Ancora una volta non hai sentito il mio grido
Città della Spezia – 6 Ottobre 2013 – “Ancora una volta non hai sentito il mio grido”: così recitava il lenzuolo bianco, incorniciato da piccole mani impresse con vernice nera, che venerdì sera i bambini lampedusani hanno portato nella fiaccolata in memoria delle vittime della strage. Era rivolto a tutti noi, alla politica italiana ed europea. Nessun elogio dell’eroismo dei lampedusani, nessuna proclamazione del lutto nazionale sono credibili se non sono sostenuti da una chiara ed esplicita autodenuncia delle responsabilità dell’Italia e dell’Europa: i Paesi occidentali, “civili”, che non vogliono vedere e sapere, e soprattutto agire. La sindaca di Lampedusa, Giusi Nicolini, l’aveva scritto nel coraggioso appello di undici mesi fa: “Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente”. E oggi, di fronte a una strage di proporzioni immani, è con una frase semplice -“Dovremmo andare noi a prenderli”- che la sindaca osa di nuovo sfidare il marcio senso comune, lei lo definisce “ossessione”, delle politiche di respingimento.
La piega che il discorso pubblico sta prendendo è invece un’altra. Il Ministro dell’Interno, di fronte ai cadaveri allineati, dice e ripete che il problema è il coinvolgimento dell’Europa “nella condivisione della tragedia”, si rivolge cioè all’Europa per chiedere più repressione. Bisogna invece chiedere all’Europa più accoglienza. Il discorso di Alfano va completamente rovesciato: le migrazioni sono un fenomeno globale che nessuna gabbia può imprigionare, e quindi sono necessariamente una risorsa da gestire, non un pericolo da reprimere.
Le premesse di questo rovesciamento sono tre. La prima è la cancellazione della legge Bossi-Fini e del reato di immigrazione clandestina. Non dimentichiamolo: se fossero vivi, quei cadaveri che oggi tutti piangono si chiamerebbero “clandestini”, e per loro si aprirebbero le porte delle prigioni per stranieri (Cie). La legge Bossi-Fini irrigidisce, fino alla chiusura, il sistema di accoglienza per i richiedenti asilo, e finisce con il considerare idonei all’accesso in Italia solo i migranti lavoratori, con molte eccezioni. Ciò fa sì che le persone in fuga verso l’Italia debbano trovare vie irregolari per poter raggiungere le nostre coste. I migranti sono così diventati una “classe pericolosa”, da perseguire non per i reati commessi ma per la loro stessa condizione esistenziale: non per ciò che si fa, ma per ciò che si è.
La seconda premessa è la cancellazione degli accordi bilaterali che hanno fatto di dittatori senza scrupoli i “gendarmi” del Mediterraneo. Coerentemente con la logica della Bossi-Fini, infatti, l’Italia si è accordata con Gheddafi e poi con i suoi successori perché la Libia fermasse la partenza dei migranti, chiudendo tutti e due gli occhi sulle gravi violazioni che essi subiscono nei centri di detenzione libici (veri e propri campi di concentramento). E’ giusto criticare l’Europa perché anch’essa è poco accogliente, ma dobbiamo ricordare i dati: i rifugiati in Italia alla fine del 2012 erano 64.779; in Germania 589.737; in Francia 217.865; nel Regno Unito 149.765; in Svezia 92.872; in Olanda 74.598. Da noi sono molti di meno perché migliaia di rifugiati sono ammassati in condizioni disumane nei campi libici, sottoposti a ogni genere di vessazioni, stupri e torture: provengono soprattutto dal Corno d’Africa (Somalia, Eritrea e Etiopia), come i disgraziati inghiottiti dalle acque a Lampedusa.
La terza premessa è alternativa alla Bossi-Fini e agli accordi con la Libia: per evitare che i rifugiati, in fuga dai loro Paesi e poi dalla detenzione in Libia, continuino a mettere a rischio la loro vita per arrivare in Italia e in Europa dobbiamo garantire loro l’ingresso protetto. La possibilità di richiedere asilo in Italia e in Europa ad oggi dipende dalla presenza fisica della persona nel territorio di uno Stato europeo: ma è praticamente impossibile fare ciò in modo legale. La soluzione non può che essere quella di aprire, a livello europeo, un canale umanitario affinché chi fugge dalla guerra e dalle persecuzioni possa chiedere asilo agli Stati europei in Libia, in Egitto, in Siria, nel Corno d’Africa, dovunque sia necessario.
C’è, infine, l’altra faccia della questione immigrazione: la cooperazione internazionale. Bisogna non abbandonare chi vuole fuggire da guerre, persecuzioni e povertà, ma anche impegnarci perché nei loro Paesi d’origine si costruisca la pace, si sviluppi l’economia, nasca e cresca la democrazia. E invece la cooperazione internazionale in Italia è devastata, ridotta al lumicino. Siamo un Paese senza politica estera, e quindi senza una politica per l’immigrazione e per la cooperazione. In Europa va solo un po’ meglio, ma in modo del tutto insufficiente.
Sono questioni discriminanti per la differenza tra destra e sinistra. Ma non c’è da essere ottimisti. E’ vero che è stato sconfitto Berlusconi, ma non ancora il berlusconismo. E il Governo Letta è nato, morto e risorto nel nome dell’abolizione della differenza tra destra e sinistra. Ragion di più per manifestare, il 12 ottobre, per la Costituzione. In particolare per il suo articolo 10: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica”. Difendere la nostra Costituzione vuol dire difendere i diritti di tutti, chiunque siano e da qualunque parte provengano.
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