Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
I due …

Leggi articolo intero »
Crisi climatica e nuove politiche energetiche

Economia, società, politica: anticorpi alla crisi

Quale scuola per l’Italia

Religioni e politica

Ripensare il Mediterraneo un compito dell’Europa

Home » Rubrica Luci della città di Giorgio Pagano

La leggenda del Lago Santo

a cura di in data 24 Marzo 2014 – 16:22
IMG_2067elab

Lago Santo, rifugio Mariotti, lapide ai combattenti della battaglia del 18-19 marzo 1944 (2012) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 23 Marzo 2014 – Pietro Gnecchi, 89 anni, partigiano del distaccamento “Picelli” con il nome di battaglia di “Bedonia”, è l’unico sopravvissuto dei nove eroi della disfida del Lago Santo. A settant’anni di distanza il suo ricordo è vivissimo: parla di quelle venti ore di “inferno” come se fossero accadute ieri. E porta ancora una riconoscenza infinita al suo comandante, Dante Castellucci, nome di battaglia “Facio”: “era un uomo coraggioso, così in gamba come lui non ce n’erano altri”. Ho incontrato Pietro pochi giorni fa nella sua Bedonia, da dove, nel dopoguerra, emigrò per il Belgio, dove visse 46 anni, di cui 29 lavorando in miniera. Leggiamo le sue parole: “Siamo partiti da Bosco di Corniglio e siamo arrivati al rifugio dopo tante ore di marcia, perché la neve era altissima… Era il pomeriggio del 18 marzo… Dopo un po’ la guardia ci avvisa che siamo circondati dai fascisti e dai tedeschi… Hanno cominciato ad aprire il fuoco, e noi zitti, non ci facevamo vedere, perché avevamo poche munizioni. Rispondevamo ogni tanto con qualche pallottola, qualcuno lo abbiamo ferito o ucciso. Ci dissero di arrenderci, perché eravamo circondati. Ma Facio ci disse di stare zitti, con i fucili spianati. Ed è incominciata la fine del mondo. E’ stato un inferno. Hanno cominciato con le mitraglie, poi con le bombe a mano e sono entrati dalla porta del rifugio, in faccia al lago. Noi ci siamo ritirati nella cucina. Loro sono saliti al piano di sopra e hanno cominciato a sparare giù. Ci siamo salvati mettendoci sotto gli stipiti della porta della cucina. Lanciavano bombe a mano col manico, ma noi siamo riusciti a prenderne molte che non erano ancora scoppiate e a rilanciargliele contro… Facio ci dava coraggio, diceva: “Ragazzi, non abbiate paura, se dobbiamo morire moriamo tutti assieme”… Era una tomba, non c’era salvezza, non ci conoscevamo più in faccia l’un con l’altro, tanto eravamo sporchi, feriti dalle schegge, sfiniti. E’ stato Facio che ci ha aiutato a non ammazzarci, parecchie volte ci siamo puntati le armi per ammazzarci noi, piuttosto che farci ammazzare dai tedeschi. Io mi ero provato la rivoltella in bocca per vedere come fare, ma Facio ci urlava: “Coraggio ragazzi, saremo gli eroi per la libertà della patria”. Ci ha sempre salvati lui a noi, altro che balle. Abbiamo preso sempre più coraggio, più eravamo vicini alla morte più avevamo coraggio… I tedeschi e i fascisti, il pomeriggio del 19, se ne andarono lasciando la sorveglianza in alto, tornarono il giorno dopo con i rinforzi ma non ci trovarono. Siamo fuggiti camminando sul lago ghiacciato, poi ci gettammo in un burrone e prendemmo la via del monte Orsaro, pieno di ghiaccio, per rientrare nel pontremolese, a Pracchiola. Qui ci accolse e ci dette assistenza la gente del luogo, che noi salutammo con le armi in pugno”.

Giorgio Pagano, Pietro Gnecchi (al centro) e Sergio Giliotti, presidente dell'Associazione Nazionale Partigiani Cristiani di Parma, Adelano di Zeri, 22 luglio 2011, anniversario della morte di Dante Castellucci (Facio)      (2011)    (foto Archivio Cds)

Giorgio Pagano, Pietro Gnecchi (al centro) e Sergio Giliotti, presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani di Parma, Adelano di Zeri, 22 luglio 2011, anniversario della morte di Dante Castellucci (Facio) (2011) (foto Archivio Cds)

