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24 Novembre 2024 – 21:44

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“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 29 novembre ore 16.30
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18 Marzo 1944 – 2024 ricordo di Arturo Emilio Bacinelli partigiano ucciso dai fascisti – Sarzana 18 Marzo 2024, Arturo Emilio Bacinelli e i GAP nella provincia spezzina. Relazione di Giorgio Pagano

a cura di in data 25 Novembre 2024 – 21:53

Sarzana, 18 marzo 2024
ARTURO EMILIO BACINELLI E I GAP NELLA PROVINCIA SPEZZINA
Relazione di Giorgio Pagano

Arturo Emilio Bacinelli nacque a Sarzana il 4 maggio 1910.
Fin da ragazzo faceva il falegname. Eccelleva nella professione, tant’è che fu assunto nell’Arsenale Militare della Spezia, anche se non era iscritto al Fascio. Nel 1943 si licenziò e andò a lavorare nell’officina Bertone a Sarzana.
Nella scheda Ricompart Bacinelli è partigiano dal 20 settembre 1943.
Paolino Ranieri, militante comunista, lo conosceva perché frequentava la sua bottega di barbiere, ma non ne conosceva le idee politiche. Poi capì che poteva fidarsi di lui. Secondo Ranieri Bacinelli nell’ottobre 1943 chiese di avere un incontro con lui e con Anelito Barontini per entrare nella Resistenza e ”venne nominato responsabile delle Sap di Sarzana”[1][Ranieri o l’intervistatore confondono le Sap con i Gap, NdA].
La figlia Emma (Viviana) ha raccontato che in casa il padre conservava alimenti e armi da inviare ai ragazzi che erano ai monti. Gli alimenti non si dovevamo mangiare, nonostante la fame imperante, perché erano destinati ai partigiani. La figlia lo ricorda come un uomo con un forte senso dell’uguaglianza e della giustizia sociale[2].
Subito dopo l’8 settembre 1943 in Val di Magra si costituirono due gruppi nelle colline della zona: il gruppo di Primo Battistini e dei santostefanesi sul Monte Grosso, con Angelo Tasso e Ottorino Schiasselloni, non legato inizialmente al PCI; e il gruppo sarzanese sul monte Nebbione.

Leggiamo un brano di una testimonianza di Guido Ambrosini:
In Sarzana, immediatamente dopo l’8 settembre 1943, un gruppo sparuto di elementi locali si diedero alla macchia; originariamente in otto, ben presto arrivarono al numero di trenta. Alcuni erano stati processati e condannati dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, durante il regime; altri erano politicamente sospetti di antifascismo. Mantennero contatti diretti con la cellula del PCI (Sezione di Sarzana), dalla quale dipendevano. Responsabile per la questione organizzativa e militare ne era Bacinelli Emilio, mentre Commissario Politico era Paolino Ranieri (nome di battaglia “Andrea”). Ecco i nomi di alcuni sarzanesi componenti quel primo gruppo: Baccinelli Emilio [in questo caso il cognome è scritto con due “c”, NdA], Ranieri Paolino, Forcieri Alfio, Forcieri Vittorio, Perugi Turiddo, Perugi Pilade, Vesco Guglielmo, Luciani Goliardo, Podestà Giuseppe, Rocca Bruno, Gilardi Oriano, Badiale Nunzio, Boccardi Ugo (vulgo ‘Ramella’)[3].

Vanno citati anche Anelito Barontini e Dario Montarese, che erano i punti di riferimento del gruppo.
I primi tentativi di azioni punitive e dimostrative contro i fascisti risalgono al novembre 1943, per iniziativa del PCI. Una riunione, ricordata in più testimonianze, si tenne a novembre[4].
I comunisti spezzini si attivarono, sulla base delle indicazioni nazionali, per compiere attentati. Il ruolo dei Gap – Gruppi di azione patriottica – era quello di galvanizzare gli antifascisti e di infondere senso di isolamento e di insicurezza ai fascisti.
A fine settembre 1943, in una riunione a Milano, era stato creato il Comando delle nascenti brigate Garibaldi ed era stata decisa la costituzione dei Gap. Creare le brigate richiedeva però tempi lunghi, come ha scritto Santo Peli:

Nell’immediato, il vertice del Partito, collaudato stato maggiore a capo di un esercito con pochi ufficiali e scarsissime truppe, ha bisogno di un detonatore, di una struttura operativa, capace, con azioni di grande risonanza, di dimostrare che la lotta armata, non più solo contro i fascisti ma anche contro i tedeschi, è possibile, da subito, e proprio nelle città, dove più radicata è la presenza operaia, e più denso il controllo delle autorità fasciste e dei comandi tedeschi[5].

