Crisi della politica e il “peso” della Spezia
Il Secolo XIX – 23 maggio 2010 – Dalle elezioni regionali è uscito un risultato clamoroso, che le forze politiche hanno rimosso. Il primo partito italiano, ligure e spezzino è quello dei delusi. L’astensionismo cresce ad ogni elezione, anche a Spezia: due mesi fa ha votato il 61,27%, il dato più basso mai registrato.
I due maggiori partiti sono i più penalizzati. Il Pd: 58.000 voti in provincia alle politiche del 2008 (40,57%), 41.989 alle europee del 2009 (34,57%), 38.684 (35,69%) due mesi fa. Il Pdl: 50.013 voti nel 2008 (34,96%), 39.794 nel 2009 (32,73%), ora 32.837 (30,11%). Nel centrosinistra crescono, rispetto al 2008, l’Italia dei Valori e le due forze alla sinistra del Pd, ma non in modo tale da recuperare tutti i voti perduti dal Pd. Nel centrodestra, analogamente, la crescita della Lega non copre tutte le perdite del Pdl.
Il non voto ha un motivo politico: la crisi dei due partiti maggiori. Pdl e Pd sono nati in modo approssimativo e superficiale: il traguardo era ambizioso, ma fondato su motivazioni fragili dal punto di vista della cultura e dell’identità. Il Pdl non poteva vivere come Forza Italia, sull’unico programma del berlusconismo. Tant’è che i voti perduti, oltre che al non voto, vanno a una destra più coerente e omogenea, la Lega, che sta rendendo Berlusconi sempre meno padrone del gioco. Da qui l’opposizione di Fini, che però non ha la forza di disfare il patto con Bossi. Il Pd non ha saputo costruire un racconto diverso e alternativo: Bersani sta provando a collocarlo su un terreno nuovo rispetto all’origine, ma finora nemmeno il suo Pd ha preso il volo. La partita vera, per i due partiti maggiori, riguarda la cultura e l’identità: devono sapere quale Italia vogliono rappresentare e fornire una visione del futuro.
C’è poi un motivo sociale, connesso al primo. Sempre più elettori non votano perché sono emarginati dalla società e non trovano risposte credibili in nessuno: le diseguaglianze sociali crescono, ai giovani si nega il futuro, tanti si sentono senza opportunità e non tutelati. I partiti devono ripartire da qui, per tentare di rinascere. Da uomo di sinistra, penso che il Pd debba avere come punti cardinali l’eguaglianza e la partecipazione civica, contro ogni subalternità al liberismo e al leaderismo.
Le elezioni portano ad altre due riflessioni. La prima riguarda il “peso” dei partiti spezzini. Gli eletti in Regione sono quattro, come nel 2005 (tre del Pd, uno del Pdl). Ma nella Giunta Burlando ci sono solo due spezzini, uno in meno rispetto a cinque anni fa. Una perdita di ruolo, che si aggiunge a quella già registrata in Parlamento: nel 2008 il Pd “nominò” in Liguria un solo deputato spezzino, mentre nel 2006 ne “nominò” tre, più un sottosegretario. Rifondazione perse il deputato, mentre il centrodestra non ne ha mai “nominati”. Prima ancora, con i collegi uninominali, i cittadini eleggevano tre parlamentari di centrosinistra. Insomma: scende sempre più il numero di coloro che ci rappresentano sia a Genova che a Roma.
La seconda riflessione riguarda le campagne elettorali. Alle regionali non c’è la “nomina” dei partiti ma la scelta dei cittadini: non nei collegi uninominali, ma con le preferenze. La competizione interna trasforma i partiti in assemblaggi di cordate, e c’è un costo tale delle campagne personali che esclude chi non sia ricco o “notabile”. Per un partito di sinistra il rischio è una mutazione genetica: non c’è più spazio per la rappresentanza politica delle classi subalterne e dei più deboli.
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