Il PD archivi il bipartitismo e lavori sulle alleanze
Il Secolo XIX 28 luglio 2009 – Le elezioni politiche del 2008 e quelle europee del 2009 hanno dato un colpo mortale al tentativo di rendere bipartitico il nostro sistema politico. Nel 2008 i voti al Pdl e al Pd restarono più o meno stabili rispetto ai dati del 2006. Non ci fu sfondamento bipartitico, e i veri vincitori furono i “partiti di seconda fascia”, la Lega e l’Italia dei valori. Sia a destra che a sinistra la sfida bipartitica e la tendenza al voto utile avvantaggiarono molto di più l’alleato minore che non il partito maggiore. La consultazione europea ha confermato e rafforzato questa tendenza: la Lega e l’Idv sono stati ancora una volta i vincitori, non solo perché hanno guadagnato peso elettorale ma anche perché si sono rafforzati rispetto agli alleati. Pdl e Pd hanno attirato il 54,75% del corpo elettorale nel 2008, e il 38,25% nel 2009. Il Pdl ha perso 2,8 milioni di voti rispetto a un anno fa, il Pd 4 milioni.
Il congresso del Pd deve quindi chiarire il fondamento e l’identità del partito e, contemporaneamente, darsi una strategia delle alleanze. Più sarà chiaro il profilo del Pd, più saranno trasparenti le alleanze. La scelta non si può rinviare a quando il Pd si sarà rafforzato, come sostengono in molti: anche perché le elezioni regionali del 2010 sono vicine, e se è vero che ogni regione ha una sua storia è anche vero che il voto regionale è un voto molto “politico”.
Un partito che rilanci un riformismo di sinistra può intanto mettere in movimento e unire l’opposizione. Ciò significa in primo luogo aiutare la sinistra fuori dal Parlamento, che ha dato alle europee una prova di “esistenza in vita”, a radunare i suoi voti dentro un contenitore politico che abbia forza di rappresentazione, credibilità di governo e leadership robusta (l’unica oggi è quella di Nichi Vendola).
In secondo luogo l’Udc va chiamata a scegliersi un campo politico e culturale più definito.
C’è infine la sfida a Antonio Di Pietro: l’opposizione deve essere responsabile, di progetto e di governo. E’ una sfida difficilissima, come dimostra il fatto che oltre la metà degli elettori dell’Idv alle europee lo stesso giorno, alle amministrative, non ha votato il candidato del Pd. Insomma, il partito di Di Pietro, scrive Ilvo Diamanti, “più che un’alternativa politica tende ad essere un’alternativa alla politica”.
Vengono al pettine tutti gli errori del Lingotto, spiegati molto bene da Michele Prospero nel saggio “Bipartitismo per forza? Gli errori di una strategia”. Walter Veltroni, per accelerare il parto del bipartitismo, ribaltò il dato della difficoltà di Silvio Berlusconi e della sua rottura con Gianfranco Fini contribuendo in modo decisivo alla ricucitura tra i due e consentendo così a Berlusconi di rimettere in piedi una coalizione.
Veltroni, inoltre, rifiutò il dialogo con l’Udc su una modifica del sistema elettorale ispirata al bipolarismo e non al bipartitismo: in questo modo isolò e mise all’angolo il partito di Casini, esponendolo al rischio, scampato per il buon risultato della sua corsa autonoma, della scomparsa.
Il segretario del Pd, infine, offrì l’apparentamento all’Idv, garantendogli così ciò che non era affatto sicuro, cioè il superamento del quorum nelle urne. Poi ci fu la scomparsa della sinistra, frutto dell’insipienza politica de La Sinistra L’Arcobaleno, che con Fausto Bertinotti abboccò alla teoria della separazione consensuale senza presentare un progetto ma solo un cartello campato in aria: un esito che lasciò scoperto il fronte sinistro del sistema parlamentare e consegnò uno spazio politico ampliato all’opposizione populista dell’Idv.
Il congresso del Pd deve affrontare alla radice questi errori, che sono tra le cause di due sconfitte pesanti. In Italia c’è bisogno di un bipolarismo fondato su più partiti con ideologie coerenti, e non di un bipartitismo fondato su leader soli al comando e su partiti liquidi, in cui il leader elegge la direzione, decide i nomi degli eletti e richiede un personale politico obbediente e conformista. Per voltare pagina, va sconfitta quella malattia mortale del sistema politico italiano che Prospero chiama “direttismo”: un virus contagioso che destruttura la democrazia impedendo la ricomparsa di partiti normali e di classi dirigenti serie.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).
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