrekking… e quelli delle associazioni impegnate nella cooperazione internazionale di Genova, Milano, Firenze… Tra i pochi che mancavano, perché impegnati, c’era Renzo Cozzani. Al telefono gli avevo chiesto di dedicarmi una canzone, e alla mia domanda su quale canzone mi aveva risposto senza incertezze: “Like a rolling stone” di Bob Dylan. Bellissimo: la stessa canzone che gli avrei chiesto! Non solo perché è una canzone – poesia molto bella, per molti la più bella; ma anche e soprattutto per il suo significato: è, per Dylan, la canzone del cambiamento e della libertà. Dylan abbandona il suo stato di idolo della folla, lascia da parte l’immagine in cui si era ritrovato, per sentirsi libero di cercare nuove strade, per poter essere del tutto sincero con se stesso, conquistando e pagando la libertà in prima persona. “Like a rolling stone” è il coraggio di lasciare una via già tracciata, sicura e confortevole, di rischiare rinunciando a tutto per realizzare ciò che si vuole realmente, alla ricerca della vita. Ecco, “sento” molto questa canzone perché ho sempre cercato di farmi guidare dalla libertà. Ho fatto cose buone ma anche meno buone. Se qualche volta ho sbagliato, è perché non ho scelto la libertà. Ma spesso ce l’ho fatta, a sceglierla. Molte volte in passato, e poi ancora sette anni fa, quando lasciai il mio vecchio mondo senza ciambelle di salvataggio, ho scelto la libertà. Alla ricerca della vita, di nuove strade: un altro modo di fare politica, la cooperazione internazionale, la cultura, la solidarietà, la scrittura… Anche la fotografia, che è un modo di conoscere e di interpretare la vita. Oggi libertà per me significa innanzitutto battersi contro il conformismo imperante, il pensiero unico, l’idea che non c’è alternativa: al neoliberismo, al leaderismo, al cinismo, alla devastazione dell’ambiente… Non è mai vero che non c’è alternativa. Bisogna sempre esercitare l’immaginazione politica e morale. Anche al Jobs Act e allo “Sblocca Italia” c’è un’alternativa. Sei milioni di persone, più i loro familiari, non sarebbero più protetti, senza l’articolo 18. Altri otto milioni di persone sono senza lavoro, in gran parte giovani: la sofferenza è ancora più grande, calcolando i loro familiari. Si sta formando un nuovo “Partito Centrale”, che vuole togliere i diritti ai primi e promette lavoro ai secondi. Ma una terza parte dell’Italia non viene minimamente toccata: sono i possessori di grandi redditi, di grandi ricchezze, di grandi rendite. Si vorrebbe la lotta tra chi lavora e chi no, tra chi è giovane e chi no. In questa lotta i ricchi veri non si vedono, sono lontani e sempre più ricchi. Libertà, allora, è battersi per una sinistra nuova, che non si limiti a difendere l’articolo 18 ma si schieri fino in fondo con chi non ha diritti, contro l’avversario vero. Che metta in atto, finalmente, le grandi azioni necessarie a salvare Genova, che sono poi le stesse necessarie a salvare la Terra.
Libertà: ritorna l’insegnamento di Italiano. Nella manifestazione del 25 aprile 2012 leggemmo una sua bellissima lettera, che si concludeva così: “Il segreto della felicità è la libertà. Il segreto della libertà è il coraggio. Usiamolo tutte le volte che occorre perché non prevalgano l’arrendevolezza e le comode e cieche viltà”.
lucidellacitta2011@gmail.com
* Su Italiano si veda, in questa rubrica: “Il comandante Italiano e il segreto della felicità”, 22 aprile 2012
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