Leggiamo una testimonianza di Terzo Ballani, che nella seconda metà del 1943 reggeva di fatto la segreteria del partito (sarà poi nel 1944 commissario politico della Brigata Centocroci, una formazione “mista”, composta cioè da “badogliani” e da comunisti):

Nei mesi di ottobre e novembre si riuscì a costituire due zone di azione nella località “Termo” per tutta l’area occupata dalle fabbriche più importanti e Villa Andreini per la città – porto mercantile e Arsenale etc.
In ognuna di queste zone vi agivano dai 15 ai 20 gappisti divisi in squadre di tre elementi comandati per la zona del Termo dal gappista Angelinelli – Villa Andreini dal gappista Lido Casalini[6].

Dopo una prima fase dedicata alla raccolta delle armi e alla diffusione di stampa clandestina, si passò alle azioni:

Le azioni di gappisti di guerra vera furono eseguite alla fine autunno-inverno 1943. […] Avviene nei mesi di novembre la prima azione importante dei gappisti nella zona dei Castagnetti di Vezzano Ligure, quando tre squadre di gappisti attaccarono una grossa squadra di tedeschi di circa 20 uomini comandati da un sergente per liberare circa quaranta uomini rastrellati in quella zona per farli lavorare per la costruzione di alcuni tronchi di strada.
Lo scontro fu improvviso e quindi rapido nella confusione; la maggior parte fuggì e i tedeschi che rimasero sorpresi non ebbero la possibilità di una immediata reazione[7].

Questa azione non è citata nella storiografia.
I documenti conservati nell’Archivio di Stato della Spezia citano numerose azioni di sabotaggio delle comunicazioni telefoniche e telegrafiche. Il 6 novembre uscì sui muri della città un manifesto fascista minaccioso, che faceva riferimento ad attentati alle linee telefoniche alla Foce e a Campiglia, nel capoluogo, e al Pezzino, al Fezzano e alle Grazie, nel Comune di Portovenere, firmato dal capo della provincia Franz Turchi. Il 30 novembre e poi il 9 dicembre toccò alle linee di Riccò, il 6 dicembre a quelle della Chiappa.
I documenti citano, a proposito di Vezzano, due azioni. I carabinieri denunciarono il 6 e poi il 7 ottobre un attentato lungo la rotabile Vezzano-La Spezia: alcuni ragazzi furono visti mentre mettevano bombe, due sospettati vennero fermati. Nei due rapporti la data dell’attentato è diversa: 3 e 4 ottobre[8]. L’8 ottobre un altro rapporto dei carabinieri scriveva di due persone fermate per il furto dei paletti issati dai militari tedeschi presso il ponte ferroviario di Vezzano Ligure, avvenuto il 7[9]. Più grave ancora fu quanto accadde, secondo il rapporto dei carabinieri del 26 novembre, a Valeriano, frazione di Vezzano, il 21 novembre: erano state lanciate due bombe a mano, a scopo intimidatorio, nella campagna vicina al Dopolavoro, dove si riunivano i fascisti. Ci furono otto perquisizioni e quattro fermi[10]. Non sembra trattarsi, in nessun caso, dell’azione raccontata da Ballani: non tutto, infatti, coincide. Ma certamente i gappisti  a Vezzano erano molto attivi.
Secondo Giorgio Gimelli le azioni di sabotaggio ai treni furono opera della “squadra Gap guidata da Arturo Baccinelli”,”che a metà novembre “effettuò frequenti lanci di bombe a mano contro convogli militari sulla ferrovia Sarzana-Parma e Sarzana-Milano”[11].
Fu un crescendo antitedesco e antifascista.
Anche se l’ispettore del PCI Raffaele Pieragostini ”Lorenzo”, quando arrivò da Genova, non fu soddisfatto:

Manca un vero comitato sportivo [militare, NdA]. Tutti si interessano di questo compito con grande scapito di tutto e di tutti. […] Esiste una banda di 50 sulle montagne. Divisa in gruppi e con un comandante che non ha “qualità militari” e un commisario [sic]. Detta banda armata del necessario non ha però ancora dato luogo ad azioni. Sono stati definiti i compiti delle bande e date direttive e indicati obiettivi e mezzi[12].

Il comandante e il commissario citati erano Bacinelli e Ranieri. Emerge già in questo primo rapporto di Pieragostini ai comunisti spezzini il suo approccio, contrassegnato dal rigore morale e dal dirigismo schematico tipici del gruppo “ventotenista”, formatosi alla “scuola del confino”.
“Lorenzo” aggiungeva che gli altri partiti erano contrari alle azioni:

Malgrado lo sforzo del nostro rappresentante, il Comitato [CLN] è su un terreno attendista. Il democristiano si è ritirato perché non condivide l’azione immediata[13].

