Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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La tenerezza e gli ultimi, parole nuove per la politica

a cura di in data 2 Aprile 2013 – 12:55

Pisa, Chiesa di Santa Maria della Spina (2013) foto Giorgio Pagano

Città della Spezia – 31 Marzo 2013 – Nei tempi dell’ira, della paura e della ferocia anche le parole diventano irose, impaurenti, feroci. I politici della Prima repubblica parlavano in modo “educato”. Magari erano poco comprensibili, ma le volgarità erano bandite. Certo, in questo c’era anche dell’ipocrisia. Ma spesso c’era una pulizia morale vera, il rispetto degli avversari, l’interesse verso gli altri.

Dalla Seconda Repubblica in poi il linguaggio è divenuto sempre più indecente e offensivo: il fenomeno, alimentato prima dalla televisione e poi dalla rete, ha ormai assunto toni tali da far scrivere di “Politici sul ballatoio” (titolo significativo di un recente editoriale della direttrice del Manifesto Norma Rangeri). I politici si fanno schifo e se lo dichiarano pubblicamente. Ministri che in diretta televisiva si beccano sui banchi del Governo sul caso dei marò in India, ridicolizzando ancor più l’Italia all’estero, come se non fosse bastato Berlusconi con le battute sulla Merkel. Il comico-leader che pretende di cambiare la politica con il turpiloquio, definendo “puttanieri” tutti i leader di partito, Berlusconi come Bersani. L’artista che amo e che mi cantava “avrò cura di te” che, diventato assessore, descrive il Parlamento come un lupanare. Fino all’oscena gazzarra di un sindacato di poliziotti sotto la finestra della madre di un povero ragazzo ucciso da loro colleghi che sono giustamente in galera. Nei giorni della memoria cristiana della Passione, della madre che tiene sulle ginocchia il corpo del figlio ucciso, questa mancanza di pietà è ancora più sconvolgente.
A Spezia siamo più educati, ma la politica va sempre più verso il ballatoio. Anche nel conflitto interno ai partiti. Sia nel Pdl che nella Lega Nord una parte del partito non ha nemmeno fatto la campagna elettorale, tanto profondo era il contrasto con l’altra. E il Pd non è messo tanto meglio. Sono stato fuori città per lavoro qualche giorno, le letture al ritorno sono state impressionanti: gran parte dei Sindaci Pd chiede le dimissioni del Commissario della Provincia Pd, un gruppo di “renziani” chiede le dimissioni del Sindaco Pd di Spezia, tre assessori e consiglieri lericini definiscono “sciocca” un’iniziativa del loro Sindaco, il Sindaco di Santo Stefano si è dimesso dalla segreteria Pd, definita “un circolo di alcolisti anonimi”… Ho lasciato la “politica tradizionale” nel 2007, anche perché non sopportavo il suo crescente degrado: ma in pochi anni ha lavorato un filo nero della dissoluzione, come non avrei mai immaginato. Lo dico con grande preoccupazione: sono pieno, da quando è nato, di fermenti critici verso il Pd, ma riconosco che è l’unica formazione che in Italia regge in piedi una struttura di partito democratica e radicata nel territorio. Quanto imperfettamente lo sappiamo: ma bisogna migliorare, non peggiorare fino al punto di diventare un’altra cosa.

La Spezia, Chiesa di San Michele Arcangelo a Pegazzano (2012) foto Giorgio Pagano

Eppure in questi tempi dell’ira, della paura e della ferocia abbiamo ascoltato, proprio di recente, parole radicalmente diverse. “Non abbiate paura della tenerezza”, è stata la raccomandazione finale di Papa Francesco a conclusione della sua giornata di intronizzazione. Non posso non pensare alla frase che ho davanti, nella stanza di mio figlio dove sto scrivendo al computer. Sta nel poster, quello che è nelle stanze di tanti ragazzi di tutto il mondo, di Ernesto “Che” Guevara: “Bisogna essere duri senza mai perdere tenerezza”. In fondo anche “Che” era argentino… In realtà la stessa parola è usata in contesti del tutto diversi, perché non c’è nel Papa la “durezza” rivoluzionaria. Ma il richiamo alla tenerezza interessa tutti. Perché è un sentimento che guarda all’altro con pietà e simpatia assieme, e può innescare un cambiamento non solo nella vita quotidiana ma anche nella politica. Dove vige il sentimento contrario, quello descritto dalla Rangeri, per cui chiunque non appartiene alla propria parte è un nemico da abbattere. Il richiamo alla tenerezza riguarda anche quella parte della politica che non ha rinunciato a cambiare il mondo: perché la tenerezza consiste nell’affermare e testimoniare ancora la progettualità trasformatrice come un atto di amore verso gli altri. Se un fine è giusto, i mezzi e i linguaggi usati per raggiungerlo devono essere altrettanto giusti. Purtroppo non è sempre così: basti pensare, per stare all’oggi, al M5S e ai suoi propositi in parte giusti, ma portati avanti con parole ostili verso tutti gli altri, come se, al di fuori di esso, il mondo fosse abitato solo da corrotti e corruttori. La tenerezza dovrebbe diventare un punto di fondo del programma politico: significa ascoltare, partecipare, capire, condividere, prendersi cura del creato -la natura- e degli altri, prediligere la socialità e la responsabilità. Insomma: ripartire dalla polis.
L’altra parola nuova che abbiamo ascoltato è “ultimi”. Mi ha colpito una delle prime frasi della Presidente della Camera Laura Boldrini: “Arrivo a questo incarico dopo aver trascorso tanti anni a difendere e rappresentare i diritti degli ultimi…Questa istituzione sia luogo di cittadinanza di chi ha più bisogno”. Parole radicalmente nuove, mai udite prima. Fini, Casini e anche Bertinotti avevano sottolineato il loro “essere di parte”, pur come premessa per assicurare il loro ruolo di garanzia per tutti. Anche la Boldrini ha ricordato la sua parte di provenienza, ma la parola aveva un altro significato: non “essere parte” in un partito, ma “farsi parte” degli ultimi. Gli ultimi: quelli al centro della poetica di un grande artista che ci ha appena lasciati, Enzo Jannacci, dal barbone di “El purtava i scarp de tennis” all’operaia di “Vincenzina e la fabbrica”. Gli ultimi: i poveri, i dodici peccatori, tra cui due donne, del carcere minorile a cui Papa Francesco ha lavato i piedi il giovedì santo. Ritorna prepotentemente di attualità la parabola del buon samaritano, la narrazione del Dio misericordioso che va in soccorso di chi ha più bisogno.
Dopo le dimissioni di Benedetto XVI alcuni hanno detto: “è la fine della Chiesa”. Invece era un nuovo inizio. Anche la politica deve rinascere e fare spazio al nuovo: nuove idee, nuovi comportamenti, nuovi gesti, alternativi al senso individualistico, proprietario e mercatistico dei rapporti umani e delle relazioni con l’ambiente naturale. A questa rinascita servono nuove parole, come “tenerezza” e “ultimi”.

lucidellacitta2011@gmail.com

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