Energia nucleare, sono troppi i nodi irrisolti
Il Secolo XIX 7 settembre 2009 – Il Senato ha approvato la legge che consentirà il ritorno del nucleare in Italia. E’ una svolta storica, che sta passando sotto silenzio o quasi.
Parlare di nucleare non può essere considerato una bestemmia. Insomma, non è un tabù. Non si può sfuggire al tema della lotta alle emissioni di CO2, per sconfiggere il cambiamento climatico, e a quello di un riequilibrio delle fonti energetiche. Non possiamo fondare la nostra politica energetica solo sul gas naturale, importato dall’estero (oggi la nostra dipendenza dal gas è del 53% dei consumi di energia). Servono almeno altri tre pilastri: il risparmio e l’efficienza energetica; le fonti rinnovabili; la ricerca sulle energie del futuro e sulle nuove tecnologie, dal sequestro geologico della CO2 prodotta dalle fonti fossili all’idrogeno, fino alla fusione nucleare o a una fissione davvero sicura.
La questione è se fidarsi o meno del nucleare disponibile oggi, nato nel 1942 e andato in crisi irreversibile con il disastro di Cernobyl del 1986. Ricordo il grande dibattito di quegli anni: molti sostenitori convinti del nucleare dopo di allora non lo furono più. Cernobyl, infatti, dimostrò che l’incidente nucleare aveva un’assoluta specificità e gravità e che il rischio poteva assumere dimensioni non quantificabili nei suoi effetti spazio-temporali.
Sarebbe stato necessario, dopo il referendum del 1987 che cancellò il nostro nucleare, dotarci di un nuovo piano energetico. Quasi nulla, invece, è stato fatto, salvo aumentare le forniture di gas.
Ora si riapre il capitolo del “vecchio” nucleare, senza alcuna discussione seria e argomentata. Come se fosse sufficiente il vecchio ritornello: “Fidatevi di noi! Noi siamo i tecnici, abbiamo le competenze”. Il coinvolgimento dell’opinione pubblica dovrebbe affrontare le tre criticità del nucleare individuate nell’importante studio del 2003 del MIT (Massachusetts Institute of Technology).
La prima è quella della sicurezza degli impianti, che rimane un motivo di forte preoccupazione. Gli impianti “a sicurezza passiva” aspettano ancora una prima applicazione industriale, e tempo a sufficienza per dimostrare la loro efficacia. Mentre il confinamento geologico delle scorie ad alta radioattività è ancora un problema insoluto pur dopo decenni di studi, esperimenti e ipotesi semplicistiche.
La seconda criticità è quella dei costi molto alti, che rendono il nucleare non conveniente e irrealistico senza sovvenzioni pubbliche. Va aggiunto che, storicamente, i costi di costruzione si sono sempre rivelati molto più alti di quelli pianificati: la centrale in costruzione in Finlandia (l’unica in Europa) ha visto il suo budget iniziale più che raddoppiare in pochi anni. Anche i tempi si sono prolungati sempre più: le ultime centrali sono state realizzate in media in 200 mesi, ovvero quasi vent’anni. A penalizzare ulteriormente il nucleare ci sono poi i costi di smantellamento degli impianti giunti a fine vita.
La terza questione irrisolta, infine, riguarda la minaccia, altissima, di una proliferazione di armi legata alla produzione e al commercio illegale di uranio arricchito o di plutonio. Il rischio, cioè, che i Paesi che dispongono di questa tecnologia la utilizzino per lo sviluppo di armi nucleari.
Le tre cause dell’impasse del nucleare sono ancora senza risposte. Non a caso, in questi anni, né la politica né il mercato hanno promosso il nucleare. Tra il 1970 e il 1990 entrarono in esercizio 338 centrali, circa 17 ogni anno; dal 1990 al 2005 appena 25, pari a 1,7 centrali all’anno. Dal 1978 negli Usa e dal 1993 in Europa (a parte quella finlandese) non se ne è ordinata nessuna. Le centrali in costruzione sono dislocate per lo più in Estremo Oriente e nell’ ex Urss. E il nucleare copre sempre meno il fabbisogno di energia: per mantenere il livello attuale occorrerebbe che per il 2015 entrassero in funzione 60-70 reattori, in sostituzione di quelli chiusi per vetustà. Ma è del tutto impossibile. Invece di pensare a procedure di tipo militare per imporre il “vecchio” nucleare, il Governo farebbe bene ad aprire una discussione sui problemi non risolti di questa tecnologia e sui veri nodi da scogliere per dare all’Italia una politica energetica efficace. E l’opposizione dovrebbe far sentire la sua voce.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche)
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