Nella crisi più, non meno, Welfare State
Città della Spezia, 14 settembre 2014 – L’economia italiana va sempre peggio, come confermano tutti i dati. La rotta mercantilista alimentata dall’austerity e dalla svalutazione del lavoro porta a deflazione, disoccupazione e aumento del debito. Sono principi di realtà, non “gufate”. Si discute di pesanti tagli alla sanità, ma così il Paese va a fondo. Dobbiamo fare una manovra espansiva, altro che nuovi tagli allo Stato sociale! E’ questo il nodo vero, che Renzi deve porre urgentemente a Berlino, a Bruxelles e a Francoforte. Deve attivarsi per avere un meccanismo di gestione cooperativa dei debiti. La rotta mercantilista ha generato in Europa sette milioni di disoccupati in più e ha aumentato il debito pubblico in media dal 65 al 95 per cento: è la rotta che non funziona. Sul versante interno dobbiamo superare il tabù del tre per cento del rapporto tra debito e Pil, che ci paralizza. E dobbiamo trovare le risorse in altro modo, patrimoniale e lotta all’evasione fiscale.
Tra le tante tesi false che ci propina il “pensiero unico” dominante c’è quella secondo cui per avere politiche sociali efficaci bisogna attendere che il sistema economico sia in salute. Le grandi politiche sociali, culminate nei sistemi di welfare a tutela degli strati sociali più deboli, sono state in realtà lanciate non da Paesi in salute ma al contrario da Paesi terribilmente impoveriti. Così è avvenuto dopo la crisi del 1929, in Europa per impulso delle socialdemocrazie e in America grazie al New Deal di Roosevelt; e, dopo la fine della seconda guerra mondiale, nella Gran Bretagna laburista. Furono risposte vincenti: si uscì dalla crisi grazie al welfare, non contro il welfare. La risposta alla crisi del 2008 è stata opposta. “Le oligarchie plutocratiche -ha scritto lo storico Massimo L. Salvadori- ci hanno fatto assistere a questo spettacolo, davvero brillante dal loro punto di vista: i nemici giurati dell’intervento pubblico hanno rovesciato sui bilanci statali e sulle tasche della massa dei contribuenti semi-poveri e poveri i costi della crisi di cui erano interamente responsabili. Ai danni si sono aggiunte le beffe. L’esito è stato l’accrescersi in maniera esponenziale delle diseguaglianze”. Questa tendenza si è pienamente dispiegata anche in Italia, dove il divario tra ricchi e poveri è andato costantemente aumentando. Davvero in questo pozzo profondo della ricchezza non è possibile pescare le risorse che si vorrebbero prendere dalla sanità e dal welfare? Ma come si fa a proclamarsi di sinistra e a non rialzare la bandiera, da troppo tempo ammainata, della giustizia sociale? Il mondo del lavoro, i giovani, la classe media sono in enorme sofferenza perché da anni lo Stato sociale è in declino. A che servono 80 euro se poi si sgretolano i pilastri della sanità, della scuola, dell’assistenza?
Tra le tante tesi false c’è anche quella secondo cui la spesa pubblica italiana sarebbe alta: in realtà è tra le più basse d’Europa. In particolare, la spesa pubblica sanitaria pro capite, un bersaglio quotidiano dei neoliberisti, è non soltanto tra le più basse dell’Unione europea (1729 euro contro i 2111 della Germania, i 2292 della Francia e i 1940 della Gran Bretagna) ma è anche in riduzione nonostante l’impennata degli ultra-sessantacinquenni, quando per gli altri partner europei gli aumenti sono cospicui.
D’accordo, interveniamo contro sprechi e inefficienze, ma a partire dalla consapevolezza che al welfare servono maggiori, non minori risorse. In questi anni è già iniziato un processo di privatizzazione, e i servizi sociali si stanno trasformando da servizi universalistici per i cittadini in interventi di carattere residuale e “compassionevole” per i più poveri. Il Governo Berlusconi, tra 2008 e 2011, fece una politica di tagli pesantissimi al sociale, che poi fu proseguita da Monti. Gli effetti sono ben visibili: i più ricchi si sono affidati al mercato, mentre nove su dieci hanno ridotto le cure e sono ricorsi alla famiglia per supplire all’assenza di servizi. Caro Renzi, “cambiare verso” non può significare la prosecuzione delle politiche di Berlusconi e di Monti! Significa anche tagliare, certo, ma la spesa per gli F35! “Cambiare verso” significa l’opposto della visione neoliberista per cui il sociale è un costo, un lusso, un fardello da cui liberarsi e non un investimento, una risorsa per costruire una società più coesa, che è elemento imprescindibile per una buona economia, cioè per un processo continuativo di sviluppo economico. “Cambiare verso” significa considerare le politiche sociali come driver delle politiche economiche, motore di una crescita rinnovata, perché cambiata in qualità e natura. O lo si fa, o la sfiducia dei più verso lo Stato e la politica è destinata, del tutto motivatamente, a dilagare in masse ridotte addirittura alla disperazione.
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