Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
I due …

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L’operazione Speedwell. La Resistenza internazionale

a cura di in data 28 Febbraio 2024 – 21:59

Il Secolo XIX nazionale, 21 settembre 2023

A metà agosto 1943, il comando del SAS – Special Air Service, corpo speciale dell’esercito britannico – organizzò le Operations Speedwell. L’obiettivo era inviare in Italia paracadutisti, scelti tra gli uomini più coraggiosi e audaci, per missioni di sabotaggio ai collegamenti ferroviari che attraversavano gli Appennini, al fine di rallentare i rifornimenti tedeschi. Le operazioni furono due. Il Gruppo Uno impegnò sette uomini al comando del capitano Philip Pinckney, si paracadutò presso Firenze, effettuò la missione e rientrò nella linea del fronte ricongiungendosi con le forze alleate. Il Gruppo Due, costituito da sei militari al comando del capitano Patrick Dudgeon, doveva fare altrettanto vicino alla Spezia. In qualche modo operò, ma ebbe un tragico epilogo.
La missione Speedwell 2, oltre che dal capitano Dudgeon, 23 anni, era formata dal tenente Thomas MacLeggan Wedderburn, secondo in comando, 27 anni, dal sergente William Johnstone “Geordie” Foster, 27 anni, dal caporale James Shortall, 24 anni, nato in Irlanda, dal cannoniere Bernie Brunt, 22 anni, e dal soldato scelto Harold “Tanky” Challenor, 21 anni.
I sei britannici partirono il 7 settembre 1943 dalla base di Kairouan, in Tunisia, e atterrarono l’8 settembre a Barbarasco di Tresana in Lunigiana, dopo un volo da duemila metri. La meta doveva essere, in realtà, Borgotaro, nel Parmense confinante con la Liguria. Il loro compito era operare a coppie, in tre punti diversi delle linee ferroviarie. A Wedderburn e Challenor spettava il punto tra Aulla e Bologna, agli altri quattro – Dudgeon con Brunt, Foster con Shortall – i punti tra La Spezia e Genova: un obiettivo difficile, perché lontano.
Ma per tutti e sei era una “missione quasi impossibile”: non avevano radio e non potevano comunicare, non avevano supporto a terra, né intelligence… Arrivarono quando fu firmato l’armistizio dell’Italia con gli angloamericani, ma lo seppero solo parecchi giorni dopo. La zona era pesantemente presidiata dai tedeschi, e poi dai fascisti repubblichini.
Non sappiamo se Foster e Shortall fecero azioni di sabotaggio. Ma il 20 settembre, forse per stanchezza o disattenzione, entrarono in un bivacco tedesco alla Foce, sulle alture spezzine. Catturati, furono portati nel quartier generale tedesco di Ponzano Magra e, il giorno dopo – ottant’anni fa – legati a un albero, uccisi da un plotone di esecuzione e sepolti in una fossa. Il comandante Gustav Heisterman von Ziehlberg non ebbe dubbi. Due abitanti del posto, Michele ed Ennio Marchi, videro, nascosti, il massacro. Misero una croce sulla fossa e raccontarono l’accaduto nel dopoguerra. Contro la Convenzione di Ginevra, che proteggeva i soldati in divisa, prevalse l’ordine di Hitler del 18 ottobre 1942: uccidere chiunque. Ai due inglesi fu negato anche il prete, che avevano chiesto. Oggi Foster e Shortall riposano a Genova, nel cimitero di Staglieno.
Altri due britannici – Dudgeon e Brunt – furono ospitati generosamente da Massimo Petriccioli, un contadino di Barbarasco. Non sappiamo se riuscirono a sabotare la linea Spezia-Genova.
Quando arrivarono a casa di Petriccioli, l’altra coppia, anch’essa da lui ospitata, era appena partita: Wedderburn e Challenor avevano sabotato la linea Aulla-Parma e, non trovando i compagni, si erano diretti verso sud.