Tuttavia le azioni proseguirono: i comunisti avevano deciso di procedere in modo autonomo. Il 12 dicembre furono sparati colpi di arma da fuoco contro i treni a Bettola di Aulla[14], il 16 dicembre nella galleria di Santo Stefano Magra[15]. Secondo il commissario federale del Fascio Umberto Bertozzi l’autore della sparatoria a Santo Stefano – lo scrisse a Turchi il 27 dicembre – era Ottorino Schiasselloni, di Caprigliola, del gruppo di Battistini[16].

Ma l’attentato gappistico vero e proprio ci fu a Sarzana, la sera del 13 dicembre, contro i fascisti. Il maggiore Rago, commissario prefettizio di Sarzana e segretario del Fascio locale, fu oggetto di colpi di pistola. Nei giorni precedenti erano falliti due attentati contro di lui. Rago e il segretario comunale che lo accompagnava, Eugenio Gari, rimasero feriti, il secondo in modo più grave. Gli attentatori appartenevano alla squadra gappista costituita da Bacinelli: un reparto particolarmente efficiente, costituito in stretta collaborazione con i comunisti sarzanesi saliti ai monti[17]. Giulivo Ricci scrisse che “Il principale autore dell’azione, dopo pochi istanti dall’attentato, si era riportato, come un casuale passante, sul posto, dopo aver rovesciato il suo impermeabile ‘double face’”[18]. “Del tutto a vuoto – aggiungeva – era andato invece il colpo progettato per catturare nel bar Costituzionale un noto esponente fascista”[19].
Secondo Ricci “Primo Battistini […] a queste azioni gappistiche diede un contributo insieme con Emilio Bacinelli”[20]. Il futuro “Tullio” lo conferma: alle “varie azioni di Gap avvenute in Sarzana […] noi tutti avevamo avuto parte fondamentale”[21].
La reazione fascista fu furiosa. Il giorno dopo il Ministero dell’Interno scrisse alla Direzione nazionale della Polizia: si era proceduto a quaranta arresti e al coprifuoco fino alle 19[22]. Gli arresti salirono a un centinaio, ma la rappresaglia fu poi mitigata da Turchi.
L’ultima bomba dell’anno fu quella scoppiata in un caruggio di Vernazza, il 27 dicembre[23].
Dalle vicende del 1943 emerge con chiarezza che i  Gap a Sarzana erano un’emanazione dei gruppi operanti sulle colline.
I Gap a Spezia ebbero invece un’origine diversa: avevano base nella città stessa, non nelle colline. Va detto che le azioni nel 1943 alla Spezia e a Vezzano citate dai testimoni come gappiste – come quella raccontata da Ballani – non ebbero precisamente le caratteristiche del gappismo “classico”. Il partito usava comunque la denominazione Gap. Il 20 gennaio 1944 Pieragostini scriveva:

Circa il lavoro dei Gruppi patriottici contro tedeschi e fascisti [gli altri partiti del CLN] hanno ancora delle obiezioni ma sono diminuite. Molto vicino a noi il rappresentante del Partito Liberale; mentre il  PS e il PdA non sono ancora sul terreno degli accordi presi tra le direzioni dei tre partiti [il riferimento era all’accordo nazionale PCI- PSIUP- PdA dell’11 dicembre 1943, NdA][24].

Il partito nazionale, come ho accennato, non era soddisfatto. Giancarlo Pajetta, in un rapporto presumibilmente della fine del 1943, scrisse che, alla Spezia, “l’organizzazione dei Gap non esiste da nessuna parte”[25]. E ancora ai primi del 1944, riferendosi in generale alla Liguria: “sono troppo molli da queste parti”[26].
In realtà l’attività cresceva notevolmente. A fine dicembre i due gruppi, santostefanese e sarzanese, si spostarono al Trambacco, una località in mezzo ai boschi nel territorio del Comune di Tresana, a breve distanza da quelli dei Comuni di Bolano e di Podenzana. Le colline più in basso erano diventate troppo pericolose. C’erano pure gli spezzini: Giovanni Albertini “Luciano”, Anselmo Corsini “Ambrosio”, Luigi Amedeo Giannetti.
Salì anche Bacinelli. Racconta Battistini:

Si stava preparando un attacco in forze contro di noi e decidemmo di andarcene. […] Io portavo in spalla lo zaino di Bacinelli[27].

Bacinelli, in realtà, preferiva operare in città, come ricordò Ranieri:

Ad un certo momento salì ai monti, dove fu nominato comandante di distaccamento. Ma, lassù, era spesso triste e preoccupato per la sua famiglia, ed in particolar modo per la figlia (Emma) Viviana; perciò decise di rientrare a Sarzana, dove riprese a dirigere le Sap [i Gap, NdA]. Peraltro i partigiani avevano bisogno di lui, e lo stesso Barontini, rientrato alla Spezia dai “monti”, ritenne di dover richiamare Bacinelli che, per le prove già offerte nelle settimane precedenti, dava le migliori garanzie di saper condurre azioni e colpi di mano fulminei e davvero efficaci contro i nazifascisti[28].

