Sacerdoti resistenti
Città della Spezia, 10 Agosto 2014 – Settant’anni fa, il 10 agosto 1944, don Emanuele Toso, parroco di Lavaggiorosso di Levanto, stava risalendo il sentiero che dal paese portava alla strada carrozzabile Levanto – La Baracca. Era la festa della Madonna della Salute, e il parroco si stava recando da alcuni suoi parenti, che gli avevano trovato un po’ di generi alimentari. In località Colletto di Sopra fu fermato da una pattuglia di alpini della divisione Monterosa, che gli impedirono di proseguire. Domandò il perché e gli risposero: “Non può andare, è in corso un grande rastrellamento contro i partigiani”. E lui: “Siete in molti, ci sono anche i tedeschi?”. Furono queste poche domande che fecero affacciare alla mente di alpini e tedeschi il sospetto che il parroco le avesse fatte con lo scopo di riferire, poi, ai partigiani. Don Toso fu arrestato e rinchiuso in una cabina elettrica, in attesa di giudizio. La mattina dell’11 agosto vennero rastrellati Lavaggiorosso, Lizza e Groppo. Gli alpini catturarono una decina di uomini, che dopo l’interrogatorio furono rilasciati. Solo il parroco fu trattenuto, e fucilato la mattina dopo, il 12 agosto, nel piazzale della chiesa. Si era rifiutato di fare i nomi dei partigiani ai monti. Poco prima di morire fu supplicato da un parrocchiano a chiedere la grazia ma rispose: “Non ho nulla da chiedere e nulla da dire”.
Per tanti anni, il pomeriggio del 25 aprile, sono andato a Lavaggiorosso a raccontare questa storia. Ancora oggi, nelle mie camminate sulle alture di Levanto, non dimentico mai di passare da questo borgo. Così come, nella salita al Gottero, mi fermo sempre davanti al cippo di Fontanafredda, che ricorda l’uccisione da parte di una pattuglia tedesca, il 4 agosto 1944, di sei cittadini zeraschi, tra cui il canonico di Pontremoli don Angelo Quiligotti, accusato di far parte delle bande partigiane. Era stato lui a condurre nelle valli di Zeri il maggiore inglese Gordon Lett, che divenne poi comandante del Battaglione Internazionale a fianco dei partigiani italiani. Nel rastrellamento del Gottero (si veda, in questa rubrica, “Il comandante Dani e il rastrellamento del 3 agosto 1944”, 29 luglio 2012) fu vittima anche don Enrico Grigoletti, parroco di Adelano di Zeri. Leggiamo dal libro di Paolo Acerbi “Dalle terre di Godano”: “Colonne di soldati giunsero anche ad Adelano; venne fatta saltare con la dinamite la casa ove i partigiani avevano posto il comando e molte case vennero date alle fiamme. Giunsero i soldati anche alla chiesa che sorge in posizione isolata, in mezzo alla campagna, ma per due volte non entrarono in chiesa dove don Grigoletti aveva accolto vecchi e persone inermi. Giunse una terza colonna di tedeschi che entrò in chiesa e ne trasse fuori il vecchio prete trascinandolo sul piazzale. L’interprete gli disse: ‘Volete dire le vostre ultime preghiere prima di morire?’ Don Grigoletti, in ginocchio all’ombra della sua casa canonica raccomandò la sua anima al Signore e cadde colpito da una raffica di machine pistol. Aveva ottantacinque anni.” Ricordo, infine, don Giovanni Bobbio, parroco di Valletti di Varese Ligure, dove operava la “Brigata Coduri”: fu vittima dell’altro feroce rastrellamento sui nostri monti, quello del gennaio 1945. Il 29 dicembre 1944 un distaccamento tedesco fece molte vittime tra i civili di Valletti, il giorno dopo stavano per arrivare gli alpini della Monterosa assetati di sangue. All’invito pressante a lasciare Valletti ormai circondata dagli alpini, don Bobbio rispose calmo e deciso: “Ho questi morti e in casa la mamma che non sta bene: non voglio abbandonare né l’una, né gli altri”. Fu catturato il 30 dicembre, sopportò le vessazioni di una lunga via crucis, fino a Chiavari, dove fu fucilato il 3 gennaio 1945. A don Bobbio fu concessa la Medaglia d’Oro della Resistenza con questa motivazione: “Quando gli chiesero, al poligono di tiro, se voleva pregare prima di morire, in mani fasciste rispose: ‘Io sono a posto con la mia coscienza, ma pregherò per voi’. E cadde con le mani in croce a testimonianza, con serena fermezza cristiana e partigiana, il valore di un’intesa salvatrice della patria e dell’umanità”.