La battaglia del Lago Santo divenne una leggenda. Un mito tra le genti delle valli, alimentato dai partigiani e dai notiziari degli alleati. I fascisti e i tedeschi erano più di ottanta, ebbero 16 morti e molti feriti. A leggere la vicenda, può sembrare inverosimile. Ma, a parte le testimonianze dei partigiani, c’è la fonte inoppugnabile del notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana, che omette però di dire che i partigiani erano solo nove. Quando lo seppero, mi racconta Pietro, un tedesco disse a Corniglio, così gli riferì una donna che era presente, che “se i nostri soldati fossero coraggiosi come quei nove la guerra la vinceremmo noi”.
Il 19 marzo sono andato al Lago Santo con gli amici di Mangiatrekking, associazione escursionistica attenta alla memoria e alla cultura. Siamo saliti dai Lagdei, tra la neve, facendo lo stesso percorso degli eroi di settant’anni fa. Abbiamo posato nove garofani rossi nella lapide che ricorda la battaglia: uno ciascuno per Facio, Bedonia e per gli altri sette, Luigi Casulla, Luciano Gianello, Giorgio Giuffredi (spezzino, il primo che mi raccontò della battaglia), Giuseppe Marini, Terenzio Mori, Lino Veroni e Pietro Zuccarelli. Tutti provenienti dal parmense, dallo spezzino e dal pontremolese, a significare l’unità della Resistenza nei nostri monti. Ho parlato non solo a nome del Comitato Unitario della Resistenza, ma anche a nome del Comitato per la medaglia d’oro ai combattenti del Lago Santo. Come Pietro mi aveva invitato a fare: “non per me, ma per Facio, e per la verità”. E’ giusto, è un dovere morale: dobbiamo ricordare ai giovani, a un Paese senza memoria, che settant’anni fa iniziò la Lotta di Liberazione dal nazifascismo. E che essa fu, innanzitutto, una guerriglia armata. Certo, ci sono state tante altre forme di Resistenza “civile”, senza armi, che ho spesso ricordato in questa rubrica: senza di esse la Resistenza armata non sarebbe riuscita a prevalere. Ma queste forme acquistano un senso compiuto solo se le si guarda come elementi fondamentali del contesto in cui operarono gli uomini che, come i nove eroi del Lago Santo, decisero di sfidare in campo aperto, armi in pugno, i tedeschi e i fascisti. Furono pochi, ma senza la loro scelta saremmo stati tutti moralmente molto più poveri.
Da chi era composto questo pugno di uomini? Nelle prime bande si mescolavano militanti dei partiti antifascisti, militari sbandati dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la disfatta dello Stato, e giovani renitenti al “bando Graziani” per il reclutamento nell’esercito della Repubblica fascista di Salò, alleata con l’invasore tedesco. Ai primi di marzo ci fu il grande sciopero operaio: tra gli organizzatori della lotta chi riuscì a evitare i campi di concentramento nazisti fuggì ai monti e divenne attivissimo nelle bande. Un nome per tutti: Anelito Barontini, che fu poi membro della segreteria nazionale del Pci e sindaco di Sarzana.Tra le prime bande dei nostri monti c’era il “Picelli”, che prendeva il nome dall’antifascista e comunista parmense Guido Picelli, che, a capo degli “Arditi del popolo” a Parma, per ultimo si arrese al fascismo, e che si immolò in Spagna nel 1937 a difesa della Repubblica. Comandante del “Picelli” era il comunista reggiano Fermo Ognibene “Alberto”; Facio, pure lui comunista, era il vicecomandante. Una banda nata a Osacca, nel bardigiano, quando Facio non c’era ancora: ”quello di Osacca fu il primo vero combattimento condotto dai partigiani nel parmense, il giorno di Natale del ‘43”, racconta Pietro Gnecchi. Erano una quarantina, vivevano come una comunità, nel segno dell’egualitarismo e del rigore morale tipici del socialismo umanitario, come mi ha sempre raccontato un’altro di loro, il socialista Nello Quartieri, “Italiano”, e come mi ricorda il cattolico Pietro: “dalla cicca al cibo, dividevamo tutto come fratelli”. Nei primi mesi del ’44 si intensificarono i primi attacchi della guerriglia partigiana, con obbiettivo principale la ferrovia La Spezia-Parma. Il 12 marzo la banda “Betti” assaltò la stazione di Valmozzola e un treno pieno di tedeschi e fascisti. La reazione della X Mas fu feroce. Ci fu il primo di tanti rastrellamenti: il 14 marzo i fascisti sorpresero 13 giovani sul monte Barca, sopra Bagnone, tre furono uccisi sul posto, nove furono fucilati a Valmozzola, erano tutti spezzini. Li abbiamo ricordati sabato scorso, a Valmozzola. Il “Picelli” ripiegò verso il Lago Santo. Il 15 marzo la X Mas uccise tre partigiani, tra cui Ognibene, a Succisa (dove, sempre sabato, si è tenuta una manifestazione in memoria). Fu un momento davvero difficile della Resistenza. Ma la battaglia del Lago Santo dimostrò che i partigiani “ce la potevano fare”.
