Obama spinge l’Italia verso il multiculturalismo
Il Secolo XIX – 10 novembre 2008 – Barack Obama, un nero, un afroamericano, un meticcio è stato eletto al vertice della prima potenza mondiale. Ha ragione Lanfranco Vaccari a scrivere che l’America è l’unico Paese in cui sarebbe potuto accadere: “l’unico in cui tutti i sogni, anche i più folli, sono possibili”. Compreso il sogno del riscatto dei neri, e di tutti i diversi: il nuovo Presidente nel discorso di Chicago si è rivolto ai poveri e ai ricchi, ai neri e ai bianchi, ai latini, agli asiatici, ai gay, ai disabili.
Nel mondo interdipendente e globale molte cose, dopo questo fatto storico, sono destinate a cambiare: nella politica, nella cultura, nel costume. Anche in un’Europa e in un’Italia tentate dalla chiusura allo straniero. L’elogio della mescolanza tra culture e la fiducia che l’identità di una nazione sia il risultato della fusione tra diversi non potranno non avere effetti nei Paesi, come il nostro, dove sono così numerosi i nemici del meticciato. La nostra mentalità e il nostro sguardo sull’immigrato non potranno, insomma, non risentire della scossa americana.
La parola razzismo spaventa, ma in Italia va usata: perché del razzismo ci sono tanti segni. Non lo dice solo l’opposizione, ne parlano anche le autorità religiose e politiche: il Papa, il Presidente della Repubblica e perfino quello della Camera. Ci sono i razzisti, e si sentono i rappresentanti del tempo. Ci sono un’ideologia e una pretesa di legislazione (le impronte ai rom, le classi separate per i bambini immigrati) razziste nei contenuti e nello spirito, perché escludono e mettono ai margini il diverso. C’è un linguaggio razzista, diffusissimo anche nei media, in Parlamento e nel Governo.
Con la sua battuta infelice Silvio Berlusconi, come scrive David Bidussa, ha voluto “tornare in prima pagina”. Ma dietro c’è un sottofondo razzista, e soprattutto l’inadeguatezza di una cultura, l’incapacità di dotarsi di una politica, un pensiero, una legislazione all’insegna del multiculturalismo. La vittoria di Obama ci spinge a fabbricarceli, fa saltare i nostri schemi stanchi sull’identità padana, nordista, occidentale. Ma quale identità, poi? Già nel 1881 il 52% dei milanesi non era nato a Milano… La purezza non c’era già più ben prima dell’arrivo dei ” terroni” negli anni ’60 del secolo scorso. Perché da sempre sono state le immigrazioni, interne o esterne, ad arricchire i Paesi del mondo.
Con l’elezione di un Presidente nero l’America supera simbolicamente i conflitti razziali e sana la frattura più grave e il difetto peggiore della sua storia democratica. Il discorso sulla razza che Obama ha tenuto a Filadelfia il 18 marzo è stato decisivo per la sua vittoria ed è importante anche per noi: “Finché avrò vita non dimenticherò mai che in nessun Paese della Terra sarebbe possibile una storia come la mia” che “ha impresso nel mio patrimonio genetico l’idea che questa nazione è più della somma delle sue parti, che siamo molte persone, ma un unico popolo”. Tanti americani, un unico popolo meticcio. L’orgoglio nero di Martin Luther King e Malcom X non potrà mai essere dimenticato, ma ormai è alle nostre spalle. Obama volge lo sguardo al futuro, al superamento di ogni pregiudizio sia dei bianchi che dei neri, di ogni frammentazione identitaria nell’America che è diventata un melting pot, il crogiolo di tante culture.
La nostra retorica sulle identità minacciate è messa radicalmente in discussione da un fatto storico che non può non coinvolgerci. Ecco perché la vittoria di Obama ci fa bene. Perché anticipa il nostro futuro comune. Perché ci aiuta a superare la paura, che è la madre del razzismo, come ha scritto Zygmunt Bauman; e a contrastare l’uso politico che si fa della paura. Perché ci fa capire che abbiamo bisogno non solo di manodopera e di sicurezza ma anche e soprattutto di politiche sociali e urbane adeguate ad accogliere persone che ringiovaniranno la nostra società anziana e pessimista. Energie e capacità nuove che si contamineranno con il meglio della nostra tradizione e che ci aiuteranno a rinnovare il nostro Paese.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).
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