Dudgeon e Brunt si fermarono sei giorni a casa di Petriccioli, durante i quali fecero ricognizioni per individuare le forze nemiche, per poi decidere di impossessarsi di un’auto tedesca. Pensavano – ma la congettura era sbagliata – che il generale Rommel fosse nella zona, e volevano ucciderlo. L’imboscata al mezzo tedesco fu tesa a sud di Pontremoli, la sera del 30 settembre. Ma qualcosa andò storto, un tedesco fu ucciso, un altro ferito. I britannici fuggirono verso il passo della Cisa su un’auto ammaccata e sporca di sangue. Furono bloccati e arrestati al posto di blocco del passo, e fucilati il primo ottobre in un sentiero vicino. Fecero in tempo a cantare la prima strofa di “God Save the King”. Von Ziehlberg, credendo fossero italiani, aveva preso in ostaggio il prefetto di Massa, tre podestà e trenta pontremolesi segnalati dai fascisti. Rommel disse di lasciarli liberi, e von Ziehlberg dovette, suo malgrado, obbedire. Fu inflitta una multa molto pesante al Comune di Pontremoli, 30 mila lire, che fu pagata il 12 ottobre.
L’altra coppia di paracadutisti si salvò. Volevano raggiungere gli Alleati, ma non sapevano che fossero così lontani. Wedderburn fu arrestato a Coppito, vicino L’Aquila, a fine dicembre 1943, e deportato in Germania, fino all’aprile 1945. Filomena, la contadina che lo ospitava, fu fucilata per rappresaglia. Lo ha raccontato nel suo diario Challenor, che raggiunse Foggia dopo un viaggio di sette mesi attraverso gli Appennini. Sopravvisse solo grazie all’aiuto disinteressato della gente di montagna: “durante tutto il viaggio ricevemmo il cibo dai contadini italiani e di notte dormimmo nelle loro stalle”.
Questa storia straordinaria spiega molto bene la dimensione europea, internazionale e transnazionale che unì i movimenti di Resistenza contro il nazismo e il fascismo.
I resistenti internazionali e transnazionali furono molti. Un nucleo consistente fu quello dei prigionieri di guerra alleati che furono liberati o riuscirono a fuggire dai campi di internamento rimanendo però bloccati dietro le linee nemiche. Molti si aggregarono alle bande partigiane: nella IV Zona, quella spezzina, uno di loro, il maggiore inglese Gordon Lett, diede vita a una formazione di partigiani di più nazioni, il Battaglione Internazionale. Non a caso è stato Brian Lett, figlio di Gordon, a raccontare l’operazione Speedwell 1 in un bellissimo libro, che spero sia tradotto presto in italiano.
Un altro gruppo fu quello di coloro che vissero lo sbandamento delle proprie Forze Armate in territorio occupato dal nemico, come i militari italiani che combatterono nelle resistenze jugoslava, albanese, greca e francese, dando vita ai battaglioni Garibaldi e Matteotti in Bosnia, Garibaldi in Montenegro, Gramsci in Albania e poi in Bosnia…
Il fenomeno fu anche inverso: gli stranieri che parteciparono alla Resistenza italiana furono 15-20 mila. La banca dati del partigianato ligure censisce oltre 50 nazioni di nascita. Nella 175ª Brigata Garibaldi Sap Guglielmetti, che operò in Val Bisagno, combatté un partigiano eritreo, Brahame Segai, nato nel 1900. Non sappiamo altro di lui. Qualcosa di più sappiamo di Nicolau do Rosário, nato il 4 settembre 1894 a São Vicente, nelle isole africane di Cabo Verde, caduto a Genova il 24 aprile 1945 in un combattimento contro i nazifascisti. Nicolau faceva parte della 863ª Brigata Garibaldi Bellucci (o Caio) e fu ucciso da una raffica di mitra nei pressi dell’ospedale Galliera dove, ancora oggi, lo ricorda una piccola targa. La sua tomba è nel cimitero di Staglieno.
Già il primo storico della Resistenza, Roberto Battaglia, dedicò un paragrafo all’“internazionalismo partigiano”. Ma il tema non è mai stato troppo indagato: l’Ottantesimo deve esserne l’occasione.

Giorgio Pagano

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