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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Egitto, non c’è primavera senza le donne

a cura di in data 18 Gennaio 2013 – 16:24

Egitto, Valle del Nilo il Grande Tempio di Abu Simbel (2012) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 13 Gennaio 2013 – E’ difficile trovare una terra così affascinante come l’Egitto: la mitica terra del Nilo, culla della civiltà mediterranea, un tesoro di monumenti e di musei all’aria aperta sulle rive e sul delta del fiume, in mezzo al deserto che sembra infinito. Ne sono tornato da poco. Il ricordo più vivo è quello del contrasto. Quello tra il verde dei campi e dei palmeti vicini al fiume e il giallo del deserto, tra i rumori delle città e la quiete delle grandi distese di pietra e sabbia. Colpisce anche il contrasto tra Il Cairo, megalopoli bellissima ma invivibile, caotica, invasa dal traffico, perennemente coperta dalla coltre grigia dell’inquinamento, e le piccole e fatiscenti città dell’Alto Egitto, a sud, con i loro vicoli in terra battuta, i ritmi di vita ancorati alle tradizioni della campagna, le persone vestite come nell’Africa nera. Ma anche Il Cairo è città segnata dal contrasto profondo: quartieri moderni con grattacieli e grandi arterie, e quartieri rurali poveri e privi di servizi come quelli del sud. Fino al degrado della “città dei Morti”, più di un milione di diseredati che vivono, dopo averle occupate, nelle costruzioni adibite alla sepoltura dei defunti; o della “collina dei rifiuti”, una piccola città di spazzatura dove vagano migliaia di persone per raccogliere tutto quanto si può riciclare. 

Egitto, Valle del Nilo il Grande Tempio di Abu Simbel (2012) (foto Giorgio Pagano)

Sullo sfondo della dura lotta politica in corso aleggia la più seria e complessa crisi economica che l’Egitto moderno abbia mai affrontato. Il deficit dello Stato ha obbligato il nuovo corso egiziano ad accettare un prestito del Fondo Monetario Internazionale, senza il quale e senza gli aiuti americani e del Qatar il Paese sarebbe già fallito. L’industria turistica, un terzo delle entrate dello Stato, è crollata. La questione sociale, che riguarda soprattutto gli operai e i giovani senza lavoro, e che fu, insieme alla questione della libertà, all’origine della ”primavera” del 2011 (negli anni precedenti l’Egitto aveva conosciuto la più grande ondata di scioperi operai della sua storia) si è aggravata. Il desiderio di star meglio, di avere un lavoro, una speranza non si è realizzato. La crisi si coglie ovunque, a partire dagli “scugnizzi”, bambini sporchi, scalzi e magri, con gli occhi scuri e lustri, che ti assalgono chiedendo soldi dovunque tu vada.
In questo contesto drammatico la “primavera” egiziana, e il processo democratico da essa aperto, hanno fatto un passo indietro. Il Presidente Mohammed Morsi, leader dei Fratelli Musulmani, ha grandi colpe. Rafforzato sulla scena internazionale dalla mediazione con Israele per Gaza, Morsi ha creduto di essere abbastanza forte per emettere un decreto che lo pone al di fatto al di sopra della legge e per approvare quel progetto di Costituzione che i laici e i cristiani copti avevano già respinto, e che poi è stato approvato con il referendum dello scorso dicembre. Ma il Paese si è diviso, e piazza Tahir, nel cuore del Cairo, si è riempita di nuovo di giovani. I principi della Sharìa, la legge di ispirazione religiosa, sono la principale fonte della legislazione. Certo, non è una novità: lo erano già nella Costituzione precedente. Ed è vero che gli estremisti islamici, i salafiti, pretendevano che a primeggiare fossero le regole della Sharìa, non i principi: con le norme dettagliate sarebbe stato ancora peggio. Ma ora i Fratelli Musulmani devono evitare lo Stato teocratico e interpretare la nuova Costituzione in modo aperto e non restrittivo, pena la totale sconfitta della rivoluzione del 2011.
Quello che è accaduto è veramente grave. Resto però convinto che sia sbagliato dire “si stava meglio quando c’era Mubarak”, come alcuni sostengono in Occidente, e come mi ha detto pure qualche egiziano (i nostalgici del vecchio regime non mancano). E’ sbagliato sostenere, in Occidente, che la “primavera” è già morta, perché è impossibile in quei Paesi, perché “quelli” sono arabi. La Storia è paziente, e anche la democrazia lo è. O ci dimentichiamo quante cronache amare ha dovuto raccontare, e quanto sangue, la nascita e il consolidamento della democrazia in Occidente? Quello stesso Occidente che non ha mai lasciato ai popoli musulmani nessuna chance di sviluppare una democrazia laica: l’unica laicità che hanno consentito gli occidentali è quella delle dittature. Per cui è comprensibile che la fuoruscita dalla laicità tirannica si caratterizzi per una scelta pro islamismo: per prima lo fece la Turchia, che si liberò in questo modo dai suoi generali. Poi, dopo la “primavera”, l’hanno fatto egiziani e tunisini. L’elemento identitario della religione è stato ed è un fattore decisivo. Anche molti non credenti, in Egitto, mi hanno spiegato quanto l’Islam sia parte integrante della società, della cultura e della politica. Una centralità che si esprime più in termini di identità che di Sharìa. Come sostiene Olivier Roy, uno dei più grandi esperti della società araba, “l’Islam è identità nazionale nello stesso modo in cui il cattolicesimo è stato, fino a poco tempo fa, l’identità nazionale in Italia. E proprio perché si tratta di una questione di identità., esso risulta piuttosto vago e simbolico”. Ora la questione di fondo è evitare che questa “primavera” in bilico tramuti in “inverno”, e quindi spingere Morsi e i Fratelli Musulmani verso un islamismo democratico e moderno. E’ un compito dei giovani e delle forze laiche egiziane, che non devono smettere di credere, nonostante le sconfitte, che il cambiamento sia possibile; ed è un compito dell’Occidente, che deve sostenere il Governo che c’è solo se nel contempo lo condiziona, contro il fondamentalismo e per il rispetto dei diritti.
Un aspetto fondamentale per l’auspicabile conciliazione tra Islam e democrazia è la questione dei diritti delle donne. Ho visto anch’io misoginia, patriarcato, segregazione e intolleranza. Ma anche donne che si battono, che non si arrendono. Il 25 dicembre donne egiziane di ogni età sono scese in piazza Tahir per contestare la nuova Costituzione con una manifestazione singolare: armate di forbici si sono tagliate i capelli. ”La nostra protesta -hanno spiegato- si rifà alla vecchia leggenda secondo la quale la figlia di un faraone si rapò i capelli e girò l’Egitto per denunciare le violenze subite dalle donne”. La storia delle violenze contro di loro viene davvero da lontano. Non c’è dubbio: il successo o il fallimento delle “primavere” arabe si misurerà sull’affermazione o meno dei diritti delle donne.

lucidellacitta@gmail.com

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