La marginalità politica della questione sociale internazionale
Il fondo nazionale per le politiche sociali è stato ridotto, in questi ultimi tre anni, da un miliardo e quattrocento milioni di euro circa a 140 milioni; i fondi assegnati al settore della Cooperazione internazionale allo sviluppo dal 2008 ad oggi sono stati ridotti dell’88%; dati che confliggono di fronte a una realtà nazionale, europea e internazionale dove la povertà è in aumento e la ricchezza si sta sempre più concentrando in una piccola percentuale della popolazione mondiale.
Non ha più tanto senso parlare di Nord e di Sud del mondo, questa visione oggi è da superare nel nostro immaginario collettivo; c’è molto Sud nel Nord e un Nord in aumento nel Sud; il tema della povertà, con le sue cause che si chiamano disoccupazione ed esclusione sociale, non taglia più in orizzontale il pianeta ma ogni paese e regione del mondo.
In tutti questi ultimi decenni è stato lo strumento della Cooperazione allo sviluppo, in occidente, il cardine di una politica di aiuto unidirezionale che, insieme a qualche successo, ha incamerato diversi fallimenti, perché centrata sulle nostre risorse, sulle nostre idee, sulle nostre competenze e sull’illusione di un progresso illimitato che non ci avrebbe mai condotto in una situazione di stagnazione della crescita o addirittura di recessione.
Ma ora in questa crisi economico-finanziaria ci siamo, ed è una condizione tutta nostra, del mondo occidentale e non una crisi mondiale; occorre ripensarci, occorre avere una nuova visione, decidere di come vogliamo stare al mondo e di come poter svolgere un serio ruolo internazionale, individuando un nuovo modo di concepire le relazioni internazionali e di sviluppare nuove partnerships.
In questo quadro si è svolta lunedì scorso a Genova, presso la Camera di Commercio, la periodica Conferenza Regionale sulla Cooperazione Internazionale allo sviluppo; una conferenza, lo sottolineo per dovere di cronaca, molto partecipata nel numero e molto qualificata in diversi interventi.
Ormai ci sono tematiche comuni e territori di prossimità che ci chiamano ad alzare lo sguardo e metterci in movimento come comunità regionale complessivamente intesa, istituzioni, imprese, università, fondazioni, centri di formazione, chiese, organizzazioni non governative e mondo del volontariato.
Per quanto riguarda le tematiche comuni faccio un solo esempio puntuale e urgente, quello della tutela e della sostenibilità ambientale al tempo del cambiamento climatico, con la sequela di alluvioni ed erosioni, a volte irreversibili, dei sistemi naturali.
Su questo punto molti potrebbero essere i progetti e le iniziative da poter avviare, magari utilizzando qualche linea di finanziamento di EuropeAid, e ci sono anche fulgide esperienze nazionali in questo senso, mi viene in mente per esempio quella, in Africa, della Provincia di Trento e del suo Museo di Storia Naturale.
Se vogliamo poi fare riferimento ai territori di prossimità, il dato più evidente e lampante è quello dell’importanza dei paesi del nord africa, attraversati in quest’ultimo anno dal vento del cambiamento, per la crescita economica della nostra regione; autorevoli analisi, apparse anche recentemente sui nostri quotidiani locali, affermano che le ‘chances’ della nostra economia ligure poggiano prevalentemente sul nord africa.
Se poi pensiamo che l’intero continente africano entro il 2020 raddoppierà il proprio Pil ed entro il 2050 raddoppierà la propria popolazione, passando da un miliardo a due miliardi di abitanti, 20% della popolazione mondiale tra l’altro percentualmente la più giovane, dobbiamo renderci conto che questo continente deve e dovrà essere visto non più come un problema o un peso, ma come una immensa risorsa e una grande opportunità, che dovremo essere capaci di gestire in una relazione di rispetto e di pari dignità.
Per tutti questi motivi è urgente fare due operazioni importanti, la prima è quella di far uscire il tema delle relazioni internazionali dalla sua marginalità politica, frutto di provincialismo e di mancanza di visione, la seconda è quella di attivare un metodo di lavoro dove possano incontrarsi tutti i mondi che nella nostra regione lavorano sulle relazioni internazionali, individuando priorità e mettendo in campo ognuno i propri rapporti di cooperazione,i propri saperi e le proprie risorse.
La costituzione a livello regionale di un ‘Tavolo di dialogo’ permanente potrebbe essere un primo passo per uscire da una logica che, insistendo sulla concezione che trattasi di materia di serie b, ci renderà tutti di serie b.
Sergio Schintu – responsabile comunicazione di Januaforum – 30 Novembre 2011
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