Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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La Resistenza a Lerici /6
La diserzione dei giovani e la lotta degli operai contro la fame

a cura di in data 7 Settembre 2024 – 20:51

Armando Isoppo, Tommaso Lupi e Argilio Bertella subito dopo il 25 aprile 1945

Lerici In 1° febbraio 2024

A inizio 1944 la prima “primavera partigiana” era ormai vicina.
Ne saranno protagonisti non solo i “vecchi” antifascisti del ventennio come Tommaso Lupi, Alfredo Ghidoni e Argilio Bertella, ma anche i militari – italiani e stranieri – sbandati dopo l’8 settembre 1943, gli operai delle fabbriche e i giovani renitenti alle chiamate alla leva della Repubblica mussoliniana.
La prima chiamata fu a fine novembre: nello Spezzino aderì solo il 17%. A fine novembre i volantini del CLN che invitavano i giovani a disertare furono trovati nel capoluogo, a Lerici, a Santo Stefano Magra, a Vernazza. Furono tutti stampati nella tipografia della Rocchetta.
La “primavera partigiana” fu preparata dagli scioperi nelle fabbriche del gennaio e del marzo 1944, di cui furono protagonisti gli operai lericini, che lavoravano soprattutto al Cantiere Muggiano. Uno dei loro capi era Armando Isoppo.
La protesta aveva all’origine una situazione sociale insopportabile: dopo l’8 settembre 1943, l’occupazione tedesca del territorio e il ritorno dei fascisti, a dominare erano la fame e la disoccupazione. I negozi e i mercati erano vuoti, il mercato nero regnava incontrastato. I prezzi erano saliti vertiginosamente, le paghe non riuscivano a reggere il passo. A tutto questo si aggiungevano la disoccupazione e la minaccia di essere deportati in Germania per lavorare nelle fabbriche del nemico.
In un Promemoria della Corporazione fascista dei lavoratori dell’industria al capo della provincia e prefetto Franz Turchi del 24 novembre 1943 è scritto che gli occupati alla Spezia erano 4 mila, i disoccupati 6 mila: ma molti lavoratori non si erano “iscritti alle liste per tema di essere precettati ed avviati in Germania o di essere richiamati alle armi”[1]. I disoccupati erano quindi molti di più. Secondo il Consiglio provinciale dell’economia, nello stesso mese di novembre, erano 8 mila[2]. Il Muggiano era la fabbrica con il maggior numero di lavoratori, anche se di molto diminuito: 2.500 circa.
Nel novembre e nel dicembre 1943 a Torino, a Milano e in altre città furono organizzati scioperi con richieste economiche. Il ruolo del PCI – che aveva dato l’indicazione di creare i Comitati di agitazione – fu più accentuato rispetto agli scioperi del marzo e dell’agosto 1943, ma le agitazioni ebbero quasi sempre un inizio spontaneo. Fu così anche nello sciopero del gennaio 1944 alla Spezia.
Ho studiato questo sciopero, in particolare al Muggiano, per la mia Postfazione al libro di Dino Grassi Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista. Eccone un brano:
“Nelle fabbriche spezzine gli scioperi, con rivendicazioni economiche, si tennero ai primi del gennaio 1944: iniziò l’OTO Melara il 5, la lotta si allargò il 7 al Muggiano e ad altre fabbriche. Al Muggiano si tenne, l’8, una grande manifestazione sotto gli uffici della direzione. Lunedì 10 il prefetto Franz Turchi si recò all’OTO e al Muggiano, alternando lusinghe e minacce. Alla fine, il pomeriggio dell’11, cedette su buona parte delle richieste, e lo sciopero cessò.
É di notevole interesse il documento Materiali sullo sciopero di Spezia – Gennaio 1944, steso nello stesso mese dalla Federazione spezzina del PCI, in cui la Relazione di un membro del Com. Federale descriveva ogni fase dello sciopero al Muggiano e spiegava:

Segnalazione dei carabinieri sul volantino e sull’ordigno a Lerici – 11 gennaio 1944 – ASSP, Prefettura-Gabinetto, Occupazione germanica, industrie, b. 165

