La Liguria punti più sulla qualità della vita che sul PIL
Il Secolo XIX – 5 ottobre 2009 – “Non possiamo misurare i successi del Paese sulla base del Prodotto interno lordo (Pil). Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette e le ambulanze per sgomberare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Misura tutto eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto dell’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.”.
Era il 18 marzo 1968 quando Robert Kennedy disse queste parole in un discorso all’Università del Kansas. Tre mesi dopo venne assassinato. Dopo 40 anni, è cambiato qualcosa? Continuiamo a misurare il benessere delle nazioni con il Pil, nonostante i suoi limiti sempre più evidenti. Il Pil, infatti, altro non è che il valore complessivo dei beni e servizi finali prodotti all’interno di un Paese: dal punto di vista dell’analisi del benessere considera tutti i trasferimenti in denaro come positivi, a prescindere dagli effetti che questi hanno sulla società. Non tiene conto dei costi sociali e ambientali generati dalle attività produttive: l’inquinamento ambientale, la perdita di biodiversità, la disoccupazione, le disuguaglianze sociali. Il Pil, inoltre, non contabilizza le “spese difensive”, cioè quelle attività economiche che nascono per far fronte a questi costi. E non contiene il valore delle tante attività umane che accrescono il benessere ma non hanno un valore sul mercato: l’economia fondata sul dono e il volontariato. Né considera il valore dei beni forniti dalla natura, che rendono possibile la vita dell’uomo sulla Terra. Un incremento del Pil, dunque, viene interpretato come un segnale positivo di aumento del benessere individuale e sociale, ma potrebbe essere generato da situazioni dannose. Si pensi, a proposito delle celebrazioni in Cina per i sessant’anni della rivoluzione, a come in questo Paese il Pil sia sopravvalutato: il contadino che non scambiava denaro è andato in città a fare l’operaio e ora ha una misera paga che incrementa il Pil, ma la sua famiglia rimasta in campagna soffre la fame, la terra paga l’abbandono dell’agricoltura, l’aria della città è più inquinata…
Ecco perché è nato un filone di ricerca che ha l’obbiettivo di individuare nuovi indicatori per rappresentare più correttamente il benessere della collettività. L’Onu pubblica ogni anno i rapporti sullo Sviluppo Umano, che usano l’indice Isu, che combina il Pil con gli indicatori della speranza di vita e dell’accesso al sistema educativo. La Commissione europea e l’OCSE hanno organizzato importanti conferenze internazionali per discutere con quali strumenti superare il Pil. La Francia di Nicolas Sarkozy ha istituito una commissione su “La misura della performance economica e del progresso sociale”, guidata dai Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen, che ha consegnato un rapporto con le raccomandazioni su come cambiare gli indicatori. L’Italia brilla per l’assenza da questo dibattito: DPEF e legge finanziaria utilizzano solo i tradizionali indicatori.
Non si può, quindi, non dare valore al rapporto “Come si vive in Italia?” presentato da sette anni dagli economisti di Sbilanciamoci sulla base dell’elaborazione del QUARS (Qualità Regionale dello Sviluppo). Si tratta di un indice che sceglie aspetti e temi dello sviluppo locale che rispondono a un’idea di benessere fondata su valori come la solidarietà, le pari opportunità, il rispetto dell’ambiente, la promozione della cittadinanza e della partecipazione, il welfare, l’economia associativa. Il rapporto 2009 è stato presentato sabato 3 ottobre a Roma. I nuovi indicatori, rispetto alla mappa realizzata in base al Pil, fanno scendere in basso Lombardia e Lazio e puntano sulle regioni più a nord, Trentino, Valle d’Aosta e Friuli, e sul triangolo del centro Emilia-Toscana-Marche.
Ma non c’è solo il QUARS a occuparsi di una nuova misurazione dello sviluppo locale. Altre indagini affrontano la stessa sfida. Da 15 anni il Sole 24 ore pubblica la ricerca sulla qualità della vita delle province e nelle regioni, che calcola tenore di vita, affari e lavoro, servizi e ambiente, ordine pubblico, popolazione, tempo libero: i risultati sono sostanzialmente analoghi. Ultimamente il Centro Studi Sintesi ha utilizzato la formula del Bil (Benessere interno lordo), che si compone di 8 indicatori: condizioni di vita materiali, istruzione, attività personali, partecipazione alla vita politica, rapporti sociali, ambiente e insicurezza economica e fisica. La classifica per città premia le regioni del centro, l’Emilia in primis.
E la Liguria? I dati concordano su una posizione di metà classifica: è undicesima su 20 regioni per il QUARS, decima per il Sole 24 ore, mentre per il Bil La Spezia è quarantasettesima su 103 province, Genova è sessantesima, Savona sessantottesima, Imperia ottantatreesima. Insomma, siamo gli ultimi del centro nord, davanti a tutto il centro sud. I programmi della campagna elettorale in tema di lavoro, ambiente, redistribuzione del reddito, lotta alla povertà, istruzione e sanità dovrebbero trarre suggerimenti e orientamenti da queste ricerche, per un ripensamento del nostro modello di sviluppo. Uno “sviluppo a scala umana”, per dirla con l’economista Manfred Max-Neef: un’economia meno “hard” e più “light”, che metta al centro le nuove tecnologie, l’ambiente, il welfare comunitario. Sono queste, e non il mito del Pil, le fondamenta più solide sulle quali costruire una vita migliore per i liguri. Il 18 settembre il Financial Times, a proposito della crisi economica e ambientale che sconvolge il mondo, scriveva: “Se ci si rende conto di aver costruito la propria casa sulle sabbie mobili non basta rafforzare il suolo. Bisogna spostarsi”. La Liguria deve fare la sua piccola parte.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).
Popularity: 12%