La solitudine di Saviano segno di un paese diviso
Il Secolo XIX – 17 ottobre 2008 – Roberto Saviano è un uomo solo. “Circondato dall’odio per le mie parole, prigioniero di Gomorra, lascio l’Italia per riavere una vita”: queste le sue parole. E’ una vicenda triste, che deve far riflettere l’opinione pubblica del Sud, troppo pavida, e quella del Nord, che sta rimuovendo i drammi del Mezzogiorno. Si pensa che il Sud sia “altro da me”: ma non è così, perché la “questione meridionale” -la tragica spaccatura della nostra storia unitaria- è il cuore della “questione italiana”.
La “questione meridionale” fu posta quasi un secolo e mezzo fa, con le inchieste di Sonnino e Franchetti. Tanto è cambiato rispetto ad allora, ma scarsi sono stati gli effetti su troppa parte sia della mentalità e dello spirito pubblico che del modo di fare politica e di gestire il potere. Ci sono state grandi battaglie meridionaliste, ma la corruzione, la mafia e la camorra, l’incompetenza e l’inefficienza della spesa pubblica, la disoccupazione e la povertà non sono state sconfitte. Lo scandalo dei rifiuti, i dati sulla povertà (su 7,6 milioni di poveri in Italia, 5,7 -il 25% della popolazione- sono nel Sud), la sfida allo Stato da parte del clan dei Casalesi e la scelta di Saviano di andarsene dall’Italia sono, oggi, i simboli di un Sud che cade a pezzi.
La “questione settentrionale” è l’altra faccia della medaglia, cioè la reazione di rigetto del Nord all’irrisolta “questione meridionale”. Si è verificata una rottura storica, rappresentata non solo dalla Lega ma anche da un diffuso spirito pubblico nel Nord.
Sul federalismo, allora, si gioca una partita di straordinaria importanza, da cui dipende il superamento di questa rottura storica e la tenuta del nostro Paese come nazione. La domanda del Sud di livelli e qualità simili al Nord nei servizi pubblici è sacrosanta, perché fondata sul principio di solidarietà nazionale, ma deve essere accompagnata all’impegno per sconfiggere gli sprechi, il clientelismo, la criminalità e per lo sviluppo di un’area che è la piattaforma mediterranea indispensabile al Nord e all’Europa. Compiti, questi, dello Stato nazionale, ma anche delle istituzioni e dei cittadini meridionali.
Da questo punto di vista colpisce il silenzio del Sud, dei suoi politici e intellettuali, sul federalismo: non c’è una proposta del pensiero meridionalista. Il che rende più difficile, a tutti, presentare il federalismo come un grande progetto nazionale che garantisce lo stare insieme degli italiani. Così come colpisce il silenzio del Sud sulla gravità delle condizioni del suo sistema scolastico. E’ come se il Sud non parlasse più dei suoi mali, non esercitasse più una funzione critica e autocritica. Credo che questo silenzio sia per tanta parte all’origine della scelta di Saviano.
Un giovane napoletano, qualche giorno fa, mi diceva: “Nessuno come noi ha un rapporto emozionale con la propria terra, eppure tanti giovani vogliono andarsene da Napoli, come non era mai accaduto”. Purtroppo è così, e tanti italiani del Sud tornano a migrare verso il Nord. Nell’ultimo anno sono emigrati in 120.000 (50.000 solo dalla Campania), più 65.000 emigrati pendolari e 26.000 all’estero.
Non dobbiamo far finta di non vedere quello che succede nel Sud: la crisi della politica, che coincide con la caduta del suo interesse per chi ha bisogno di giustizia; le difficoltà della Chiesa; la scuola che ha troppo poco un ruolo educativo.
E tuttavia non dobbiamo rinunciare alla speranza e unire alla consapevolezza del male l’ esigenza di riscatto e il rifiuto di ammettere che il presente sia immutabile. Nel Sud dobbiamo vedere anche la sfida coraggiosa al male.
Saviano ne è un simbolo. Grazie al suo libro lo Stato, finalmente, è impegnato contro il clan dei Casalesi. Significa che le cose possono cambiare, nonostante tutto. Ora la vicenda di questo ragazzo-scrittore deve spingere i cittadini del Sud e del Nord a reagire. Devono tornare il pensiero meridionalista e l’impegno civile dei cittadini del Sud. E i cittadini del Nord devono capire che la sconfitta del Sud sarebbe la sconfitta del Paese. Se tutta la classe dirigente e tutte le forze politiche si impegneranno per la legalità e lo sviluppo del Mezzogiorno e per l’unità della nazione Saviano non si sentirà più un uomo solo.
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Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).
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