Resa dei conti nel PD lacerato ma il “nuovismo” può essere fatale
La Repubblica – Il Lavoro – 8 Ottobre 2012 – Matteo Renzi sta mietendo consensi anche in Liguria. La ragione principale sta nel successo degli slogan contro gli ”inamovibili del Pd”: un chiaro segnale delle colpe trentennali di una classe dirigente che per raggiungere il giusto obbiettivo del governo ha spesso rinunciato alle proprie parole per usare quelle degli avversari. Non c’è dubbio che durate da antico regime regolino da decenni la vita del ceto politico italiano, anche a sinistra. E che ingenerino rabbia. La sinistra non può non affrontare questo tema, ma deve farlo senza cadere nella trappola del giovanilismo: i protagonisti pidiellini del lupanare del Lazio sono rampanti trentenni. E deve farlo senza commettere l’errore di Renzi, quello di passare dai soliti noti ai soliti ignoti, che ripropongono le vecchie ricette del “liberismo di sinistra” altrove confinate nell’albo delle sconfitte. Quelle di Blair ma anche del D’Alema premier e del Veltroni del Lingotto: cioè di coloro che si vuole rottamare. A molti Renzi ricorda, in salsa più estremista, il nuovismo veltroniano. Altri vedono in lui l’erede del craxismo, inteso come voce dei ceti emergenti del terziario contro il “vecchio” industrialismo. Tutto vero: la novità di Renzi sta nell’attacco alla “casta del Pd”, che gli consente di entrare in sintonia con il disprezzo verso i partiti, ma per il resto le sue idee non sono niente affatto giovani, bensì quelle più vecchie che possa avere un giovane. Le domande sull’Ilva o sul Sulcis o su Pomigliano lo stizziscono, ma riguardano non il Novecento, bensì il futuro del Paese. Che non potrà esserci senza industria, senza un nuovo modello di sviluppo, senza diritti, autonomia e libertà delle persone che lavorano.
La sfida vera, dunque, non è tra giovani e vecchi, ma tra idee di destra e di sinistra. Una polarità che per Renzi è superata, ma che è invece il cuore dell’azione politica in tutta Europa, rilanciato con forza dalla crisi economica. Essa impone politiche che si occupino non solo di spread ma di un’idea di società fondata sulla solidarietà e l’eguaglianza, come scrive Francois Hollande nel suo libro “Le ragioni della sinistra”.
L’orizzonte politico italiano è assai poco limpido perché non si vede un recupero rispetto al cedimento dei partiti da cui trae origine il Governo Monti. Destra e sinistra hanno ancora difetti profondi: il Pdl non si sa più che cosa sia e che cosa voglia fare, mentre nel Pd l’agitazione è caotica, e le divisioni palesi. E’ sbagliato dare per scontata la vittoria elettorale della sinistra. Esistono altre due soluzioni alla crisi, che si autoalimentano a vicenda: quella tecnocratica alla Monti e quella populista neo-giacobina alla Grillo. Entrambe sono presenti sia nel Pdl che nel Pd. Le ritroviamo in Renzi, quando occhieggia a Montezemolo e a Passera, e quando si appella al popolo per sedurlo (il “populismo di centro” di cui parla Concita De Gregorio).
Le primarie possono diventare l’occasione per la vera rottamazione di cui c’è bisogno: quella della politica così com’è oggi. E per riallacciare un rapporto tra politica e vita delle persone costruendo dal basso un progetto per il Paese reale. Ma devono essere primarie di coalizione e non il congresso del Pd, come è avvenuto finora. Le primarie acquistano quindi un senso solo grazie alla disponibilità di Vendola. Il vero oggetto delle primarie sono i contenuti di un’alternativa di governo, coerenti con quelli della sinistra europea: se lo si accantona il confronto sarà solo tra i giovani e i vecchi del Pd, dentro il palazzo. E la sinistra sarà sconfitta, perché si dimostrerà inadatta alle sfide dell’oggi.
Giorgio Pagano
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