Bacinelli rientrò a Sarzana nel gennaio 1944. Alla  Spezia fu trovato per lui un rifugio, da dove usciva al momento opportuno per le azioni programmate. Intanto il 9 gennaio, in piazza Roma a Sarzana, fu ucciso Dante Pallini, vicecomandante della GNR. Il 10 gennaio toccò, sempre a Sarzana, ad altri due fascisti: Giglio Moruzzo e il fratello Dante.
La reazione nazifascista fu il rastrellamento dal 16 al 21 gennaio, che impegnò la X Mas, la GNR, reparti tedeschi: 800 uomini al comando del maggiore Umberto Bardelli della X Mas. Franz Turchi, che citò anche il ferimento dei fascisti Pietrapiana a Ponzano e Simoni a Deiva, ricordò la rappresaglia con vanto:

Dopo l’8 settembre ciò accadeva in Italia per la prima volta[29].

Ma fu senza risultato: i ribelli erano già saliti al Trambacco. Il 20 gennaio Pieragostini scriveva:

Il lavoro sportivo si svolge bene a S., speriamo di esportarlo a La S. Attendo una relazione dettagliata sull’attività in montagna, dove in questi giorni sono stati sguinzagliati un migliaio di uomini per rastrellarne 45, essendo tanti i componenti dei nostri distaccamenti, i quali si sono sganciati ottimamente e fino ad oggi non abbiamo a deplorare nessuna perdita[30].

Non sappiamo con certezza chi fece gli attentati del 9 e del 10 gennaio, ma probabilmente Bacinelli e forse anche Battistini e Schiasselloni ebbero un ruolo diretto. In una parte della memoria sarzanese autore dell’attentato a Pallini sarebbe stato Libero Neri “Magron”, titolare di un negozio di commestibili.
Continuavano intanto le critiche degli altri partiti. Ennio Carando, rappresentante del PCI nel CLN, il 20 gennaio scrisse che i rappresentanti del PdA e della DC nel CLN

sostenevano che compito del Comitato dovrebbe essere quello d’ordinare le singole azioni e non di accettare la responsabilità collettiva delle azioni da esse non predisposte. Si alludeva particolarmente ai fatti di Sarzana da essi pienamente disapprovati come azioni impolitiche, inopportune, e, per parte del rappresentante del P. Dem. Crist., immorali. Io feci notare che tali azioni erano la risultante di condizioni di fatto esistenti in Italia e richiamai l’attenzione su quanto avviene in tutte le regioni dove dominano i tedeschi e i fascisti, e di conseguenza esse sono imprevedibili ed inevitabili[31].

Il CLN restò comunque unito e decise, tra l’altro, di costituire un comitato militare.
Il 20 gennaio i Gap intervennero alla Spezia contro la X Mas. Un tram carico di marinai di ritorno in caserma e in transito nel quartiere spezzino del Canaletto fu colpito da tre bombe che provocarono la morte di due civili, entrambi operai, e il ferimento di 25 persone, 20 delle quali membri della X Mas. Leggiamo la testimonianza di Anselmo Corsini:

Da questi gruppi […] sono sorti i primi Gap da me costituiti, si componevano di pochi elementi per unità ma molto efficaci per le azioni decise. Una delle più significative fu quella compiuta contro un tram riservato alla Decima Mas composto di alcune vetture occupate da militari […]. Detta azione compiuta di sorpresa da 3 gappisti con lancio di bombe a mano[32].

L’attentato provocò una discussione anche all’interno del PCI, a dimostrazione del fatto che “la paura fisica, e le perplessità morali, non sono affatto una prerogativa degli altri partiti antifascisti”[33].
Il 16 febbraio Raffaele Pieragostini riferendosi al Commissario, cioè a Paolino Ranieri, scrisse che:

E’ stato chiesto in seguito a quale ordine era stato effettuato l’attentato al tranvai al Muggiano, egli dichiara  di essere contrario a tale genere di azioni e che ciò è stato compiuto da altri alludendo in merito ad A.                                                                                                                [nel testo dattiloscritto le lettere dopo quella iniziale sono cancellate a penna, ma si individua il nome Albertini; così come in C. il termine Commissario, NdA] […] Circa il contegno di A. egli afferma essere costui elemento poco coraggioso, di sentimenti nettamente trosckisti […] il distaccamento di Sarzana […] non   aveva nascosto le armi ma le aveva lasciate alla mercé di tutti[34].

