A ottant’anni dall’8 settembre 1943 – seconda parte
Quando la Marina salvò la flotta e l’onore
Città della Spezia, 10 settembre 2023
GUSTAVO BELLAZZINI, L’ULTIMO SUPERSTITE
Ho parlato con Gustavo Bellazzini, 102 anni, dopo che era appena arrivato ad Alghero, giovedì sera. Ieri Bellazzini ha partecipato alla cerimonia al largo della costa di Porto Torres per commemorare l’ottantesimo anniversario dell’affondamento della corazzata Roma: 1353 morti, 622 superstiti, lui l’unico ancora in vita. L’ho sentito in buona forma, entusiasta per l’invito. Si è raccomandato ancora una volta di non disperdere la memoria. Tante volte ho ascoltato le sue parole:
“Avevo ventidue anni, ero imbarcato come fuochista. La prima bomba, poi la seconda, la nave era distrutta. Mi lanciai in mare quando ormai l’acqua era arrivata al trincarino, nuotai per uscire dai gorghi. Raggiunsi una nave della scorta a duecento metri di distanza. Fui recuperato a bordo. Io sono qui ma il mio cuore è rimasto laggiù”.
I NAZISTI, INDISTURBATI, INVADONO L’ITALIA
La storia dell’8 settembre alla Spezia è un tutt’uno con la storia della Marina. Tanto più allora, da quel novembre 1942 in cui il grosso delle forze di battaglia dell’arma furono spostate, per essere meglio protette, da Taranto nella nostra città. Ma non fu sufficiente.
Subito dopo l’annuncio della sostituzione di Mussolini, il 25 luglio, il primo impulso di Hitler era stato di intervenire militarmente per restaurare il fascismo. Ma i suoi generali proposero una tattica più duttile: il rafforzamento continuo delle posizioni in Italia, fino all’occupazione pacifica del Paese. Ancora il 6 agosto, nel convegno di Tarvisio, il nuovo governo presieduto da Pietro Badoglio ribadì l’alleanza con i tedeschi. Così il 15 agosto, in un convegno a Bologna tra militari. I tedeschi, sostanzialmente indisturbati, portarono in Italia, tra la fine di luglio e la prima metà di agosto, sei divisioni e mezzo. Un’occupazione che continuò fino all’8 settembre, con altre divisioni e con non meno di 120 mila uomini non inquadrati nelle divisioni. Spezia, l’8 settembre, era ormai circondata.
LO SFASCIO DELLE FORZE ARMATE, MA NON DELLA MARINA
Il crollo dello Stato e delle istituzioni fu enfatizzato dallo sfascio delle Forze armate. Ma non della Marina, nonostante la tragedia della corazzata Roma. Se l’8 settembre fu il giorno dello sfaldamento ma anche della reazione ad esso, lo dobbiamo non solo a coloro che erano convintamente antifascisti – allora ancora una piccola minoranza – ma anche e soprattutto alle donne e agli uomini semplici che in quei giorni presero coscienza di cosa volesse dire vivere sotto una dittatura e del baratro in cui essa aveva condotto l’Italia. Non si rassegnarono al crollo della vecchia patria e con l’impegno personale prima ancora che collettivo ebbero, sempre più, nuove aspirazioni: una patria di liberi e uguali, molto diversa da quella precedente.
Nel caos fu la classe operaia a rivelare i maggiori tratti di coesione interna: la tendenza degli operai a rimanere uniti e attivi sarà decisiva nella Resistenza. Ma questo sentimento ancora indefinito, questo senso del sacrificio che fu l’ideale prosecuzione, per molti, di una rivoluzione rimasta inattuata nel primo Risorgimento, pervase anche la coscienza della maggioranza degli uomini della Marina.
Alla base dello sfascio delle Forze Armate vi fu la fuga dalle responsabilità da parte dei comandi. I reparti rimasero senza ordini. Gli episodi di resistenza, proprio per questo, suscitano ammirazione ma anche meraviglia: sembrano un miracolo. Anche i militari, come tutti i cittadini, scelsero in base alla propria coscienza.
Gli ordini superiori contenevano un insanabile conflitto di obiettivi: la sera dell’8 settembre il capo del Comando supremo generale Vittorio Ambrosio lasciava ai comandanti dell’esercito piena libertà di “assumere nei confronti dei tedeschi quell’atteggiamento che apparirà meglio adeguato alla situazione”. Da un lato l’ordine diceva: “tutte le truppe di qualsiasi arma dovranno reagire immediatamente et energicamente et senza speciale ordine at ogni violenza armata germanica et della popolazione in modo da evitare di essere disarmati e sopraffatti”, mentre la frase successiva suonava: “Non deve però essere presa iniziativa di atti ostili contro i germanici”.
