Classe dirigente in crisi e sinistra poco coesa
Il Secolo XIX – 24 gennaio 2011 – La ricerca storica sulla città si arricchisce di continuo di pubblicazioni interessanti. L’ultimo libro di Alberto Scaramuccia, “Spezia 1909. Fine di una casta”, ricostruisce la vita spezzina di un secolo fa, facendo emergere lo spaccato di un’epoca di forti tensioni: la città, dopo l’Arsenale, cresceva enormemente ma doveva affrontare sfide difficili. Bisognava risanare le zone fatiscenti, eredità del colera; espandersi verso Migliarina per realizzare case e aree industriali; potenziare porto e infrastrutture. Uno dei nodi di fondo fu: con quali risorse e strumenti impositivi. Insomma: quali classi sociali dovevano farsi carico della crescita. Per “fine di una casta” l’autore intende il tramonto della classe dirigente che governava dal dopo colera del 1884: un blocco sociale imperniato sulla parte progressista della borghesia, di cui era leader Prospero De Nobili, liberale e massone. La spinta in avanti di questa classe dirigente andò progressivamente affievolendosi, sia per la difficoltà oggettiva a guidare una crescita così veloce come quella di Spezia in quegli anni, sia per i suoi errori, sia per la maggiore coscienza di sé acquisita dalle classi subalterne. Dapprima unite attorno a De Nobili, queste forze cominciarono ad assumere forme proprie: l’unione dei partiti popolari, il cosiddetto “Blocco”, che sconfisse prima De Nobili nelle elezioni politiche del marzo 1909, eleggendo il radicale Doria; e poi, nelle elezioni comunali di ottobre, il sindaco denobiliano Falconi, sostituito dal radicale Di Negro. La classe dirigente borghese, conclude Scaramuccia, “fu un insieme di persone che seppe farsi parte dirigente ma non riuscì mai ad essere organica”.
I fatti di cento anni fa non hanno ovviamente nulla a che fare con le problematiche di oggi. Ma qualche spunto per la riflessione ne viene, perché alcune questioni sono dei nodi “strutturali” della nostra storia da metà Ottocento in poi. Il rapporto con la Marina, per esempio. Proprio nel 1909 scoppia la polemica per il trasferimento dei Reali Equipaggi a Taranto, e per le sue ricadute sul tessuto economico. Ad agosto al cantiere del Muggiano c’è il varo di un transatlantico, ma già si teme per la mancanza di altre commesse. Si punta, diremmo oggi, a uno sviluppo diversificato: il porto e l’industria. Sempre in quell’anno la Vikers-Terni decide di realizzare una fabbrica meccanica (l’odierna Oto Melara). E’ assente, invece, l’opzione turistica.
E la classe dirigente cittadina? I segni di difficoltà di quella attuale, la sinistra, si vedono. E’ “poco organica”. Un gruppo dirigente coeso non c’è da tempo: mancano la cooperazione e il “comune sentire”. L’ultimo esempio: l’amico Moreno Veschi, segretario del Pd, ha scritto, a proposito delle nomine di esponenti del Pd nel Consiglio di Carispezia, che servono “procedure più trasparenti e democratiche, per evitare il rischio che scelte così importanti vengano delegate all’incidenza di singole personalità politiche”. Certo, i risultati positivi delle amministrazioni non mancano: ma sono più il frutto delle persone valide che della “squadra”. E la destra? Ha molto potere, ma non rappresenta un’alternativa. Quindi non siamo al 1909. Ma il Pd ha perso 20.000 voti tra 2008 e 2010: la sinistra non può non ripensare se stessa.
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