In un secondo testo sempre datato 16 febbraio Pieragostini fu molto critico sia verso Ranieri che verso Albertini:

Ho costituito il C. M. [Comando Militare, NdA] che prima d’oggi non esisteva. Questo si è messo subito al lavoro ma ha trovato tutta una confusione e un lavoro da rifare […] un vero caos. […] Non so se di questo sia da attribuire una grande parte di colpa a C. e ad A. Costoro, che avevano abbandonato la città per andare a costituire delle squadre, hanno condotto le cose in modo tale che solo un lungo lavoro potrà rimettere in ordine i fatti e le responsabilità.  Sembra che tra i due non corra e non sia corso buon sangue; molte delle loro azioni sono state mal condotte o peggio se studiate. Oggi si accusano a vicenda come fa il C. o tacciono come fa l’A., il quale non è neppure più reperibile. Sto intravvedendo se da un’inchiesta non appariscano gli elementi per prendere provvedimenti disciplinari contro i due.
Anche in città […] è una critica al loro indirizzo. E delle critiche al loro metodo di indirizzo giungono da ogni dove. […] Convengo anch’io che molti errori sono stati da loro commessi […] Qualcosa deve essere intervenuto tra i due che deve essere chiarito. Perché credo che quel qualche cosa cosa possa essere la causa di difetti errori e forse peggio, avvenuti[35].

In questo caos Bacinelli era una certezza, almeno per compiere attentati in pianura.
Alla fine del mese di febbraio fu effettuato il primo lancio alleato in terra lunigianese, ai campi di Tea vicino al passo dei Carpinelli. Ciò avvenne grazie a Domenico Azzari, RT della Special Force vicino ai comunisti, in contatto con Goliardo Luciani e con Eugenio Bellegoni. Ai primi di marzo arrivarono in tal modo le armi per i Gap di Bacinelli.
In quei giorni si pensava a una reazione all’uccisione dei ragazzi del Monte Barca (14-17 marzo) ad opera della X Mas, la rappresaglia all’assalto al treno a Valmozzola del 12 marzo.
Ma Bacinelli fu ucciso a Sarzana il 18 marzo.
La sua abitazione era sorvegliata. Barontini sconsigliò Bacinelli di andare a casa, tentò in ogni modo di dissuaderlo.
Ma “Bacinelli insistette sulla necessità di andare, anche perché, disse, si era ricordato di aver nascosto del materiale importante nella soffitta della sua abitazione che avrebbe dovuto controllare, per deciderne poi il trasloco e servirsene per un colpo spettacolare contro una mensa spezzina dei tedeschi e della X Mas”[36].
La figlia ricorda che il padre, poco tempo prima della sua uccisione, “aveva ospitato in casa un giovane studente di Romito Magra” avviato ai monti il mattino seguente. E che “i ragazzi furono intercettati e catturati dai fascisti. Torturati ed interrogati su chi  li avesse reclutati, proprio il giovane che aveva ricevuto ospitalità in casa […] per timore di essere ucciso rivelò i particolari fisici” del padre e descrisse la fisionomia del luogo[37].
Gli unici partigiani catturati in quei giorni furono i ragazzi del Monte Barca. L’unico studente era Ubaldo Cheirasco, ma non era di Romito Magra. L’ipotesi che abbia tradito è del tutto inverosimile. Basti pensare alle testimonianze di Mario Galeazzi, l’unico ragazzo sopravvissuto, e di don Marco Mori, che assistette i ragazzi prima della morte. Dario Montarese scrisse, a proposito di Cheirasco, che ”il suo contegno fu dignitoso ed eroico ed il suo labbro muto”[38]. E tre distaccamenti della Brigata Muccini saranno poi dedicati a tre martiri del Monte Barca: Luciano Righi, Nino Gerini e Ubaldo Cheirasco.
La stessa sera del “tradimento” – secondo il racconto della figlia – i fascisti si recarono a casa di Bacinelli ma non lo trovarono. La moglie riuscì ad  avvisare gli amici. Ma Bacinelli rientrò. Il cognato Libero Mambrini gli raccomandò, durante il percorso, di non entrare, perché la casa era sorvegliata. Bacinelli entrò in casa alle  sette del mattino, salutò moglie e figlia, disse a Bruno Segnani, il vicino, di portar via quanto di compromettente c’era in casa, quando uscì fu ucciso. La figlia ricorda: “erano due fascisti con la pistola in mano”[39].
Nell’archivio del Comune di Sarzana è conservata una “minuta” senza data che riporta un elenco di vittime dei nazifascisti; dal testo pare che i dati siano pervenuti dalla Pretura di Sarzana. Forse erano un’anticipazione di atti formali finalizzati alla trascrizione di morte.
La “minuta” è contenuta in una busta di materiale non classificato dei Servizi Demografici; a scriverla dovrebbe essere stato l’allora capo servizio Corrado Martinetti (la scrittura parrebbe la sua).
Il primo nome è quello di “Bacinelli Arturo fu Antonio, ucciso dai militi G.N.R., Tellini e Tognoni, in casa, via Sobborgo Spina, il 18.3.944″[40].
Nell’immediato dopoguerra Spartaco Tellini fu condannato per avere, nella sua qualità di milite della GNR, dopo l’8 settembre, collaborato col tedesco invasore partecipando a rastrellamenti e all’uccisione del partigiano Bacinelli. La Corte d’Assise condannò l’imputato, concedendo le attenuanti generiche art. 62 bis del C.P. che convertirono la pena di morte in quella della reclusione di 24 anni, non riconoscendo in lui la fredda premeditazione all’uccisione della vittima, in quanto Bacinelli era stato ammazzato in un conflitto a fuoco (ma sappiamo che il conflitto in realtà non ci fu).
A seguito del condono del 22 aprile 1946, la pena venne ridotta a 16 anni di  reclusione, al pagamento delle spese processuali e alla confisca dei beni dell’imputato. Contro tale sentenza del 6 dicembre 1946 si ricorse in Cassazione. La Suprema Corte arrivò ad annullare la sentenza con rinvio ad altra sede e tra le motivazioni, oltre alla legittima difesa, vi era il fatto che il difensore d’ufficio non aveva convocato i testi a favore, non aveva preparato una difesa e non si era presentato neppure all’udienza costringendo a nominare un sostituto nominato lì per lì che non aveva avuto modo neppure di esaminare i fascicoli. La Corte in questo frangente avrebbe dovuto rinviare il giudizio, aspettando la presenza dell’avvocato difensore e non privare l’imputato del suo diritto ad essere assistito da una buona difesa[41].
Giuseppe Ugo Picci nel libro Cose di lunigiana scrive dell’uccisione di due fascisti a Sarzana il 23 ottobre 1944: Mirbene Tognoni e Andrea Ricci. Per ritorsione i fascisti fucilarono due ostaggi. Il fratello di Mirbete era Armando Tognoni, commissario della polizia del famigerato criminale repubblichino Aurelio Gallo. Armando scappò da Sarzana poco prima del 25 aprile e scomparve per sempre. Pare che a un certo punto della sua vita abbia riseduto a Cassino[42]. Non sappiamo quale dei due Tognoni sia stato l’altro assassino di Bacinelli, oltre a Tellini.
Infine, qualche cenno sul dopo.
Per una fase il PCI diede più attenzione alle bande ai monti.
Ma quando le bande si rafforzarono, elementi selezionati cominciarono a scendere alla Spezia e nei centri della provincia per compiere azioni gappistiche. Più tardi elementi provenienti dai monti costituirono un gruppo Gap alla Spezia.
Antonio Borgatti “Silvio” divenne il nuovo segretario provinciale del PCI nel giugno.
Nel rapporto giugno-luglio 1944 scriveva:

Per azioni contro le Brigate Nere accordo con il comando perché siano fatte da membri delle formazioni.
In città abbiamo cercato invano di creare un Gap. Si presenta la stessa situazione di G. [?] di quattro mesi fa [dopo la morte di Bacinelli, NdA].

Questo un brano di un rapporto del 22 agosto 1944:

Stiamo lavorando per creare un Gap (un colpo è andato male, un altro ha spedito un ufficiale superiore dell’esercito in paradiso).

Di seguito altri brani dei rapporti del 15 settembre 1944, del 20 ottobre 1944, del 12 dicembre 1944 e del dicembre 1944:

Abbiamo costituito un piccolo gruppo di Gap con elementi presi ai monti. Sono conosciuti in città e non possono venire in centro. In una ventina di giorni sei colpi, di cui quattro con esito felice, altri con dei ferimenti. Ieri sera è partito un maresciallo della Decima. Al primo colpo le BN hanno reagito uccidendo barbaramente quattro persone. I tedeschi li fecero richiamare dal prefetto. Si vocifera che i tedeschi abbiano ucciso i responsabili dell’eccidio. Dopo ne abbiamo uccisi altri tre e feriti due ma non è successo nulla.

Sap e partigiani continuano nell’opera di uccisione di fascisti e spie: una trentina.  [Si comincia a parlare per la prima volta di azioni armate delle Sap].
Nelle zone di controllo delle Brigate e vicine il lavoro di liquidazione dei fascisti ha il carattere della ordinaria amministrazione, tanto che le brigate nere non ne fanno alcuna menzione.
La conclusione: Intensificare il prelevamento e la liquidazione dei fascisti.

Uno dei due [membri del Comitato Federale] è stato il potenziatore di una squadra delle Sap ora trasformata in Gap [il confine  tra Sap e Gap è sempre mobile].

Settembre-ottobre: promettenti azioni con l’eliminazione di una trentina di nemici. Ma poi non si seppe resistere all’ondata di reazione e i nostri incitamenti caddero nel vuoto[43].

