Dalla crisi del Pd al nuovo centrosinistra
Il Secolo XIX – 9 maggio 2011 – Il “malessere” di Renzo Guccinelli per “un modo di fare politica sempre più basato su personalismi e logiche di gruppo” nasce rispetto a un fenomeno in atto da tempo: il declino dei grandi partiti e l’emergere della personalizzazione. Cresce, a destra e a sinistra, un potere personale che fonde le risorse patrimoniali e carismatiche con le leve istituzionali, e la cui forza consiste nel vantarsi di aver ripristinato un rapporto con il popolo che i vecchi partiti avevano logorato. E’ un’ascesa resistibile? Sì, dice il coordinatore provinciale del Pd Moreno Veschi: “Non l’io ma il noi deve essere la chiave su cui costruire la politica del Pd… il Pd mira a superare il leaderismo e a farsi luogo della collegialità e della solidarietà”. Il cambiamento non è da poco, perché mette in discussione la Seconda Repubblica: nata per restituire il potere ai cittadini, conculcato dalla partitocrazia, ha finito per distruggere i partiti e per passare il potere non nelle mani dei cittadini ma in quelle dei leader di ristrette oligarchie. Non si tratta di tornare alla Prima Repubblica, ma la democrazia ha bisogno di partiti strutturati: che abbiano dei leader non onnipotenti; che sappiano elaborare progetti collettivi e non solo comunicare; che siano luoghi di cooperazione e non di competizione astiosa per il potere.
Ma il dibattito nel Pd ha anche radici locali. Nel mio ultimo libro ho raccontato come il mio distacco dalla politica “tradizionale” sia stato motivato da nuove “passioni”, la Terra Santa e l’Africa, e dalla critica al modo in cui nasceva il Pd; ma anche come sia connesso a un altro distacco, quello dal gruppo dirigente spezzino di Ds-Pd. Un gruppo dirigente vero, coeso, non c’era da tempo. C’erano singole personalità, molte anche valide, ma mancava, già allora, lo spirito di squadra. Il partito era sempre meno uno strumento radicato nella società, capace di pensare un progetto e di muovere energie popolari. Nel libro mi soffermo sul simbolo di questa “mutazione genetica”: l’episodio delle “liste di proscrizione”e la crisi che colpì i Ds tra 1999 e 2000. E faccio anche un’autocritica per non aver dedicato al problema del partito, da sindaco, l’attenzione necessaria. Da allora il primo partito cittadino si è un po’ risollevato ma mai veramente ripreso: i leader di oggi sono quelli di allora, la Margherita ha portato nel Pd anche le sue divisioni, dalla società civile non è arrivato nessuno. Nel libro, però, non c’è solo pessimismo: l’elezione di Veschi e la vitalità di alcune realtà di base vengono viste come “il segno di un possibile cambiamento”. Oggi, dalla mia postazione civica e associativa, ho, per ciò che riguarda i partiti, un “sogno”: la costruzione di un grande partito della sinistra, ciò che il Pd non è mai stato. Ma che non potrà realizzarsi senza il Pd e il suo popolo. Per questo spero che il Pd spezzino possa ritrovare progettualità, apertura, coesione, e nuovi giovani dirigenti, che si impegnino per idealismo e non per carrierismo. Può farlo in un solo modo: aprendo, insieme alle altre forze del centrosinistra, in vista delle elezioni del 2012, un grande cantiere di discussione creativa su un programma di ulteriore cambiamento. Uscendo all’aria aperta e rendendo protagoniste tutte le energie della città.
lontanoevicino@gmail.com
DALLA CRISI DEL PD AL NUOVO CENTROSINISTRA Il Secolo XIX 9 maggio 2011
Il “malessere” di Renzo Guccinelli per “un modo di fare politica sempre più basato su personalismi e logiche di gruppo” nasce rispetto a un fenomeno in atto da tempo: il declino dei grandi partiti e l’emergere della personalizzazione. Cresce, a destra e a sinistra, un potere personale che fonde le risorse patrimoniali e carismatiche con le leve istituzionali, e la cui forza consiste nel vantarsi di aver ripristinato un rapporto con il popolo che i vecchi partiti avevano logorato. E’ un’ascesa resistibile? Sì, dice il coordinatore provinciale del Pd Moreno Veschi: “Non l’io ma il noi deve essere la chiave su cui costruire la politica del Pd… il Pd mira a superare il leaderismo e a farsi luogo della collegialità e della solidarietà”. Il cambiamento non è da poco, perché mette in discussione la Seconda Repubblica: nata per restituire il potere ai cittadini, conculcato dalla partitocrazia, ha finito per distruggere i partiti e per passare il potere non nelle mani dei cittadini ma in quelle dei leader di ristrette oligarchie. Non si tratta di tornare alla Prima Repubblica, ma la democrazia ha bisogno di partiti strutturati: che abbiano dei leader non onnipotenti; che sappiano elaborare progetti collettivi e non solo comunicare; che siano luoghi di cooperazione e non di competizione astiosa per il potere.
