Regione: il voto è lontano, c’è ancora molto da fare
La Repubblica – Il Lavoro – 28 Marzo 2014 – Da cittadino, a oltre un anno dalle elezioni regionali, sono più interessato a quanto la Giunta potrebbe ancora fare nell’ultima parte del mandato che alla competizione sul nuovo Presidente. Ogni cosa al tempo giusto. Da uomo della sinistra, inoltre, vorrei che, nell’epoca delle politiche di austerità e delle privatizzazioni, si parlasse, in Regione, un’altra lingua. Non è impossibile: le esperienze regionali, seppur costrette a fare i conti con le ricadute locali delle politiche nazionali, a volte mostrano un’azione di governo che vive come un laboratorio di riformismo radicale, che si misura con la crisi senza smarrire la tensione al cambiamento.
Due esempi recenti ci dicono che il vento politico può cambiare in senso favorevole al riformismo radicale, basta volerlo. Il primo: la Regione Lazio ha approvato, all’unanimità, una legge per la gestione pubblica e partecipata del servizio idrico, in coerenza con l’esito referendario del 2011. Essa prevede l’assenza di fini lucrativi, la possibilità per i Comuni di organizzarsi in consorzi e di affidare la gestione anche a società di diritto pubblico, la partecipazione delle comunità locali e perfino un fondo per incoraggiare la ripubblicizzazione in quei Comuni dove l’acqua è governata con norme privatistiche. Non è poco, visti i tempi che corrono. Perché la Regione Liguria non approva una legge simile?
Il secondo esempio: la Giunta regionale toscana ha portato in Consiglio sia la nuova legge urbanistica che il piano paesaggistico. La Toscana dice basta allo sviluppo senza regole e blocca l’espansione del cemento fuori città: non sarà più possibile costruire edifici residenziali nel territorio rurale e nelle aree esterne al perimetro urbano, mentre si punta al riuso e alla riqualificazione delle aree urbane degradate. Vengono inoltre corretti i rischi di centralismo con nuovi istituti partecipativi come il garante dell’informazione e della partecipazione, che diverrà una figura istituzionale nelle comunità che superano i 20.000 abitanti. La Liguria dovrebbe ricordarsi di quanto scriveva uno dei suoi figli migliori, lo scrittore Nico Orengo, legatissimo al nostro Ponente: “la natura muore sotto il cemento se gli ulivi e i garofani non vengono più accuditi per le seconde case”. Perché la Regione non approva una legge che fronteggi questa “patologia urbana” e ponga un freno alla santa alleanza tra finanza e mattone?
In un anno è possibile fare molte cose. Altrimenti, tanto varrebbe andare a votare subito. Ed è possibile farle parlando un’altra lingua: nei campi citati, così come per l’occupazione giovanile, per il riassetto idrogeologico (va nella direzione giusta la recente legge sulla “banca della terra”), per la moralizzazione e la riduzione dei costi della politica. Se lo si farà, rinascerà, in Liguria, l’impegno dei cittadini attivi. E, con esso, anche il centrosinistra. L’alternativa è la manutenzione dell’esistente, in continuità con un modello di sviluppo e di gestione del potere che ha ormai “esaurito la sua spinta propulsiva”. In questo caso sarebbe molto difficile, se non impossibile, sia mobilitare il civismo che ricostruire il centrosinistra.
Giorgio Pagano
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