La sfida federalista e il ruolo dei comuni
Il Secolo XIX – 11 ottobre 2009 – La crisi economica è un test di affidabilità per tutti i soggetti pubblici, anche per gli enti locali.
L’indagine del Censis “La sfida del federalismo” mette in evidenza il loro impegno contro la crisi. Il 94,1% dei Comuni è intervenuto con “pacchetti anticrisi”: potenziamento del welfare per le fasce deboli, interventi per le piccole imprese, tavoli di concertazione con altre istituzioni e forze sociali. E’ accaduto anche alla Spezia.
Se la globalizzazione, sostiene il Censis, sembrava aver cancellato il territorio e imposto il primato del singolo -impresa, lavoratore-, proprio la crisi sta riportando “alla riscoperta del territorio come dimensione strategica di competitività del sistema”. Le modalità con cui i poteri locali si sono attivati costituiscono “un concreto operare del federalismo” e “ un’assunzione di responsabilità” che li candida a svolgere, contro il neocentralismo regionale, un ruolo significativo nel futuro assetto federalista: “un federalismo che parte dal basso, dai soggetti attivi sul territorio e dal ruolo delle autonomie locali”.
Si ripropone così una storia amministrativa che vede le identità collettive formarsi dentro i soggetti locali, con un protagonismo dei Comuni e non delle Regioni, che esistono solo dall’atto costituente del 1948: un’invenzione recente, alla quale in molti casi non corrisponde una chiara identità culturale o linguistica o religiosa. I tentativi della Lega di fornire a posteriori ad alcune Regioni una coloritura nazional-folkloristica sono privi di ogni fondamento storico e quindi molto goffi.
La conclusione del Censis è condivisibile, ma va inserita in un ragionamento più ampio: con la crisi, infatti, si è tornati a considerare anche lo Stato nazionale come un nodo non superabile della rete di poteri che cercano di governare la globalizzazione. E quella attuale è una fase economica caratterizzata anche da un bisogno di statualità e di politiche pubbliche nazionali.
Il dibattito sulla forma dello Stato non può non tenerne conto: l’Italia non deve abbandonare la scelta federalista del 2001, ma scegliere un federalismo fondato sulla cooperazione -non sulla competizione- tra i diversi livelli di governo, nel quale allo Stato è riconosciuto un forte ruolo di coordinamento, per evitare le disuguaglianze e garantire a tutti i diritti essenziali. Oggi, con la crisi, più che mai. Tutta la classe dirigente, nazionale e locale, deve essere consapevole dei rischi di una disarticolazione dello Stato in un Paese attraversato da profonde fratture come l’Italia.
C’è poi un altro ragionamento da fare. Se il federalismo parte dai Comuni, occorre fare i conti con la loro adeguatezza -organizzativa, gestionale, finanziaria- ad esercitare i nuovi compiti. Il problema principale è quello delle dimensioni, troppo ridotte: su 8100 Comuni, il 72% ha meno di 5000 abitanti. La strada dell’associazionismo e delle Unioni dei Comuni (non dell’accorpamento) va quindi presa finalmente sul serio. Anche alla Spezia.
Detto questo, la vera domanda è: il Governo vuole davvero un federalismo fondato sui Comuni e cooperativo? C’è da dubitarne. Come ha detto il Presidente dell’Anci Sergio Chiamparino, “in Europa siamo il Paese dove si parla di più di federalismo, ma l’unico in cui i Comuni non hanno un’autonomia impositiva”. Cancellata l’Ici, senza tra l’altro reintegrare del tutto le risorse, o si dice quale sarà la fonte di reddito autonoma dei Comuni, o non si vuole sul serio una riforma in senso federale.
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