A gennaio 1945 ci fu uno stallo dovuto al grande rastrellamento, a fine mese già una ripresa di azioni. Dal 1945 si moltiplicarono le azioni delle Sap.
Il tema è molto controverso.
L’azione prevaleva su tutto, il male poteva – in un mondo la cui essenza era la guerra – essere necessario al bene. Viene in mente la grande letteratura sulla Resistenza: Fenoglio, Calvino, Revelli, Meneghello… Non servono storie canoniche, serve “andare in cerca di partigiani in carne ed ossa […]: grandezze e miserie”[44] per comprendere meglio le grandezze.
In un saggio pubblicato in La necessità, il caso,l’utopia Santo Peli spiega bene perché la storiografia sulla Resistenza abbia dedicato al tema scarsa attenzione[45]. La svolta ci fu con il libro di Claudio Pavone Una guerra civile. Saggio sulla moralità nella Resistenza. Bisogna cogliere il vissuto dei partigiani. Gli storici devono riuscire a fare quello che han fatto i letterati. Fu Paolo Spriano per primo a riconoscere nell’opera di Beppe Fenoglio la migliore rappresentazione dei “partigiani così com’erano”[46].
La violenza fu vissuta con con fierezza o con disagio. Bacinelli la visse con fierezza, certamente. Tra i comunisti ci furono anche paure fisiche e remore morali: erano esperienze estranee alle tradizioni operaie.
Di fronte alla tanta violenza operante nel mondo ho scelto il rifiuto totale della violenza. Ma come studioso di storia non posso sottrarmi al compito di collocare la violenza nel contesto del tempo. Un giudizio fuori del tempo sarebbe astratto. Sul punto ho intervistato tanti partigiani. In gran parte dei casi la risposta è stata questa: “Non sono orgoglioso, erano gesti necessari che ora mi pesano”. Certo è che nella fase iniziale, per tornare a Bacinelli e ai Gap, senza quelle azioni non ci sarebbe stato il primo e irreversibile salto di qualità della lotta. Una lotta necessaria per evitare la vittoria del nazismo, che sarebbe stata una catastrofe per l’umanità. Questo non può non essere riconosciuto. Così come va riconosciuto che aveva ragione Primo Levi: l’oppressore e la vittima sono nella stessa trappola, ma è l’oppressore, e solo lui, che l’ha fatta scattare.