Ma il dibattito nel Pd ha anche radici locali. Nel mio ultimo libro ho raccontato come il mio distacco dalla politica “tradizionale” sia stato motivato da nuove “passioni”, la Terra Santa e l’Africa, e dalla critica al modo in cui nasceva il Pd; ma anche come sia connesso a un altro distacco, quello dal gruppo dirigente spezzino di Ds-Pd. Un gruppo dirigente vero, coeso, non c’era da tempo. C’erano singole personalità, molte anche valide, ma mancava, già allora, lo spirito di squadra. Il partito era sempre meno uno strumento radicato nella società, capace di pensare un progetto e di muovere energie popolari. Nel libro mi soffermo sul simbolo di questa “mutazione genetica”: l’episodio delle “liste di proscrizione”e la crisi che colpì i Ds tra 1999 e 2000. E faccio anche un’autocritica per non aver dedicato al problema del partito, da sindaco, l’attenzione necessaria. Da allora il primo partito cittadino si è un po’ risollevato ma mai veramente ripreso: i leader di oggi sono quelli di allora, la Margherita ha portato nel Pd anche le sue divisioni, dalla società civile non è arrivato nessuno. Nel libro, però, non c’è solo pessimismo: l’elezione di Veschi e la vitalità di alcune realtà di base vengono viste come “il segno di un possibile cambiamento”. Oggi, dalla mia postazione civica e associativa, ho, per ciò che riguarda i partiti, un “sogno”: la costruzione di un grande partito della sinistra, ciò che il Pd non è mai stato. Ma che non potrà realizzarsi senza il Pd e il suo popolo. Per questo spero che il Pd spezzino possa ritrovare progettualità, apertura, coesione, e nuovi giovani dirigenti, ch
DALLA CRISI DEL PD AL NUOVO CENTROSINISTRA Il Secolo XIX 9 maggio 2011
Il “malessere” di Renzo Guccinelli per “un modo di fare politica sempre più basato su personalismi e logiche di gruppo” nasce rispetto a un fenomeno in atto da tempo: il declino dei grandi partiti e l’emergere della personalizzazione. Cresce, a destra e a sinistra, un potere personale che fonde le risorse patrimoniali e carismatiche con le leve istituzionali, e la cui forza consiste nel vantarsi di aver ripristinato un rapporto con il popolo che i vecchi partiti avevano logorato. E’ un’ascesa resistibile? Sì, dice il coordinatore provinciale del Pd Moreno Veschi: “Non l’io ma il noi deve essere la chiave su cui costruire la politica del Pd… il Pd mira a superare il leaderismo e a farsi luogo della collegialità e della solidarietà”. Il cambiamento non è da poco, perché mette in discussione la Seconda Repubblica: nata per restituire il potere ai cittadini, conculcato dalla partitocrazia, ha finito per distruggere i partiti e per passare il potere non nelle mani dei cittadini ma in quelle dei leader di ristrette oligarchie. Non si tratta di tornare alla Prima Repubblica, ma la democrazia ha bisogno di partiti strutturati: che abbiano dei leader non onnipotenti; che sappiano elaborare progetti collettivi e non solo comunicare; che siano luoghi di cooperazione e non di competizione astiosa per il potere.
Ma il dibattito nel Pd ha anche radici locali. Nel mio ultimo libro ho raccontato come il mio distacco dalla politica “tradizionale” sia stato motivato da nuove “passioni”, la Terra Santa e l’Africa, e dalla critica al modo in cui nasceva il Pd; ma anche come sia connesso a un altro distacco, quello dal gruppo dirigente spezzino di Ds-Pd. Un gruppo dirigente vero, coeso, non c’era da tempo. C’erano singole personalità, molte anche valide, ma mancava, già allora, lo spirito di squadra. Il partito era sempre meno uno strumento radicato nella società, capace di pensare un progetto e di muovere energie popolari. Nel libro mi soffermo sul simbolo di questa “mutazione genetica”: l’episodio delle “liste di proscrizione”e la crisi che colpì i Ds tra 1999 e 2000. E faccio anche un’autocritica per non aver dedicato al problema del partito, da sindaco, l’attenzione necessaria. Da allora il primo partito cittadino si è un po’ risollevato ma mai veramente ripreso: i leader di oggi sono quelli di allora, la Margherita ha portato nel Pd anche le sue divisioni, dalla società civile non è arrivato nessuno. Nel libro, però, non c’è solo pessimismo: l’elezione di Veschi e la vitalità di alcune realtà di base vengono viste come “il segno di un possibile cambiamento”. Oggi, dalla mia postazione civica e associativa, ho, per ciò che riguarda i partiti, un “sogno”: la costruzione di un grande partito della sinistra, ciò che il Pd non è mai stato. Ma che non potrà realizzarsi senza il Pd e il suo popolo. Per questo spero che il Pd spezzino possa ritrovare progettualità, apertura, coesione, e nuovi giovani dirigenti, che si impegnino per idealismo e non per carrierismo. Può farlo in un solo modo: aprendo, insieme alle altre forze del centrosinistra, in vista delle elezioni del 2012, un grande cantiere di discussione creativa su un programma di ulteriore cambiamento. Uscendo all’aria aperta e rendendo protagoniste tutte le energie della città.
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e si impegnino per idealismo e non per carrierismo. Può farlo in un solo modo: aprendo, insieme alle altre forze del centrosinistra, in vista delle elezioni del 2012, un grande cantiere di discussione creativa su un programma di ulteriore cambiamento. Uscendo all’aria aperta e rendendo protagoniste tutte le energie della città.
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