L’ambiente mette in crisi i partiti vecchio stile
Il Secolo XIX – 5 aprile 2011 – Il successo dei Verdi tedeschi nel Baden-Wuerttemberg e nella Renania-Palatinato non si spiega solo con gli errori politici di Angela Merkel. Si lega al raddoppio dei voti dei Verdi francesi nel primo turno delle elezioni cantonali, ma anche al sostegno popolare, a Berlino, Parigi e in Italia, alla battaglia contro la privatizzazione dell’acqua. Se la Cancelliera ha perso nonostante guidi un Paese che ha un tasso di crescita record, vuol dire che l’economia, da sola, non basta a supportare una leadership politica; e che i cittadini si mobilitano sempre più sui grandi problemi della vita e dell’ambiente, senza delegarli ai vecchi partiti, percepiti come distanti dalle loro ansie e dai loro bisogni. Daniel Cohn-Bendit, leader dei Verdi europei, ha detto che il voto tedesco “ha scavato la tomba del nucleare”. I Paesi che hanno investito fortemente sull’atomo non possono spegnere da un giorno all’altro le proprie centrali: ma certamente, dopo la tragedia di Fukushima, si sono aperti scenari impensabili fino a poco tempo fa, e il nucleare ha fatto un enorme passo indietro. Nel mondo sono ancora in funzione 450 reattori che forniscono il 14% dell’elettricità consumata globalmente. Molti sono di vecchia generazione, perché da vent’anni non si costruiscono più centrali. La recente inversione di tendenza, partita in Cina e India, ora è seriamente in discussione.
Ma il Giappone e la Germania non ci parlano solo dello stop all’atomo civile, in nome dell’enormità del pericolo, della non misurabilità e quindi non accettabilità dei danni di una catastrofe nucleare. Mi hanno colpito alcune dichiarazioni fatte in Giappone subito dopo il disastro. Quella di un ministro: “Lo tsunami ci ha colpito per la nostra ipocrisia, la natura ha voluto colpire la nostra indifferenza”. E quella di un docente universitario: “Assistere al crollo di una società ritenuta invincibile e delle strutture più avanzate della nazione-simbolo della modernità globale può segnare il capolinea di una generazione e di un modello di sviluppo”. Frasi dettate certamente dall’emozione, ma che colgono il problema reale: quello che Barbara Spinelli ha definito “la fine di un mondo: di certezze, di assiomi cocciutamente coltivati”. Lo sconvolgimento di intere teorie, come già avvenne con il terremoto di Lisbona del 1755, che portò Voltaire a riconoscere la necessità di un nuovo rapporto tra uomo e natura. Non solo la fine di un’intera epoca energetica, anche tenuto conto che pochi mesi fa esplose la piattaforma petrolifera della Bp nel Golfo del Messico. Di più: la fine del prometeico sviluppo insostenibile, di una macchina annientatrice di ricchezza reale che dà in cambio soddisfazioni consumistiche sempre più effimere, e problemi sociali e distruzioni di risorse naturali sempre più gravi. Che fa trionfare le merci e soccombere il lavoro, gli uomini, la vita, la biosfera.
Il collasso di questa macchina ha portato un numero crescente di cittadini a dare centralità ai beni comuni: aria, acqua, salute, cibo, biodiversità naturale e agricola, conoscenza, lavoro, bellezza, tempo. Beni da sottrarre alla pura logica del mercatismo e del privatismo neoliberisti e da regolamentare in forme inedite, accrescendo la democrazia e la partecipazione. E’ il capovolgimento di un vecchio paradigma, quello della crescita economica come fine. Il fine è invece la prosperità generale, il buen vivir, che è il risultato di una più equa distribuzione delle risorse e di un nuovo rapporto società-natura.
Si dovrà discutere dell’impegno per aiutare la rinascita del Giappone. Ricordiamoci dello spaventoso tsunami che colpì nel 2004 migliaia di km di costa in Indonesia, Bangladesh, India dopo il terremoto a Sumatra. “Gli effetti dell’onda sono soprattutto colpa dell’uomo”, spiegò l’economista Vandana Shiva: “le coste, private delle loro difese naturali in seguito all’edificazione di complessi turistici e della distruzione delle foreste di mongrovie a fini agroindustriali sono state rese completamente vulnerabili”. Ma la lezione non è stata capita, se è vero che lungo quelle coste sono state creati, per volere della Banca Mondiale, in nome della “crescita”, enormi allevamenti intensivi di gamberetti per i nostri mercati che hanno devastato gli ecosistemi esistenti e reso il territorio ancor più vulnerabile. Non rispettare la natura è troppo rischioso: forse è questo il senso della frase del ministro giapponese.
La critica radicale al neoliberismo non porta però, come sostengono i suoi tecnocrati, al Medioevo. Si pensi all’energia: il risparmio e l’efficienza energetica, da tempo abbandonati, sono, insieme alle energie rinnovabili, una risposta di progresso e di fiducia nell’uomo. L’Enea ha stimato che da qui al 2020 possiamo risparmiare l’energia elettrica prodotta da 7 centrali nucleari come quelle ipotizzate dal Governo. Gli occupati sarebbero 3 milioni. Bisogna andare oltre l’auspicio, costruire una nuova politica industriale e della ricerca e modificare gli stili di vita della società dell’opulenza e dello spreco, adottando l”etica dei consumi” invocata da Zygmunt Bauman. E’ un sogno realistico, praticato da molti individui e movimenti, sensibili ai beni comuni. I vecchi partiti, crisalidi svuotati di vita, sono assenti, non se ne accorgono. La politica, da quando ha smesso di sognare, è diventata impotente. Ma una nuova cultura avanza. Bisogna lavorare a darle forma, visibilità, modi per affermarsi nella politica e nell’immaginario. La storia, da Machiavelli a Gramsci, insegna che il grande pensiero politico nasce sempre come risposta alternativa a uno stato di crisi acuta del sistema di idee dominante.
Giorgio Pagano
L’autore è presidente di Funzionari senza Frontiere e segretario generale della Rete delle Città Strategiche; alla Spezia presiede l’Associazione Culturale Mediterraneo.
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