In quella situazione – presenza massiccia dei tedeschi e ignavia dei comandi – era chiaro che non c’era alcuna possibilità di uscire vittoriosi dalla lotta.
Ma tanti militari, alla Spezia, in Italia e all’estero, preferirono osare. Il valore morale e civile di questa scelta è enorme. Alla Spezia, inoltre, fu ottenuto un risultato decisivo: la salvezza della flotta. Gran parte delle nostre navi riuscì a riparare nelle acque controllate dagli Alleati. Un fatto importante perché nella guerra contro il nazifascismo il naviglio italiano sarà in seguito molto utile. E perché dimostra che nella Marina si fece ciò che mancò per le altre armi: l’emanazione di disposizioni di condotta dopo l’armistizio da parte del governo Badoglio, che in gran parte furono rispettate.
DE COURTEN, BERGAMINI E IL LORO DRAMMA INTERIORE
L’uomo chiave della Marina in quegli anni fu l’ammiraglio Raffaele de Courten, ministro dal 1943 al 1946. Ai primi di agosto era ancora fino in fondo anti angloamericano, così come Carlo Bergamini, comandante delle forze navali di stanza alla Spezia. Ed entrambi furono, all’inizio, violentemente contrari all’armistizio. L’opzione dell’autoaffondamento, per non consegnare la flotta agli Alleati, rimase aperta fino all’ultimo. Il 7 settembre sera de Courtin e Bergamini propendevano ancora per questa opzione. De Courtin si convinse della necessità dell’armistizio l’8 settembre sera, mentre Bergamini resisteva. Fu persuaso nella serata: “le navi ti sono state affidate dalla Patria”, gli disse de Courten, che sperava ancora di convincere gli angloamericani a fare entrare le navi in porti nazionali e non angloamericani, tentando quindi di ignorare una parte delle norme armistiziali. Forse la partenza della corazzata Roma avvenne troppo tardi, nella notte tra l’8 e il 9. L’aviazione tedesca affondò la nave nel pomeriggio del 9, al largo dell’Asinara. Anche Bergamini fu tra i caduti.
Nelle memorie di de Courten e nelle ricostruzioni storiche c’è tutto il dramma e la sofferenza di quelle ore. Il ministro scrisse della “manifestazione più chiara dello spirito di dedizione alla patria che ha animato tutto il personale della Marina”.
Le scelte furono sofferte, e attuate con contraddizioni: ma la sostanza fu questa. Il 63% della flotta seguì le regole armistiziali. Chi parla di “morte della patria” non tiene conto non solo del patriottismo dei primi antifascisti e dei popolani ma anche della forma peculiare di patriottismo espressa da gran parte della Marina.
NUOVE IDEE E ASPIRAZIONI NEGLI EQUIPAGGI
Certamente vi furono, nella Marina, forze che, durante i quarantacinque giorni del governo Badoglio, erano nostalgiche verso il vecchio regime, preoccupate del possibile ritorno dei “partiti antinazionali”, come venivano definiti i partiti di sinistra e democratici. Ma, negli equipaggi, qualcosa cominciava a cambiare. Era soprattutto nel personale a terra, a contatto con chi soffriva nella città, che i comandi avvertivano un abbassamento della disciplina: il 28 agosto alcuni marinai all’interno dell’Arsenale si erano lasciati andare a “manifestazioni esteriori deplorevoli”, cominciando a urlare “armistizio! armistizio!”.
Ma già nella manifestazione operaia alla Spezia del 29 luglio, repressa nel sangue, alcuni marinai si erano rifiutati di sparare sulla folla. Il fatto fu commentato con preoccupazione dall’ammiraglio Giotto Maraghini, comandante del dipartimento marittimo dell’Alto Tirreno, che lo interpretò come sintomo di “uno scarso avvicinamento tra ufficiali e bassa forza”.
JUNIO VALERIO BORGHESE CON I NAZISTI, RENATO MAZZOLANI CON I PARTIGIANI
Nella Marina vi furono forze contrarie all’armistizio.