«[La] rivendicazione dei generi alimentari […] fu proprio una leva che rimosse quell’incrostazione che da vent’anni aveva assorbito la classe operaia. […] si è giunti a una maturazione politica che bastò posticipare di tre giorni la paga per far esplodere in un sol colpo lo sciopero che noi compagni ci eravamo promessi di raggiungerlo [sic] solo una decina di giorni dopo. Questo precipitare degli avvenimenti in fabbrica ci ha sorpresi tutti e non nascondiamo che noi stessi ne siamo stati così sorpresi di tale fulmineo colpo, che alcuni operai comunisti uscirono dal cantiere a chiedere istruzioni di come dovevano contenersi e quali rivendicazioni loro si proponevano di chiedere in merito allo sciopero»[3]”.
Come spesso nella storia del movimento operaio – era solito dire Dino Grassi – “gli operai erano più avanti” rispetto al partito.
Il partito fu “spiazzato”. Ma al contempo si lamentò sulla conclusione dello sciopero. Gli operai – per usare il linguaggio di Dino Grassi – secondo il partito erano “più indietro”:
“Non si era formato un Comitato Sindacale Segr. Vi fu, e forse vi è ancora una certa corrente favorevole alle Comm. Interne. Resta il fatto che durante lo sciopero i compagni, malgrado le istruzioni contrarie che a suo tempo erano state impartite, hanno dato il loro consenso alla formazione delle Commissioni che andarono a parlamentare e a trattare con il prefetto”[4].
Si può dire che gli operai avessero sbagliato? Che altro avrebbero potuto fare in quel contesto? Emergeva, piuttosto, una loro capacità di adoperare tutti gli strumenti organizzativi che le condizioni di lotta potevano offrire. Tant’è che nel febbraio successivo gli operai fecero fallire le elezioni delle Commissioni Interne, organizzate dai fascisti.
La protesta continuò. Lo sciopero si era concluso il 10 gennaio mattina, l’11 gennaio Turchi aveva ceduto. Ma lo stesso 11 gennaio la Tenenza di Sarzana dei Carabinieri scriveva:
“Giorno 10 c.m circa ore 19,30 due sconosciuti a bordo di automobile fermavano abitato Lerici (La Spezia) et gettavano in diversi esercizi manifestini a firma ‘Comitato di agitazione provinciale’, invitanti classe operaia a scioperare per mancata distribuzione grassi. Successivamente circa ore 20,15 opera sconosciuti in largo Marconi veniva lanciato ordigno esplosivo in direzione finestra ufficio comunale Fascio, provocando rottura di un vetro. Nessun danno alle persone”[5].
Stava per cominciare la preparazione dello sciopero generale del marzo 1944, dopo il quale si sviluppò amplissima la Resistenza armata ai monti.

Giorgio Pagano

[1] Promemoria della Corporazione dei lavoratori fascisti dell’industria per il capo della provincia, ASSP, Prefettura –Gabinetto, Occupazione germanica, Industrie, b. 165.
[2] Consiglio provinciale dell’economia della Spezia, novembre 1943, ivi.
[3] Giorgio Pagano, Postfazione a Dino Grassi, Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista, ETS, Pisa, 2023, pp. 175-176. La citazione tra virgolette è tratta da Materiali sullo sciopero di Spezia – gennaio 1944, Relazione di un membro del Com. Federale, Fondazione Gramsci, Archivi del Partito comunista italiano, Direzione Nord, La Spezia, 16 gennaio 1944-13 dicembre 1944, b. 25.
[4] Testo datato 20 gennaio 1944 e firmato Lorenzo, Fondazione Gramsci, Archivi del Partito comunista italiano, cit. Lorenzo era il nome in clandestinità di Raffaele Pieragostini (1899-1945), Medaglia d’Oro al V. M. alla memoria, in quella fase ispettore regionale del PCI in Liguria.
[5] Tenenza dei carabinieri di Sarzana, Segnalazione,  ASSP, Prefettura –Gabinetto, Occupazione germanica. Industrie, b. 165.

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