La manifestazione ufficiale per ricordare il 70° della battaglia del Lago Santo ci sarà domenica 20 luglio. Una data scelta non a caso, perché il 22 luglio è il 70° anniversario dell’uccisione di Facio a Adelano di Zeri da parte di alcuni partigiani comunisti, dopo un processo sommario che lo accusò di essersi impossessato dei materiali di aviolanci degli alleati che sarebbero spettati ad altre formazioni. Pietro Gnecchi, a luglio, non era più nel Picelli. Attorno al 10 giugno volle tornare a Bedonia, vicino ai suoi cari: combatté nelle brigate “Garibaldi” e “Monte Penna”, e fu protagonista della battaglia di Fornovo e della liberazione di Parma. “Quando partii per Bedonia Facio mi diede una rivoltella e due bombe a mano e mi disse che potevo tornare in qualunque momento se mi fossi trovato male… Ero il più giovane, per lui ero come un fratellino”. Pietro ricorda quando conobbe Facio alle Gabanne di Setterone. Dante Castellucci, calabrese, emigrato da bambino in Francia, al rientro in Italia aveva partecipato al conflitto mondiale sulle Alpi e in Russia, e aveva poi disertato, scegliendo di combattere per la libertà come braccio destro di Aldo Cervi, il primo degli eroici sette fratelli di Campegine. Gli attacchi diffamatori dei dirigenti comunisti reggiani, secondo cui Dante sarebbe stato un agente provocatore al servizio dei tedeschi, lo costrinsero a “chiedere asilo” ai compagni parmensi. Che lo accolsero, ma con qualche sospetto. “Ognibene, dato che ero il più giovane -racconta Pietro- mi ordinò di stare dietro a Facio e di controllarlo, ma io mi accorsi subito che era uno dei nostri, e che dovevamo avere fiducia. Ognibene mi disse che avevo ragione, che le informazioni su di lui erano false”. “Quando ho saputo, un mese e mezzo dopo, che Facio era stato ucciso -continua Pietro- pensai subito che i responsabili erano partigiani invidiosi e gelosi di lui, che volevano eliminarlo perché senza di lui potevano fare quello che volevano. Qualcosa avevo intuito. Quando lo vidi per l’ultima volta ci baciammo come fratelli e gli dissi: Facio, stai attento”. A giustiziare Facio furono i suoi stessi compagni, dopo un processo farsa alla cui sentenza nessuno ha mai creduto. Nel 1963 venne assegnata a Dante Castellucci una medaglia d’argento alla memoria, con una motivazione sfacciatamente menzognera: “scoperto dal nemico, veniva ucciso sul posto”. Quasi “una seconda esecuzione, non più col piombo ma con l’argento”, ha scritto Carlo Spartaco Capogreco nel suo libro “Il piombo e l’argento. La vera storia del partigiano Facio”. Pietro Gnecchi mi ha quasi supplicato: “Portatemi da Napolitano, a Facio bisogna togliere la medaglia d’argento basata sul falso e dare la medaglia d’oro per il suo eroismo”. Ha ragione: dobbiamo farlo nel nome della Resistenza. Facendo piena luce sulle sue zone d’ombra per fare emergere ancora di più la sua grandezza e il suo alto significato. Il 20 luglio torneremo al Lago Santo e il 22 luglio andremo a Adelano per batterci ancora per questo sacrosanto obbiettivo.

Post scriptum
Su vicende e figure di cui tratta questo articolo si può leggere anche:
“Va costruito un nuovo sentimento nazionale”, Il Secolo XIX, 21 marzo 2010, ora in www.associazioneculturalemediterraneo.com
“Il coraggio della libertà e la buona politica”, Il Secolo XIX 10 aprile 2010, ora in www.associazioneculturalemediterraneo.com
“E’ tempo di riabilitare il partigiano Facio”, Il Secolo XIX, 1° giugno 2011, ora in www.associaizoneculturalemediterraneo.com
“Il comandante Italiano e il segreto della felicità”, in questa rubrica, 22 aprile 2012
“A settant’anni dallo sciopero del 1° marzo 1944”, Città della Spezia, 1° marzo 2014

lucidellacitta2011@gmail.com

Popularity: 9%