La più significativa, la X Mas di Junio Valerio Borghese, con sede al Muggiano della Spezia, passò al servizio dei tedeschi e si rese responsabile di crimini orrendi contro i partigiani e i civili che li sostenevano.
Ma il capitano del CREM Renato Mazzolani venne alla lotta partigiana da quella stessa caserma del Muggiano dove operava Borghese. All’inizio del 1944 nacque il Fronte Clandestino della Marina, autore di numerosi sabotaggi. Mazzolani fu componente militare del CLN e comandante delle Sap, Squadre di azione patriottica, nel golfo. Il 20 dicembre 1944 cadde nelle mani dei nazifascisti. Sottoposto a due mesi di torture, il 20 febbraio 1945 si impiccò in cella per non parlare. Il gruppo Sap assunse il suo nome. Il 23 aprile 1945, sulla base delle direttive del Comando della IV Zona operativa, le Sap composte da uomini della Marina occuparono alla Spezia tutti gli uffici pubblici, prima che arrivassero gli Alleati e i partigiani dai monti.
IL CONTRIBUTO DELL’ESERCITO ALLA SALVEZZA DELLA FLOTTA
La città e la flotta dovevano essere difese dalla Quinta Armata dell’Esercito, diretta dal generale Mario Caracciolo, che si distinse per la volontà di resistere all’invasore, nonostante gli orientamenti quantomeno controversi del Comando superiore. Caracciolo fu coinvolto in uno scontro, mentre si trasferiva da Orte a Firenze, vittorioso proprio per gli ordini immediati da lui dati.
Le due divisioni preposte alla difesa di Spezia, la Rovigo e le Alpi Graie, al comando del generale Carlo Rossi, poterono dar vita solo a episodi isolati, come ho scritto nell’articolo di domenica scorsa. Ma riuscirono a ritardare l’avanzata dei tedeschi, facendo fallire il loro intento di catturare le navi italiane. E’ vero che il 9 settembre a mezzogiorno la città passò sotto il pieno controllo dei tedeschi, e che i soldati sbandarono. Gli storici della Resistenza spezzina lo hanno sempre messo, giustamente, in rilievo. Ma, come emerge in molti studi sia sull’Esercito che sulla Marina, all’inizio – l’8 e la mattina del 9 – le divisioni, soprattutto le Alpi Graie, ressero quel tanto che consentì alla flotta di partire. La disfatta dell’Esercito ci fu il 9 settembre, e si concluse definitivamente la sera del 10. Leggiamo, per esempio, il testo del 2015 di Giuliano Manzari, allora capo dell’Ufficio Storico della Marina:
“Il piano [della Marina] fu rapidamente attuato senza interferenze tedesche, grazie anche alla resistenza opposta dagli sparuti reparti delle già menzionate divisioni alpina, Alpi Graie, e di fanteria, Rovigo che, pur senza ordini precisi, cercarono di contrastare l’azione tedesca, condotta dalle divisioni di fanteria 65ª e 305ª, riuscendo a ritardarne la marcia verso La Spezia, contribuendo, in tal modo, a far fallire l’attacco tedesco inteso a impadronirsi delle navi italiane”.
Post scriptum:
La foto in alto è della corazzata Roma.
Quella in basso ritrae Gustavo Bellazzini; è stata scattata da Roberto Celi nel 2023.
Sul 1943 rimando a questi articoli:
“Marzo 1943. Gli scioperi che scossero il fascismo”, Il Secolo XIX nazionale, 19 marzo 2023, anche in www.associazioneculturalemediterraneo.com
“Gli scioperi del marzo-aprile 1943, come il malcontento divenne politico”, www.patriaindipendente.it, 20 marzo 2023
“25 luglio 1943, non fu solo un’illusione”, Città della Spezia, 25 luglio 2023
“25 luglio 1943. Cade il fascismo stremato, ma la tragedia non è finita”, Il Secolo XIX nazionale, 25 luglio 2023
“In quei quarantacinque giorni di Badoglio cominciò il riscatto. E partì dal basso”, www.patriaindipendente.it, 20 agosto 2023
“Lo sciopero degli operai dell’OTO Melara, i calzolai e una lezione contro l’odio”, Città della Spezia, 26 agosto 2023
“Come Spezia fu occupata dai tedeschi”, Città della Spezia, 3 settembre 2023
“L’epopea dell’8 settembre”, “La Nazione”, 6 settembre 2023
“La disfatta e il riscatto”, Il Secolo XIX nazionale, 9 settembre 2023
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