Il destino del CAMeC e i tagli alla cultura
Il Secolo XIX – 8 novembre 2010 – Per protestare contro i tagli del Governo alla cultura il 12 novembre centinaia di siti archeologici, musei, biblioteche hanno indetto la mobilitazione “Porte chiuse, luci accese sulla cultura”. L’iniziativa è di Federculture e Anci (quindi bipartisan), con il sostegno del Fai. I tagli sono quelli al Ministero dei beni e delle attività culturali (280 milioni) e ai Comuni (800 milioni). Tra le norme più contestate quella che prevede, per tutti i centri espositivi, un tetto di spesa per l’organizzazione delle mostre pari al 20% di quanto speso nel 2009. La prima a lanciare l’allarme era stata, non a caso, l’Associazione dei musei d’arte contemporanea italiani: i musei che “vivono” con le mostre e gli eventi, più che con le collezioni permanenti.
Purtroppo la cultura, come la formazione e la ricerca, per il Governo è un capitolo minore. Lo dimostra lo scandalo del crollo di Pompei. Quando il Governo parla di creatività per sostenere la ripresa economica, come può pensare di trascurare il sapere, che è invece strategico? In particolare, lo è anche il sapere umanistico. E, in esso, l’arte, specialmente quella contemporanea. Quella italiana è al centro dell’attenzione internazionale, così come la nostra architettura. Guai se l’Italia non fosse più capace di offrire al mondo un’idea di contemporaneità.
Aggiungo, come ha scritto Achille Bonito Oliva, che “l’arte contemporanea è un linguaggio che provoca domande, costruisce un gusto critico e sollecita continuamente il cervello”: è quindi quanto di più lontano si possa immaginare dagli obbiettivi di chi vuole gusti narcotizzati e cervelli atrofizzati.
Il tema riguarda anche Spezia: è a rischio il nostro patrimonio museale, ormai segno distintivo della rinascita della città. In particolare è in forte difficoltà il CAMeC, Centro d’arte moderna e contemporanea. Nel 2007 non è stato rinnovato il contratto del direttore Bruno Corà, che portò il museo all’attenzione nazionale e internazionale con le mostre di Tinguely e Munari, Melotti, Pistoletto e tanti altri, e con la ripresa di una manifestazione storica come la Biennale del Golfo. La società Spav (composta da Comune, Provincia, Camera di Commercio e Fondazione Carispe), che ne finanziava le attività, è stata sciolta, e nel contempo è stato accantonato il progetto di una Fondazione di partecipazione per la gestione dei musei costituita da questi enti e aperta al contributo dei privati, sul modello di quella operante nella gestione dell’Università. Non è stato nominato un nuovo direttore, non emerge una linea chiara per le mostre, non si parla più di Biennale.
Di fronte ai tagli e alle difficoltà del Comune, serve certamente battersi per ridurre i danni governativi, ma va ripresa anche l’elaborazione di un modello di gestione che unisca gli enti pubblici e pubblico e privato. Magari con un direttore giovane, che abbia una concezione dinamica dell’arte. Un costo, è vero, che si ripagherebbe però con più visitatori, più vendita di servizi, più turismo culturale, più relazioni internazionali. E poi va ripresa la Biennale, che potrebbe collegarsi con le altre tre Biennali del Mediterraneo (Atene, Istanbul, Marrakech) e connettere artisti legati da un mare comune. Il CAMeC sopravviverà solo se diventerà più forte.
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