Il nuovo anno tra paure e speranze
Città della Spezia, 1 gennaio 2012 – L’anno appena cominciato nasce con il destino di essere già stato giudicato: sarà nero. Il sondaggista Renato Mannheimer, sul Corriere della sera, ha presentato dati indicativi : il 59% degli italiani ritiene che il 2012 sarà peggiore dell’anno passato; la metà, in particolare, ipotizza un forte peggioramento della situazione economica. Sono soprattutto giovani, disoccupati, pensionati, le parti più deboli della società. Ognuno di noi è testimone di quanto questo pessimismo sia diffuso. L’epoca berlusconiana, quella dell’ottimismo ad ogni costo, almeno da questo punto di vista è davvero alle nostre spalle.
Fa riflettere un altro dato pubblicato da Mannheimer: il 51% dà un giudizio critico sulla manovra del governo Monti. Non c’è dubbio: la grande maggioranza degli italiani apprezza che sia nato un governo formato da persone a cui si riconoscono sobrietà e probità morale, e che sia stata spazzata via quell’aura di abiezione che circondava la classe dirigente del “Cavalier Patonza”. Ma è forte la critica a una manovra socialmente sbagliata. E che si teme possa essere inutile dal punto di vista del contenimento del debito pubblico e della capacità di affrontare il tema della crescita (termine a cui andrebbe sempre aggiunto l’aggettivo “sostenibile”). Timore giustificato: il decreto “Salva Italia” è passato, ma l’Italia non è affatto salva. Queste due constatazioni, l’ingiustizia sociale e la paura comunque di non farcela, stanno rendendo amaro l’inizio d’anno degli italiani. E spingono verso l’unità, dopo molti anni di divisioni, i sindacati, che non possono non tornare a fare il proprio mestiere, quello di tutelare e rappresentare i più deboli.
Giustizia sociale e crescita sostenibile sono due questioni strettamente legate tra loro. Il governo non può non affrontare il nodo cruciale dell’aumento delle diseguaglianze e della redistribuzione del reddito. Secondo studi della Banca d’Italia il 10% delle famiglie italiane detiene il 45% della ricchezza generale: è uno scandalo inaccettabile. Mentre un quarto della popolazione si trova in condizioni di povertà o di rischio di povertà (dati Istat), all’altro estremo della scala sociale crescono manifestazioni di arroganza, come quella del riccone che scende in elicottero sulla spiaggia per portare la mamma al ristorante. Questo squilibrio è responsabile di quella caduta dei consumi che fa mancare al sistema produttivo il sostegno fondamentale della domanda interna. Gli eccessi di ricchezza promuovono le speculazioni finanziarie, mentre gli eccessi di penuria conducono alla recessione. Si esce da questo avvitamento solo con un riequilibrio dei carichi fiscali: il gettito di un’imposta patrimoniale ordinaria è la migliore soluzione per trovare le risorse necessarie a spesare quei tagli di prelievo ai redditi più bassi che rimetterebbero in moto l’economia. È solo un’Italia più giusta che abbatte lo spread.
Va aggiunto, ora che si vuole affrontare la questione del mercato del lavoro, che il compito più importante per recuperare produttività e competitività spetta alle imprese. L’obbiettivo, infatti, si raggiunge non tenendo bassi i salari o riducendo i diritti del lavoro, ma con la qualità dei prodotti e gli investimenti in innovazione tecnologica. O possiamo accontentarci di progettare e fabbricare le Panda, il prodotto meno ricco dell’industria automobilistica?
Queste indicazioni valgono anche per la nostra città. Spezia rialzerà la testa solo se la rialzerà il Paese. Ma dobbiamo fare la nostra parte. Sul terreno della giustizia sociale: scegliendo nettamente, in una fase di crisi finanziaria dei Comuni, la priorità dei beni comuni, welfare in testa. A scapito di ogni altra cosa, fosse pure quella che dà il maggior consenso a chi amministra. Sul terreno della qualità e dell’innovazione tecnologica in economia, spingendo e supportando le imprese a puntare sugli investimenti innovativi e non sulla rendita e sulla speculazione finanziaria. Distretto delle tecnologie marine e Università sono dunque due progetti chiave: è indispensabile ribadirlo in un momento di arretramento e difficoltà della nostra Università.
Un’ultima considerazione: il governo Monti è un governo di emergenza che gestisce questa fase eccezionale con un timbro conservatore (che sinistra e sindacati devono il più possibile correggere), ma non può essere un governo che allude al sistema politico e sociale del futuro. Perché su questo terreno non esisterebbero più destra e sinistra. Siamo in una fase in cui i partiti, tutti, hanno dovuto soccombere perché privi della forza culturale e politica necessaria ad affrontare la crisi. Il governo Monti c’è perché la politica si è sfarinata: è la conseguenza, non la causa. Ora i partiti, tutti, devono riorganizzarsi, riconquistare credibilità, ridefinire gli schieramenti di destra e sinistra, ridare un volto dignitoso alle loro culture politiche, rifondare una classe dirigente, riallacciare rapporti di partecipazione e di fiducia con i cittadini. Devono farlo, finalmente, non sul dilemma Berlusconi sì o no, ma sui grandi temi della vita del Paese e delle persone. La mia parte, la sinistra, deve essere in grado, in una situazione così complessa, di mantenere la propria autonomia, anche per indicare una prospettiva e delineare un futuro, innanzitutto sul punto della questione sociale, così inedita e così drammatica. In questi anni, senza una “casa” partitica, ho privilegiato la politica nelle associazioni e nella società civile. Continuerò a farlo, ma sento la necessità di impegnarmi di più perché la politica dei partiti non si sfarini ancora. Secondo lo studio Demos l’80% degli italiani non ha fiducia nella politica dei partiti. Come si può andare avanti così? Io ho aderito nei mesi scorsi a Sel, giovane e “transitoria” forza della sinistra, proprio per dare sul punto del cambiamento della politica dei partiti il mio piccolo contributo: per me significa tenere aperta la prospettiva di una sinistra laburista, ambientalista e antiliberista in Italia, impedire il tentativo di mutare definitivamente la natura del Pd in direzione neocentrista, e ricercare oggi un filo che, nella fase di emergenza, tenga vivo il tema della costruzione di uno schieramento alternativo, di una prospettiva credibile e convincente di governo della sinistra per le elezioni del 2013. E’ difficile, per tornare al tema iniziale di questo articolo, perché c’è il pessimismo. Perché non ci sono speranze nelle menti e nei cuori dei ceti subalterni e delle persone che soffrono. C’è un nemico, invisibile e globalizzato: la grande finanza. Che non si sa come combattere. Come può la democrazia dominare l’economia anziché esserne sopraffatta? E’ il grande tema dell’anno che si è aperto. Un anno tra tante paure e sogni di nuove speranze. L’augurio è che ciascuno di noi e tutti insieme si provi a mettere da parte le paure e a uscire da una strada cieca, a cambiare la rotta. Anche nell’emergenza dobbiamo guardare lontano e ritrovare le speranze.
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