Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Renzi, non dimenticare la lotta alle diseguaglianze

a cura di in data 25 Settembre 2013 – 09:26

“Tramonti, dove verde e acqua sono una cosa sola”, Mostra fotografica “Verde e acqua”, a cura di Artemisia Servizi Culturali, Castello di Ameglia 31maggio – 1 e 2 giugno 2013 (2006) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 22 Settembre 2013 – Matteo Renzi ha conquistato, nelle Feste democratiche tenutesi quest’estate, il popolo del Pd. “Con lui si vince”, è la convinzione diffusa raccolta dai media. “Voglio una sinistra che governi l’Italia, non che si compiaccia di essere di sinistra”, ha detto Renzi alla Festa nazionale di Genova. D’accordissimo: ma l’importante è che per vincere la sinistra non perda l’anima, come disse una volta il leader socialista francese Jacques Delors. L’ex rottamatore, politico intelligente e pragmatico, o più maliziosamente opportunista secondo i detrattori, non ha una piattaforma programmatica rigida. Come ha notato su Micromega Emilio Carnevali, ha abbandonato come consiglieri economici i neoliberisti Pietro Ichino e Luigi Zingales (approdati il primo nella montiana Scelta Civica, il secondo nella lista di Giannino) per scegliere l’ex dirigente della Mc Kinsey Yoram Gutgeld, autore di un documento intitolato significativamente “Il rilancio parte da sinistra”. Il cuore della sinistra è per Gutgeld l’unione tra gli “onesti” e i “poveri”. I temi dell’equità e della lotta all’evasione fiscale sono centrali nella sua analisi, manca però il tema della lotta alle diseguaglianze. Eppure l’avversione sociale alle diseguaglianze è sempre più diffusa.

Una piccola esperienza personale: qualche settimana fa sono andato in battello da Lerici a Portovenere per la cerimonia della Madonna Bianca, al largo era ormeggiato un enorme yacht. Sul battello c’erano molti ragazzi, è stato un coro, sia all’andata che al ritorno, di (simpatiche) invettive. Nessun odio verso la ricchezza, ma il disagio dell’animo rispetto alla sproporzione di forza tra chi comanda e chi subisce. Mi è venuta in mente l’indignazione di Norberto Bobbio per lo “scandalo delle diseguaglianze”, che per lui era la radice della distinzione tra destra e sinistra. Fino a pochi anni fa i ragazzi avrebbero detto: “Beati, vorremmo diventare come loro”. In coerenza con la concezione della vita egemone dagli anni ’80, quando la cultura neoliberista dell’emulazione sociale si impose su quella della solidarietà, esaltando l’arricchimento come misura di successo che avrebbe contribuito al progresso di tutti. Perché il circuito della ricchezza, si diceva, era aperto a tutti. La sinistra, grazie al disarmo ideologico del blairismo, fu complice. Si è visto come è andata: l’Italia è tra i Paesi europei che registrano le maggiori diseguaglianze, seconda solo al Regno Unito. La metà del reddito è in mano al 10% delle famiglie, mentre il 90% si divide l’altra metà.

La Spezia, Tramonti (2011) (foto Giorgio Pagano)

Ma i ragazzi del battello sono soli. Ho davanti un post pubblicato in un forum on-line del Corriere della Sera: “Ci sentiamo soli anche quando siamo in molti a condividere il destino”. E’ la disperazione che diventa resa quando non incontra la politica che comincia a ripensare un “altrove”. La maturazione in corso nella strategia di Renzi è interessante, ma deve fare un salto: non considerare la lotta alle diseguaglianze come “cascame novecentesco”. Il Novecento non ha solo il “lato oscuro” dei totalitarismi, ma è stato anche il secolo, come ricorda lo storico Tony Judt, durante il quale, nella sua seconda metà, si è cercato di ricostruire su basi più solide la democrazia attraverso la creazione dello Stato sociale e l’attuazione di politiche redistributive a favore delle classi subalterne. Renzi non deve dimenticare il buono che la sinistra ha fatto nel Novecento. Il che significa, per esempio, che proporre oggi un tetto ai redditi dei top manager non è un’eresia. La sinistra è tale solo se dà voce alla maggioranza che sta male e starà peggio: precari, lavoratori e ceti medi impoveriti, migranti. Sono i soggetti che incarnano la nuova condizione di dolore di chi sta sotto. La sinistra, come fatto sociale, c’è, ma è frammentato. Non c’è come fatto politico. Le diseguaglianze non sono diventate un catalizzatore perché le varie figure che le subiscono non sono unite. La loro confluenza non è spontanea, è una costruzione culturale e politica. Che è un compito della sinistra. Renzi deve capire che il blairismo è ormai fuori tempo massimo nella società, perché si rivolge a figure e a culture ormai al tramonto. Negli anni ’80 Peter Glotz denunciò la “società dei due terzi”, dove la maggioranza di abbienti, raggiunto il benessere, abbandonava gli altri al loro destino. Oggi i meccanismi di esclusione sono molto più profondi. Lo slogan estremo -“siamo il 99%”- è stato reso popolare dal movimento Occupy Wall Street e, al di là dell’esattezza delle percentuali, fotografa una tendenza al concentrarsi della ricchezza nelle mani di una quota sempre più ristretta di persone: il ceto medio sta scomparendo. Quando Gutgeld dichiara a Repubblica che il decreto sull’Imu “è una grande ingiustizia sociale e morale” e che i 4 miliardi dovrebbero servire “per ridurre l’Irpef ai redditi più bassi”, va nella direzione giusta. C’è poi un altro grande problema: non basta dirsi di sinistra, bisogna fare qualcosa di sinistra, a partire dalla esplicita messa in discussione delle larghe intese e dello stato d’eccezione permanente, di cui gli ultimi due Governi sono la manifestazione. Stato d’eccezione che continua a partorire le politiche fallite negli anni passati, come emerge dal recentissimo progetto del Governo Letta ”Destinazione Italia”, che si basa ancora sul taglio al costo del lavoro (tra i più bassi in Europa) e sulle privatizzazioni. Si può vincere senza perdere l’anima solo se la sinistra, ora che il mondo in cui aveva deciso di identificarsi è entrato in crisi, ricomincia finalmente a immaginare e a praticare un’alternativa fondata sulla lotta alle diseguaglianze.

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