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“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Franco Baudone, la Sarzana di ieri e quella di oggi

a cura di in data 27 Febbraio 2014 – 10:22

Sarzana, Falcinello (2011) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 23 febbraio 2014 – Nel decennale della scomparsa la sua Sarzana ha ricordato Francesco Baudone, che ne fu Sindaco molto amato. Franco fu eletto nel 1977: funzionario del Pci, fu il primo Sindaco a non aver fatto la Resistenza. Succedere a personalità carismatiche come Paolino Ranieri e Anelito Barontini non fu facile. Francesco, per tutti Franco, seppe però farsi apprezzare: ancora oggi è ricordato dai sarzanesi per la sua giovialità, umanità, schiettezza, semplicità. Aveva grandi capacità di ascolto e di legame con il popolo. Doti che provenivano dalla “scuola” del Pci, partito fortemente radicato nella società, ma che erano anche intrinseche al suo carattere, aperto e sereno. Se mi chiedessero in poche parole che cosa è stato Franco Baudone, direi senza esitazioni: un comunista italiano, e “sarzanese”. Orgoglioso di essere ricevuto dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che volle vedere al Quirinale “Nella città perduta di Sarzana”, il film del 1980 di Luigi Faccini che raccontava la cacciata dei fascisti da Sarzana il 21 luglio 1921. Il Pci è stato il solo partito che Franco abbia veramente amato. Non solo il Pci, ma l’Italia del Pci e la Sarzana del Pci, con i loro pregi e i loro difetti. Poi ha avuto altre “vite”: ma quella che ha amato di più è stata la prima, quella del Pci. Aggiungerei queste parole: Franco era una persona capace di grande solidarietà umana.

Sul piano dell’azione di governo Baudone innescò un processo di “nuovo dinamismo” di Sarzana, che portò il capoluogo della Val di Magra a esercitare un ruolo più forte nella provincia. Nel corso dei suoi otto anni di mandato -fu Sindaco fino al 1985, per poi diventare Presidente della Provincia- realizzò il nuovo mercato ortofrutticolo di Pallodola, gettò le basi dello sviluppo commerciale con l’Ipercoop e la Variante Aurelia, lavorò al recupero della fortezza di Sarzanello e anche della Cittadella, avviando dunque l’opera di valorizzazione del centro storico. Se la Soffitta nella Strada era già nata, nel 1965, con Paolino Ranieri, la Calandriniana e la Mostra Nazionale dell’Antiquariato nacquero con Baudone. Certo, quel dinamismo non fu scevro di errori. Franco pensava a uno sviluppo della Variante che fosse anche direzionale e non solo commerciale, ma il commercio travolse ogni altra vocazione. E si costruì troppo, a scapito dell’agricoltura e del rapporto di Sarzana con il fiume. Oggi che quel modello di sviluppo si è esaurito e che Sarzana è su un crinale, a rischio decadenza, la lezione dell’esperienza di Baudone è utile non se si pensa di proseguirla con gli stessi contenuti, ma se si parte, come fece lui, dalla consapevolezza di dover aprire una pagina nuova rispetto al passato. Il “nuovo dinamismo” di cui c’è bisogno oggi è quello dello “sviluppo sostenibile”: Sarzana non deve più ampliarsi, il consumo di suolo va ridotto fino all’azzeramento, centrali sono gli obbiettivi della riqualificazione urbana e del paesaggio e della costruzione di una città con più spazi pubblici. Citavo prima l’agricoltura e il rapporto con il fiume. Forse è da qui che deve partire la svolta. Agricoltura: vuol dire non solo salvaguardare il territorio agricolo, in primis la tenuta di Marinella, ma anche riqualificare le aree non urbanizzate della piana urbanizzata, che possono diventare orti urbani. Rapporto con il fiume: vuol dire riscoprire un elemento essenziale dell’identità sarzanese, un po’ come il mare a Spezia. Il che significa renderlo sicuro -ecco perché il “progetto Marinella” non va bene- e riconnetterlo con la città e con le colline. Puntare cioè a unire la piana fluviale-agricola, con il suo parco d’acqua (si pensi ai Bozi), al centro storico e all’altro parco sarzanese, quello delle colline. Il vero sviluppo turistico di Sarzana passa da questo disegno, che punta a farla diventare polo cerniera tra costa, fiume, città e entroterra; non passa dal “progetto Marinella”, nemmeno nella versione apparsa in questi giorni, che punta a riempire 13 ettari in buona parte agricoli con campi di calcio e residence. L’occasione per la svolta c’è: è il nuovo Piano Urbanistico Comunale, sul nastro di partenza. Che potrebbe essere lo spunto, come facemmo a Spezia a cavallo del millennio, per un più generale “Piano strategico”, capace di affrontare tutti gli altri temi, dalla cultura al commercio, dalla mobilità al welfare e alla formazione. Campi, tutti, che avrebbero bisogno anch’essi di un loro “piano regolatore”. Per far vivere la cultura tutto l’anno e non solo nei giorni del Festival della Mente. Per far sì che il commercio del centro storico trovi una sua specializzazione significativa. Ancora: perché, riguardo alla mobilità, non rilanciare un’idea purtroppo abbandonata a Spezia, la Ferrovia Urbana Veloce, o metropolitana di superficie, che colleghi Sarzana – Santo Stefano – Spezia? E perché non lanciare qualche idea nuova, come una pista ciclabile che, passando per Sarzana, colleghi Toscana e Liguria?

