La nostra vita non esiste senza quella degli altri
Città della Spezia, 25 dicembre 2011 – E’ un Natale strano, un po’ cupo. Penso spesso, in questi giorni, a quanto è successo a Firenze. La capitale della cultura europea da mezzo millennio. Dopo Spezia, la città a me piùcara: dove ho studiato, dove ha studiato mio figlio, e che ora è la sede delle associazioni in cui sono impegnato, Funzionari senza Frontiere ela Retedelle Città Strategiche. Conosco bene quel mercatino dove un uomo ha sparato contro un gruppo di senegalesi inermi uccidendone due e ferendone tre, per poi suicidarsi. Che cosa può averlo spinto a compiere un gesto tanto insensato e assurdo, oltre che atroce? Quale ossessione lo possedeva al punto di vedere nei ragazzi di colore il nemico da annientare, il male da estirpare? Quell’uomo non sopportava la vita degli altri in quanto altri, diversi da lui. Ma che cos’è la nostra vita senza quella degli altri?
Le domande mi circolano in testa. Esiste un nesso tra la strage di Samb Modou e Diop Mor e la crisi economica e finanziaria europea, l’impotenza dei summit, la recessione in agguato, la sofferenza sociale? Forse, con la crisi, i veleni peggiori della nostra storia, italiana e europea, stanno tornando in superficie. “La recessione sta creando un’immensa rabbia”, ha scritto l’economista americano Paul Krugman, premio Nobel. Certo, la storia non si ripete. E tuttavia il Male si sta ripresentando, come negli anni Trenta del secolo scorso. Vediamo sempre più cittadini prendersela con gli ultimi, invocare la propria identità contro la vita degli altri, contro “loro” in difesa di “noi”. Senza capire che, piaccia o non piaccia, la vita degli altri è la condizione perché ci sia anche la nostra vita. Solo rapportandoci con il nostro “prossimo”, per usare la parola del bimbo povero nato in una grotta a Betlemme duemila anni fa, possiamo costruire il mondo.
Capisco la voglia di ritrarsi, di dimenticare, di tornare a prima che accadesse. Ma non si può. Dobbiamo cercare di capire che cosa ci sta succedendo. Riporto il commento di un sito senegalese:
“Gli italiani del nord non considerano nemmeno quelli del sud come concittadini, e invocano una secessione. E il partito che incita questo ha ministri nel governo (per fortuna non più, ndr). Così i meridionali, umiliati, se ne rivalgono come possono sui poveri immigrati di colore, e questo costringe il migrante africano e senegalese a subire un doppio razzismo!”. Sono parole che fanno riflettere. Sbaglia chi soffia sulle braci della xenofobia, chi fa la guerra ai minareti e non si accorge che è già persa in partenza, chi chiude gli occhi di fronte al fatto che senza la manodopera degli immigrati il Paese si fermerebbe, chi pensa che il Sud del mondo sia un mondo altro e lontanissimo…
Ma molti si sottraggono e non demordono dal volontariato, dalla caritas e dall’impegno politico e culturale antirazzista, diventati beni preziosi nell’indifferenza generale dei governanti e di molti altri cittadini che hanno altro a cui pensare (il denaro, il potere…). Sabato il Coordinamento Io non respingo e il Comitato solidarietà immigrati, che riuniscono il civismo cittadino e le comunità dei migranti, hanno raccolto in piazza Cavour tantissime firme su due proposte di legge di iniziativa popolare: per fare acquisire la cittadinanza alla nascita ai bambini nati in Italia da genitori immigrati regolari e per introdurre il diritto di voto alle elezioni amministrative agli immigrati regolarmente presenti in Italia da cinque anni. Molti spezzini hanno fatto la fila per firmare, e si sono fermati a parlare con noi e con gli immigrati. Ecco: forse la questione chiave è che dobbiamo conoscere di più gli immigrati, le loro storie. I media, per esempio, dovrebbero aiutarci a capire: con le inchieste, dando loro voce. Se c’è una cosa innovativa che può fare oggi un giornalista, è questa. Dobbiamo avere centri di aggregazione e luoghi di incontro in cui raccontarci le nostre storie reciproche. Mio figlio ora studia a Torino, in casa con lui c’è un rifugiato somalo, fuggito da un Paese devastato, sopravvissuto al deserto e al carcere di Gheddafi. I ragazzi di Libera lo hanno ospitato in un teatro, a raccontare la sua vita. Io ho capito fino in fondo tante cose per la prima volta. Non dobbiamo, insomma, essere invisibili o diffidenti. Nessuno può più ricorrere all’alibi della paura e accontentarsi dei “pacchetti sicurezza”, perché a Firenze è scattato il codice nero, qualcosa che va ben oltre un semplice allarme. Quando la civiltà si confonde con la barbarie, dobbiamo tutti assumerci le nostre responsabilità.
E’ un Natale strano, un po’ cupo. Alziamo gli occhi al cielo, spesso vediamo lavoratori sui tetti per tentare di difendere il posto di lavoro. Cerchiamo la cometa, ma il cielo è offuscato dall’inquinamento. Vado spesso a Milano, le stelle non si vedono più. Non c’è festa se sotto l’albero non ci sono i doni dei diritti dei migranti, della solidarietà, del lavoro, della giustizia sociale, della difesa dei beni comuni come l’ambiente.
In questo contesto strano, un po’ cupo perché difficile e inquietante, abbiamo bisogno di scambiarci gli auguri. Abbiamo bisogno di abbracciarci, di incamminarci insieme. Abbiamo bisogno che chi ha serenità e gioia sappia condividerle con chi non ne ha. Abbiamo bisogno di dire: “Siamo tutti senegalesi”.
lucidellacitta2011@gmail.com
Popularity: 3%