Il decentramento seme di democrazia
Progetto Solidarietà settembre 2010
Qual è l’immagine giusta dell’Africa oggi? La miseria e la fame, o i successi della democrazia africana per debellarle? Il quadro è molto complesso, e la risposta non è facile. Sicuramente c’è un’Africa straziante, le cui condizioni dipendono anche dai governi africani. Ma è vero anche che la gestione dei governi è migliorata nei 2/3 degli Stati, e che si è elevato il livello di alcune leadership del continente: si pensi al sudafricano Nelson Mandela o al mozambicano Joaquin Chissano, solo per fare qualche nome. In alcuni Paesi il benessere è cresciuto. Ma in altri, nell’Africa subsahariana soprattutto, i problemi restano enormi, e in certi casi perfino si aggravano. Alla base c’è il dramma della scarsità delle risorse. E ci sono responsabilità nostre, del ricco Occidente, così come delle elite al potere. Il grande squilibrio tra l’Africa e l’Occidente è il frutto del colonialismo e prima ancora della tratta degli schiavi, due fenomeni che hanno impoverito un continente che fino ad allora aveva conosciuto un suo sviluppo. Ma, dopo il colonialismo, le elite al potere non sono state spesso all’altezza, dilapidando e predando le ricchezze dei loro Stati. Ed ecco allora lo strazio dei 307 milioni di affamati, il 12,5% in più rispetto all’anno scorso. Uno strazio aggravato da nostre responsabilità attuali. Si pensi a come il cambiamento climatico stia colpendo l’Africa, un continente che non ha contribuito al danno. La colpirà, se non interverremo, con la massima forza: azzoppando, con la siccità, il suo vulnerabile settore agricolo. Si pensi ancora agli investimenti stranieri in agricoltura, che provocano il passaggio dall’agricoltura tradizionale -basata sulla biodiversità, sulle varietà locali, sulle comunità- all’agro-industria: cioè alle monoculture destinate all’esportazione e al ricorso massiccio alla chimica, con il conseguente impoverimento dei terreni.
La controtendenza è data dai tanti segnali di democrazia in Africa. Il segnale più importante è forse quello della nascita e della crescita del decentramento amministrativo e dell’autogoverno locale: uno strumento chiave per lo sviluppo, il buongoverno e la partecipazione democratica. Il tema della valorizzazione delle risorse locali e della costruzione di istituzioni democratiche decentrate è decisivo ovunque, anche in Africa. Nessun Paese può attendere che lo sviluppo e l’eliminazione della povertà arrivino solo dall’esterno. Le basi della crescita dell’Africa risiedono nel tessuto economico, sociale e istituzionale interno, e in questo tessuto ha un ruolo chiave la capacità di decentrare lo Stato, di promuovere lo sviluppo locale e l’autogoverno dei territori. E’ quello che sta accadendo: negli ultimi anni quasi tutti i Paesi hanno adottato riforme dell’organizzazione statale, trasferendo poteri alle istituzioni locali. Il processo è ancora in corso di realizzazione, ed è differenziato da Paese a Paese perché fortemente influenzato dalle tradizioni amministrative ereditate dai Paesi europei colonizzatori e intrecciato alle caratteristiche sociali e politiche di ogni realtà. Tuttavia c’è un dato comune: lo svolgimento di regolari elezioni amministrative e l’elezione diretta degli amministratori locali, che ha comportato la nascita di nuove relazioni democratiche sia verso l’alto, il governo centrale, sia verso il basso, i cittadini e le associazioni della società civile.
