Economia e politica il Pd alla sfida del nuovo
La Repubblica, Il Lavoro 21 giugno 2014 – L’analisi di Bankitalia sull’economia ligure del 2013 ci consegna un quadro di grandi difficoltà: la domanda interna è debole; il sostegno dell’export è venuto meno; tutti i settori sono in calo, anche il turismo, che regge comunque meglio degli altri grazie agli stranieri e allo spezzino; il credito all’economia si riduce; aumenta la disoccupazione: 38.000 posti di lavoro in meno dal 2008 (- 6%, – 2,9% nel solo 2013), 80.000 disoccupati e tasso di disoccupazione all’11,9%, più alto rispetto al Nord Ovest, quello della disoccupazione giovanile al 42%, più alto rispetto a quello nazionale, 318.000 i giovani che né studiano né cercano un lavoro. C’è poi un’altra indagine che deve preoccuparci: siamo la prima regione del Nord nella classifica “Ecomafie” di Legambiente, per le illegalità legate al ciclo del cemento e dei rifiuti. Sono dati che certificano la crisi strutturale del modello di sviluppo della Liguria.
Ma c’è anche la crisi strutturale del modo di governare e del sistema di potere. L’hanno denunciata con lucidità due personalità rilevanti della Liguria. Lorenzo Caselli su Repubblica ha detto: “da noi prevale il ‘vivi e lascia vivere’… i ladri sono una minoranza ma i complici, non del reato ma del non vedere, sono molti di più”. E Stefano Zara, a Primocanale, ha denunciato “un sistema dove politica, economia, finanza sono interconnesse”, che ha “ingessato la città e la regione” e che “riguarda molti soggetti in campo, perché tende a cooptare”. Ha fallito, ha scritto Gad Lerner su Repubblica, “quel buon senso praticone di una classe dirigente che pensava di garantirsi l’eternità con la pacifica convivenza trasversale”.
Serve, dunque, il coraggio del cambiamento: rompere il groviglio consociativo, aprirsi all’esterno, attrarre nuove forze, puntare sui giovani e le donne, dare corpo a nuove vocazioni, sviluppando al massimo tutte le potenzialità del terziario, a partire da turismo, cultura, ambiente e sociale, dove ogni ritardo, ogni carenza progettuale è un suicidio economico. Le elezioni regionali sono il banco di prova, come ha scritto Franco Monteverde su Repubblica: “la differenza la farà la capacità di rinnovarsi nella scelta dei programmi e soprattutto dei candidati”. Non ci sono rendite per nessuno: se il Pd perde Livorno e Perugia, e se la destra è all’opposizione in tutti i Comuni lombardi tranne Varese, vuol dire che le competizioni sono aperte a qualunque risultato. Anche in Liguria, dove il Pd conquista il Ponente liberandolo dal sistema Scajola, ma perde il Tigullio: Rapallo, Santa Margherita, Lavagna, Casarza, Moneglia, Castiglione Chiavarese, e prima Chiavari. E anche a Spezia non tutto luccica: il Pd conquista Monterosso, già feudo di Luigi Grillo, ma perde Ameglia (perché non ha saputo costruire una coalizione ampia di centrosinistra) e Riccò del Golfo, dopo Portovenere, dove pure Renzi era stato in piazza a sostenere il sindaco uscente; e non ce la fa a riconquistare Follo. In un tempo di forte crisi sociale e di crisi dei partiti -il successo del Pd alle europee è di Renzi, non del partito- l’elettorato è diventato fluido, volatile, privo di riferimenti stabili, come dimostra anche la crescita dell’astensione. L’esigenza di cambiamento è forte, e il passato -sia quando non è stato nobile sia, a volte, anche quando lo è stato- è avvertito come un peso verso cui liberarsi. Il centrosinistra ligure deve entrare in sintonia con questa esigenza. Non basta stare all’ombra di Renzi, bisogna essere credibili nella svolta su modello di sviluppo, modo di governare e sistema di potere. Perché il consenso, come il carisma, non si trasferisce, ma si conquista sul campo.
Giorgio Pagano
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