Sarzana, Marinella (2011) (foto Giorgio Pagano)

Il decennale della scomparsa di Franco Baudone ci invita dunque a riflettere su una nuova fase della storia di Sarzana, che vada oltre quella che lui fu capace di aprire e che ridia alla città un ruolo propulsivo, evitandone il declino. Nel contempo ci spinge anche a riflettere sulla politica e sulla sinistra spezzina. Franco, comunista “sarzanese”, non fu però un politico solo “sarzanese”. Cercò di superare le contrapposizioni tra partito sarzanese e partito spezzino, sulla base non di una lotta di potere tra gruppi legati ai territori ma di una lotta politica e ideale per il rinnovamento del partito, “trasversale” ai territori. Franco favorì l’affermazione di un nuovo gruppo dirigente tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta: un processo che portò alla mia elezione a segretario provinciale del Pci e poi del Pds. Eravamo molto diversi, e avemmo anche momenti di contrasto politico-programmatico sulle questioni ambientali: quando era Presidente della Provincia, per esempio, vivemmo qualche tensione sui temi dell’ambientalizzazione dell’Enel e dello sviluppo del porto. Io gli ricordavo che “nel nome dell’occupazione erano stati commessi troppi scempi”, e lui ci rifletteva, facendomi nel contempo riflettere sulle motivazioni della sua posizione “laburista”. Temi non sciolti neppure oggi: non c’è forse bisogno di un “laburismo ecologista”, di cui si vedono tracce troppo scarse? Ma ci unì, al fondo, la battaglia per il rinnovamento, rispetto a assetti e a posizioni politiche ormai molto contestati nel partito. Una battaglia trasparente, dura ma sempre rispettosa delle persone e del ruolo di ognuno. Mi fu sempre vicino, e gliene sono grato. Ricordo le tante serate passate insieme a discutere, a litigare e a scherzare nella cantina di casa sua a Nave, con lui che cucinava la carne alla brace. Era un uomo ospitale e generoso. Dopo cinque anni da Presidente della Provincia, gli chiesi di fare il vice, per assecondare la richiesta socialista di un “cambio”. Non ne fu contento, ovviamente, ma capì. Avrebbe voluto, nel ’92, fare il parlamentare. Era una situazione complicata, per lui e per altri della componente “riformista”, minoritaria nel nuovo Pds. Anche questa volta capì. Poi intraprese una strada nuova, diversa da quella del partito. In fondo, come ho scritto, il Pci è stato il solo partito che Franco abbia veramente amato. La strada nuova lo portò nel ‘94 a diventare Presidente della Salt, allora società autostradale pubblica. Il Comune della Spezia -io ero assessore del Sindaco Rosaia- fu decisivo per la tessitura delle alleanze che portarono alla sua elezione, il che consolidò il nostro legame. In quel ruolo fu prezioso per la città: fu lui a inaugurare la nuova strada per Lerici e la nuova strada di collegamento con il porto. Se ne andò a soli 62 anni, lasciandoci il ricordo della sua gioia di vivere e delle sue qualità di dirigente politico e di amministratore sempre legato al popolo.
A distanza di dieci anni, colpisce vedere come tutto sia cambiato. Non esistono più partiti come “comunità” politiche, in cui prevalga il “noi” sull’”io”, l’incontro e la solidarietà umana sulla competizione feroce. Su questo tema ho scritto nei giorni scorsi un testo molto rude e pessimista, “Tra Shining e il peggio della Prima Repubblica” (in http://ilblogdimastrogeppetto.blogspot.it/). Forse troppo rude e pessimista: perché non ci sono solo i giovani cinici e rampanti, ci sono anche i giovani che si prendono cura degli altri e del mondo. Certo, i cinici e i rampanti, i wargame boys che stanno prendendo il potere, giovani cresciuti negli anni Ottanta, abituati a sgomitare e a far fuori qualunque avversario, in perenne lotta tra loro e quindi al fondo “soli”, potrebbero trovare un freno in partiti “comunità”. Quelli con un’”ambizione smisurata” c’erano anche ai miei tempi, ma erano appunto condizionati da un contesto collettivo a cui dovevano rispondere, che li costringeva a tirar fuori la loro parte migliore. Ma oggi? Ritorna il tema irrisolto della ricostruzione dei partiti democratici. Qualche giorno fa ho fatto una “rimpatriata” con alcuni vecchi amici: hanno tutti fatto il ’68 e hanno sempre combattuto il Pci. Quando ho detto loro che avrei scritto questo articolo, hanno commentato così: “Con Baudone non eravamo quasi mai d’accordo, ma era un politico umano. Quelli del Pci stavano in un partito dove si discuteva, e che ci rispettava”. E’ vero, non facevano le primarie. Ma nemmeno i brogli. Perché per loro la politica non era un videogame.

lucidellacitta2011@gmail.com

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