Spezia è ligure da sempre ma la regione deve “cambiare”
La Repubblica – Il Lavoro – 19 Agosto 2013 – L’Italia suddivisa in 36 nuove regioni o distretti federali: questa la proposta di riordino territoriale della Società Geografica Italiana, già sul tavolo del Governo. La Liguria rimarrebbe senza Spezia, che confluirebbe nell’Alto Tirreno, con Pisa, Livorno, Lucca e Massa. Ritorna, dunque, la querelle se Spezia sia ligure o toscana. Già George Sand, nel suo viaggio di metà ‘800, la descrive come “una pittoresca cittadina mezzo ligure mezzo fiorentina”. Non c’è dubbio: Spezia ha tradizioni e interessi comuni con le confinanti terre toscane (ed emiliane), e i confini istituzionali della Liguria le appaiono troppo stretti. Ma il dato da cui partire è che Spezia, prima di ogni altra cosa, è ligure.
Innanzitutto la morfologia dei luoghi è chiara: la Liguria finisce a Bocca di Magra, poi c’è la Versilia. Marinella di Sarzana è già “fisicamente” toscana, ma la Toscana comincia dopo, se usiamo come criterio quello linguistico. E poi c’è la storia, che ha sempre visto Spezia appendice fedele di Genova (ancora oggi definita dagli storici “la Dominante”). Dopo cinque secoli di sudditanza, Spezia era stata lì lì per separare le sue sorti da quelle di Genova nel 1815, quando “la Dominante” al Congresso di Vienna fu annessa dal Piemonte. Per evitarlo l’inviato di Genova offrì alla flotta inglese la totale disponibilità della città e del golfo spezzini, ma non se ne fece nulla. Invece di diventare una sorta di Gibilterra Spezia restò uno sperduto avamposto sabaudo, separato dal resto della Liguria dal baluardo del Bracco superabile solo con una mulattiera. Quarant’anni dopo Torino, non Genova, volle che Spezia diventasse il porto militare dello Stato. Costruì anche la strada per Genova, e Spezia vi si legò sempre più. Ma fu sempre meticcia, ai confini com’era fra i Ducati di Parma, di Modena e di Massa e del Granducato di Toscana.
Lo testimonia anche la storia dell’arte. Nella Chiesa di San Francesco, sopravvissuta sconsacrata in Arsenale, c’erano una ceramica di Andrea Della Robbia (e quindi un manufatto squisitamente fiorentino), una pala d’altare di Luca Cambiaso (il maggiore pittore genovese del ‘500) e una pala di Aurelio Lomi, toscano ma a lungo attivo a Genova. Questo significa forse che Spezia non aveva un’identità? No, significa che l’identità spezzina, così come quella ligure, era fortemente inclusiva. Nel suo bel libro “Tra Genova e il Magra” lo storico dell’arte Piero Donati dimostra che alla fine del ‘400 Portovenere funzionò come “ianua” (porta) delle novità figurative toscane nei confronti di Genova. La buona accoglienza riservata alle opere d’impronta fiorentina significa forse che i portoveneresi avevano tendenze centrifughe nei confronti di Genova? Assolutamente no: la “colonia ianuensis”, che aveva addirittura dedicato la sua chiesa più importante a San Lorenzo in omaggio alla “Dominante”, si era però trasformata in “ianua Ianuae”.
Se una lezione dobbiamo trarre dalla storia, è che bisogna ragionare per “aree vaste”, e che queste non coincidono con le attuali regioni. La “ligusticità” è un’arma a doppio taglio: che cosa c’è di più ligure del pesto e dello stoccafisso? Eppure il pesto si fa col basilico, che viene dall’oriente, e lo stoccafisso si fa con un pesce che si pesca nell’estremo nord dell’Europa. Quindi è il meticciato la vera dimensione della “ligusticità”. Spezia è ligure perché è meticcia, come tutta la Liguria. Come Genova, Savona e Imperia, ognuna a suo modo. Ma le “aree vaste” non possono nemmeno essere ricondotte a piccoli “distretti federali”. La Liguria ha un futuro se si apre al meticciato delle grandi macroregioni europee, guardando sia al Mediterraneo che al Nord. E’ il solo modo per mettere a frutto in un disegno unitario la ricca varietà delle relazioni territoriali di tutte le sue parti.
Giorgio Pagano
Popularity: 2%