Un secondo dato comune è che l’autogoverno locale sta dando risultati positivi: dove c’è il decentramento amministrativo ci sono più sviluppo, più acqua, più servizi. E gli stessi aiuti allo sviluppo sono più efficaci. Una ricerca di Andrea De Guttry della Scuola Superiore Sant’Anna lo spiega bene: se vogliamo sconfiggere le malattie, la siccità, la povertà, non bastano buoni programmi ben finanziati, pur necessari, ma occorrono un rafforzamento delle istituzioni locali e una formazione di nuove classi dirigenti per dare continuità e profondità all’azione di cooperazione. Non bastano gli investimenti se non ci sono l’infrastruttura istituzionale adeguata, i sindaci e i “civil servants”. La priorità “non è fornire pesci ma insegnare a pescare”. Se cresce il decentramento, se nascono amministratori e funzionari formati e competenti, è più facile gettare i semi della democrazia e avviare con successo politiche per lo sviluppo.
E’ un settore, questo, dove la cooperazione italiana sta facendo qualcosa, e potrebbe fare molto di più. Soprattutto è importantissimo il ruolo dei Comuni italiani: pochi come noi possono vantare una storia così rilevante, e dare quindi un contributo. Nessuno come un nostro sindaco o un nostro dipendente comunale può entrare in sintonia con un sindaco o un dipendente comunale africano. Le dinamiche politiche e gestionali sono le stesse, pur in un contesto enormemente diverso. Il punto su questo contributo è stato fatto nel novembre scorso a Firenze, nell’ambito della seconda Conferenza delle Autorità regionali e locali africane ed europee, organizzata dalla Regione Toscana e dalle Nazioni Unite. La prima Conferenza si tenne nel 2004, ed ebbe il merito di intuire l’importanza del decentramento amministrativo in Africa. Nel 2005 fu costituito un osservatorio permanente di amministratori africani ed europei, attraverso il progetto “Euro African Partnership for Decentralised Governance”, a cui dal 2007 partecipa l’Anci, l’associazione dei Comuni italiani. Abbiamo lavorato per sostenere il processo di autogoverno e autonomia locale in Africa, tramite il partenariato tra Autorità locali e regionali europee ed africane, gli scambi di esperienze, la formazione del personale dei nascenti Comuni africani, e perché il tema del decentramento cominciasse a trovare un posto sempre più importante nei documenti e nelle scelte delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e di governi nazionali.
Un’esperienza davvero pilota è stata quella del progetto “Municipi senza frontiere”. Anci, Euro African partnership e la Ong Cospe hanno formato un gruppo di dipendenti dei Comuni italiani perché potessero trasferire ai colleghi dei Comuni del Niger, uno dei Paesi più poveri del mondo, le loro competenze nei campi principali di attività: amministrazione generale e anagrafe, bilancio, pianificazione territoriale e ambientale, infrastrutturazione e gestione del ciclo delle acque e di quello dei rifiuti, servizi ai cittadini e alle imprese.
Ora questa esperienza pionieristica -se ne è discusso nella Conferenza di Firenze- va esaminata e migliorata, ed estesa al maggior numero di Comuni. La sua naturale evoluzione è lo sviluppo di gemellaggi tra Comuni africani ed italiani, per dare vita a relazioni strutturate, basate sulla collaborazione paritaria e reciproca, che coinvolga anche la società civile. E’ la sfida dei partenariati “comunità a comunità”. Dobbiamo dare stabilità a questo impegno e renderlo il meno frammentato possibile. Ecco il senso della proposta di una fondazione che veda partecipi Regioni, Province e Comuni africani ed europei: un contenitore per scambiare esperienze, fare riflessione politica e culturale, trovare nuovi alleati nelle istituzioni internazionali e nei governi nazionali. E’ la nuova frontiera della cooperazione internazionale: la cooperazione più utile ed efficace, che porta risultati positivi nel lungo periodo. In Africa ma anche da noi: perché così comprendiamo meglio che Africa e Europa sono molto vicine e che il futuro può essere costruito solo assieme. Che solo a questo livello si possono affrontare sfide epocali come quelle dei mutamenti climatici, dell’immigrazione, del terrorismo, dei fondamentalismi religiosi. Che dall’Africa vengono stimoli forti per mettere in discussione forme di governo del mondo e stili di vita dell’Occidente, già travolte dalla crisi economico-finanziaria e dal tramonto in atto dell’impero dei consumi.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).
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