Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Se Genova diventa periferia dell’Europa

a cura di in data 4 Maggio 2012 – 14:27

La Repubblica – Il Lavoro – 30 Aprile 2012 – La campagna elettorale si infiamma, a Genova come altrove, sul tema dell’Imu (Imposta municipale immobili). Vinai e Rixi, e gli altri candidati Pdl e Lega, danno fiato all’elettoralismo più demagogico, promettendo di non applicarla per la prima casa o di dimezzarla, o addirittura annunciando la disobbedienza fiscale, come fa la Lega. Sono i rappresentanti dei partiti che ci hanno portato alla crisi attuale, e che certo non recupereranno credibilità con proposte che di credibilità sono del tutto prive. 

Certamente l’Imu è una tassa politicamente sbagliata, che l’Anci, l’associazione dei Comuni, definisce “imposta statale sugli immobili”, “un pasticciaccio brutto che dovrebbe essere corretto immediatamente”: i Comuni, infatti, si ritroveranno con un 20% in meno di risorse, a causa di forti tagli non compensati dagli introiti dell’Imu, che in gran parte andranno allo Stato. E’ il ritorno del peggior centralismo: il ventennio della retorica federalista non poteva finire peggio.
Detto questo, è vero che i Comuni, senza quella parte degli introiti dell’Imu, sarebbero di fatto costretti a chiudere. Ma con che cosa sostituire questa tassa? “Con un’imposta più equa sul patrimonio”, risponde il responsabile enti locali del Pd Davide Zoggia. Giusto, ma andrebbe detto con più nettezza: serve un intervento radicale sulla redistribuzione del reddito, una patrimoniale seria. Mentre si considera normale colpire i Comuni e devastare il welfare, la patrimoniale è concepita come “estremista”. Segno che la politica italiana, a differenza di quella francese, è ancora prigioniera di totem e tabù che hanno governato il mondo negli ultimi trent’anni.
Si pensi al tema della rendita fondiaria ed edilizia. Considerata, fino agli anni Settanta, come qualcosa da contenere, e da trasferire in parte al pubblico mediante il fisco, oggi è solo incoraggiata. Eppure i Comuni, per poter migliorare le città, hanno bisogno di reperire risorse dalla rendita e dai superprofitti immobiliari, e di una legge che dia loro questa possibilità. Ma chi ne parla? Nessuno o quasi. Così come nessuno o quasi pone il tema di uno Stato che abbia una politica per le città con adeguate risorse, come avviene in tutta Europa. Anzi, tutti i fondi nazionali riguardanti le città sono stati drasticamente tagliati.
L’alternativa immediata all’Imu non c’è, ma va costruita. Sapendo che non bastano nuove tasse: bisogna anche ridurre la spesa pubblica, in base a chiare priorità, non con i tagli lineari. Serve una spending review non alla Brunetta, per colpire i lavoratori, ma una riforma democratica della spesa pubblica, come parte di una riforma della pubblica amministrazione fondata sui principi della partecipazione, che veda protagonisti i dipendenti. Nessuno come loro sa quanto, in ogni ufficio o servizio, ci siano sprechi, duplicazioni, personale superfluo che sarebbe più utile altrove. Così come non bastano nuovi fondi nazionali: bisogna saper intercettare fondi europei. Genova ha fatto molto in questo campo (si pensi a Smart City), ma se si guarda alle sue potenzialità non si può non constatare quanta differenza c’è con città analoghe europee. Genova non deve correre il rischio di diventare città di periferia in Europa: serve un programma da presentare all’Unione europea, che sceglierà le città nelle quali investire adoperando come criterio di scelta “l’esistenza di una strategia per azioni integrate volte a far fronte alle sfide economiche, ambientali, climatiche, sociali”. Una strategia che Genova deve costruire nel dialogo e nelle reti con altre città della Liguria, del Mediterraneo e dell’Europa. Ciò presuppone una classe dirigente più cosmopolita e meno succube di un certo provincialismo spacciato per realismo: più coerente, in questo modo, con la storia della città e anche della sinistra genovese.
Ma l’alternativa più importante alla scarsità delle risorse è un’altra. Nei giorni scorsi, interrogati su questo punto da Getto Viarengo, candidato del centrosinistra a Chiavari, io e Beppe Pericu, da ex sindaci, abbiamo dato la stessa risposta: è il sentimento identitario, il capitale sociale, l’impegno dei cittadini che si sentono partecipi di un progetto comune.

Giorgio Pagano

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