Università, non si deve tornare indietro
Il Secolo XIX – 29 marzo 2011 – L’intervento di D’Alto e Raggi tiene vivo il dibattito sul waterfront, rispondendo a una mia sollecitazione: “un bene comune non rinuncia a essere un bene economico”, “economia e cultura devono procedere insieme”. Giusto, si deve ripartire da qui. Senza pretendere di annullare gli atti di pianificazione decisi, con una grande partecipazione popolare, nell’ultimo decennio. Ma anche aprendo una nuova fase di coinvolgimento che non sia di facciata. La premessa fondamentale per questo dibattito è la capacità di ascolto, da parte di tutti. Se si sa ascoltare, si sa anche dialogare. E si può realizzare una sintesi tra diverse visioni.
C’è bisogno di un ampio confronto in città su molti temi. Uno di questi è l’Università. Un’iniziativa dell’Associazione Culturale Mediterraneo ha aperto il dibattito. Quella spezzina è una delle esperienze migliori di radicamento territoriale. Un’Università di qualità, con corsi legati all’economia del territorio: Ingegneria nautica, Ingegneria meccanica, Informatica applicata. Non a caso i laureati trovano quasi tutti lavoro subito. Ma qualcosa sta scricchiolando, ed è bene discuterne. Il nostro Polo ha perso due corsi di laurea specialistica, Ingegneria meccatronica e Sicurezza informatica. In questo modo si sono indeboliti i corsi di laurea triennali di meccanica e di informatica, che non hanno più il biennio successivo. Colpa della legge Gelmini, che si pone l’obbiettivo di tenere i livelli di istruzione universitaria al di sotto di quelli della Romania, candidandoci ad essere il fanalino di coda dell’Europa in quanto a percentuale di laureati sulla popolazione. Gli studenti spezzini si dicono “indignati e delusi”. Hanno mille ragioni. Non va smarrito l’interlocutore principale: lo Stato e i suoi Governi. In altri Paesi un’esperienza di eccellenza come la nostra sarebbe sostenuta dai Governi. Da noi è il contrario: l’Università è finanziata dalle forze della città. Ma i giovani individuano responsabilità anche in queste stesse forze, “per non aver voluto fare nulla di tangibile per evitare questa drastica soluzione”. L’assessore comunale Pollio sostiene che occorre “una maggiore partecipazione dell’industria privata alla gestione e al finanziamento del Polo”. E che, anche per questo, serve “mettere a sistema l’Università con il Distretto delle tecnologie marine, cioè la didattica e la ricerca”. E’ un tema centrale: serve certo più impegno dello Stato, ma anche l’imprenditoria deve allocare ricchezza più nell’ingegno e nell’innovazione che nella rendita.
Eppure di tutto questo si discute troppo poco. La politica è assente. E’ sbagliato: non solo per i mille studenti del Polo, che rendono vitale la città e domani arricchiranno le nostre aziende. Ma anche per tutta la città, perché l’Università è una risorsa preziosa sia per lo sviluppo che per l’internazionalizzazione di Spezia, il suo inserimento in una rete globale di scambi di talenti. Se l’Università dovesse tornare indietro, a farne le spese non sarebbe solo il futuro di quei mille ragazzi, ma quello di tutti noi. La classe dirigente non deve perdere il senso stesso della parola futuro, e quindi deve investire in ricerca e cultura. A che serve la litania sui “giovani che fuggono da Spezia” se non ci si preoccupa della nostra Università?
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