Giorgio Pagano

[1] I. Sivori Carabelli, Testimoni del tempo e della storia, Tipografia Alpicella, Sarzana 2005, p. 52.
[2] Ivi, pp. 48-49.
[3] Resistenza nello Spezzino e nella Lunigiana. Scritti e testimonianze, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia 1975, II ed., pp. 121-122.
[4] A. Bianchi, Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana, Editori Riuniti, Roma 1975, p. 252.
[5] S. Peli, Storie di Gap, Einaudi, Torino 2014, pp. 15-16.
[6] T. Ballani, Testimonianza, AILSREC, FG2, b. 20, f. 19.
[7] Ivi.
[8] Legione territoriale Carabinieri reali di Genova, Tenenza de La Spezia, Segnalazione, 6 ottobre 1943, ASSP, Prefettura, Gabinetto, b. 84. L’oggetto del rapporto del giorno successivo fu Attentati in danno alle forze armate germaniche (ivi).
[9] Legione territoriale Carabinieri reali di Genova, Tenenza de La Spezia, Segnalazione, 8 ottobre 1943, ASSP, Prefettura, Gabinetto, b. 84
[10] Legione territoriale dei Carabinieri di Genova, Gruppo de La Spezia, Lancio di bombe a mano nelle vicinanze del Dopolavoro di Valeriano (Vezzano Ligure), 26 novembre 1943, ASSP, Prefettura, Gabinetto, b. 84.
[11] G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria,  Istituto storico della Resistenza Liguria, Genova 1965, vol. I,  p. 132.
[12] Rapporto di Lorenzo sul suo primo viaggio a La Spezia, 10 dicembre 1943, Fondazione Gramsci, Archivi del Partito comunista italiano, Direzione Nord, La Spezia, primo dicembre 1943-26 dicembre 1943, b. 24.
[13] Ivi.
[14] Dispaccio di servizio del Ministero delle Comunicazioni, Ferrovie dello Stato, 12 dicembre 1943, ASSP, Prefettura, Gabinetto, b. 84.
[15] Dispaccio di servizio del Ministero delle Comunicazioni, Ferrovie dello Stato, 16 dicembre 1943, ASSP, Prefettura, Gabinetto, b. 84.
[16] Lettera di U. Bertozzi, commissario federale della federazione lunense del Partito fascista repubblicano, al capo della provincia, 27 dicembre 1943, ASSP, Prefettura, Gabinetto, b. 100. I due gruppi, quello santostefanese e quello sarzanese, si unirono a fine dicembre, ma molto probabilmente, come vedremo, fecero azioni comuni già in precedenza.
[17] Secondo P. Meneghini uno dei due gappisti era Ernesto Parducci “Giovanni”, in seguito a capo del gruppo del Monte Barca (Prefazione a  L. Leonardi, I ragazzi del Monte Barca, Mursia, Milano 2017, p. 7).
[18] G. Ricci, Storia della Brigata garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia 1978, p. 49. L’autore riporta una testimonianza senza citare la fonte.
[19] Ibidem.
[20] Ibidem.
[21] P. Battistini, Tullio. Memorie. Cronache resistenziali, manoscritto inedito, p. 10.
[22] Telegramma del Ministero dell’Interno-Gabinetto alla Direzione Generale Polizia, 14 dicembre 1943, ASSP, Prefettura, Gabinetto, b. 100.
[23] Legione territoriale dei Carabinieri di Genova, Gruppo de La Spezia, Esplosione di una bomba in Vernazza, 28 dicembre 1943, ASSP, Prefettura, Gabinetto, b. 100.
[24]Lorenzo [R. Pieragostini], Rapporto datato 20 gennaio 1944,Fondazione Gramsci, Archivi del Partito comunista italiano, Direzione Nord, La Spezia, 16 gennaio 1944-13 dicembre 1944, b. 25.
[25] Note sull’organizzazione del partito nella Liguria, senza firma ma di G. C. Pajetta, senza data ma presumibilmente della fine del 1943, in P. Secchia, Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione 1943-1945. Ricordi, documenti inediti e testimonianze, “Annali Istituto Giangiacomo Feltrinelli”, 1971, 13, Feltrinelli, Milano 1973, p. 134.
[26] Luca [G. C. Pajetta], Rapporto da Genova, 3 febbraio 1944, in P. Secchia, Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione 1943-1945. Ricordi, documenti inediti e testimonianze, cit., p. 223.
[27] P. Battistini, Tullio. Memorie. Cronache resistenziali, cit., p. 11.
[28]  I. Sivori Carabelli, Testimoni del tempo e della storia, cit., p. 52.
[29]F. Turchi,  Prefetto con Mussolini, cit., p. 77. Il ferimento di Pietrapiana è raccontato da Battistini (Tullio. Memorie. Cronache resistenziali, cit., p. 10), mentre di quello di Simoni non ho trovato traccia né negli archivi né nella memoria deivese.
[30] Lorenzo [R. Pieragostini], Rapporto datato 20 gennaio 1944, cit.
[31] Relazione del rappresentante del PCI nel CLN della Spezia, 20 gennaio 1944, Fondazione Gramsci, Archivi del Partito comunista italiano, Direzione Nord, La Spezia, 16 gennaio 1944-13 dicembre 1944, b. 25.
[32] Testimonianza di A. Corsini, AILSREC, FG1, b. 1, f. 3.
[33] S. Peli, Storie di Gap, cit., p. 33.
[34] Lorenzo [R. Pieragostini], Compagno C., 16 febbraio 1944, Fondazione Gramsci, Archivi del Partito comunista italiano, Direzione Nord, La Spezia, 16 gennaio 1944-13 dicembre 1944, b. 25.
[35] Testo firmato Lorenzo [R. Pieragostini] con data 16 febbraio, senza titolo né oggetto, Fondazione Gramsci, Archivi del Partito comunista italiano, Direzione Nord, La Spezia, 16 gennaio 1944-13 dicembre 1944, b. 25.
[36] G. Ricci, Storia della Brigata garibaldina “Ugo Muccini”, cit., p. 71.
[37] I. Sivori Carabelli, Testimoni del tempo e della storia, cit., p. 49.
[38] I fatti di Valmozzola (il gruppo di Monte Barca), 13-17 marzo 1944, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia 1978, p. 74.
[39] I. Sivori Carabelli, Testimoni del tempo e della storia, cit., p. 50.
[40] Cittadini fucilati dai Nazifascisti, lettera del Comune di Sarzana al Comando della IV Zona operativa, 17 agosto 1945, con “minuta” a penna non firmata, ma probabilmente di Corrado Martinetti. Il documento mi è stato segnalato da Redenta Sironi, che ringrazio. La parola sottolineata è nel testo originario.
[41] CAS della Spezia, ASG, b. 46.
[42] G. Picci, Cose di Lunigiana, Accademia Lunigianese di Scienze “G. Capellini”, La Spezia 2007, pp. 77-79.
[43] Tutti i documenti citati sono in Fondazione Gramsci, Archivi del Partito comunista italiano, Direzione Nord, La Spezia, 16 gennaio 1944-13 dicembre 1944, b. 25; l’ultimo è invece collocato per errore nella b. 24.
[44] S. Peli, La Resistenza difficile, BFS edizioni 2018, p. 9.
[45] S. Peli, La necessità, il caso, l’utopia, BFS edizioni 2022, pp. 39-48.
[46] P. Spriano, I partigiani così com’erano, “L’Unità”, 28 agosto 1965.

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