Gli esempi che ho ricordato ci testimoniano ancora una volta che la Resistenza non fu vicenda di parte, ma plurale e unitaria. E che c’è stata anche la Resistenza dei cattolici, nelle bande partigiane e con l’impegno di tanti sacerdoti a dare ospitalità e riparo ai ribelli. In molti luoghi il clero fu tessuto connettivo dell’organizzazione militare e politica della Resistenza, l’ancora di salvezza per tanti perseguitati razziali e politici. Anche nei nostri monti fu così. L’ho imparato fin da bambino, grazie al mio parroco della Comunione e della Cresima, don Raffaele Galindo, che era stato parroco a Costola di Varese Ligure e da lì partigiano ai monti. L’ho sempre ritrovato, fino alla fine dei suoi giorni, a ogni manifestazione partigiana. Consiglio, per meglio conoscere queste pagine di storia, la lettura del libro “Sacerdoti cattolici nella Resistenza. La Spezia Sarzana Brugnato”, che documenta soprattutto, pubblicando diari di alto valore documentario dell’Archivio della Curia vescovile, la vicenda dei due sacerdoti arrestati a Sarzana e deportati in Germania e dei nove sacerdoti rastrellati a Migliarina il 21 novembre 1944, e le loro inumane sofferenze vissute da prigionieri, torturati nel carcere genovese di Marassi e nelle celle spezzine della Caserma Savoia del 21° Reggimento Fanteria (dove oggi sorge il complesso scolastico del 2 giugno), liberati solamente il 29 marzo 1945 grazie all’impegno del Vescovo Stella di Spezia e del Cardinale Boetto di Genova. La loro persecuzione aveva una motivazione precisa: la vendetta di un criminale. Tra i fascisti repubblichini più crudeli c’era il famigerato Aurelio Gallo: era stato autista del Vescovo Costantini ed era stato licenziato perché pedofilo. Gallo, diventato autista del fascio spezzino, volle da un lato dimostrare ai tedeschi quanto valesse, facendo arrestare i presunti capi dell’antifascismo, e dall’altro lato vendicarsi della Curia. Fu per lui più facile accusare i due sacerdoti più impegnati nella Resistenza, don Mario Scarpato e don Antonio Mori; gli altri, che non erano militanti antifascisti ma non erano comunque proni alla dittatura ed erano dunque anch’essi considerati “nemici”, furono inclusi tra i rastrellati e torturati perché confessassero reati mai commessi. Leggiamo la testimonianza di don Dino Ricchetti: “Tutti sotto le torture più inumane avevano dovuto firmare la dichiarazione di aver appartenuto a un Comitato di Liberazione Nazionale alla Spezia e di avere preso parte a mano armata contro elementi fascisti. Venivano chiamati uno a uno, di notte e interrogati, prima, se appartenevano al Comitato Comunista; alla risposta negativa teneva dietro la tortura che comprendeva gradi diversi, dalla flagellazione a sangue fino allo strappo delle unghie, alla distorsione delle dita, immissione di spilli sotto le unghie, legamento e stiramento dei testicoli, con scariche di corrente elettrica, imbavagliamento e introduzione di stoppa bagnata nella bocca con la canna della pistola”. I ritratti di questi preti che soffrono e perdonano per dare la possibilità alle nuove generazioni di essere uomini liberi, “sottratti per sempre alle perfidie e agli interessi dei dominanti” (dalla “Preghiera del Ribelle” di Teresio Olivelli) sono davvero straordinari. Un grande monito perché il triste tempo delle dittature non torni più.
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