Spezia e le trame nere
Città della Spezia, 16 luglio 2023
5 NOVEMBRE 1972, QUEL DISCORSO DI FORLANI AL CIVICO
Nei giorni scorsi è scomparso Arnaldo Forlani, uno degli uomini più potenti della Prima Repubblica. Dirigente democristiano, fu nove volte parlamentare, una volta presidente del Consiglio e due volte vicepresidente, tre volte ministro degli Esteri e due delle Partecipazioni Statali, altre due volte segretario nazionale della DC. E’ stato anche quasi presidente della Repubblica: nel 1992 fallì la corsa per soli 29 voti, i “franchi tiratori” del suo carissimo nemico Giulio Andreotti, altro capo storico della DC.
Nei libri di storia del Novecento Forlani è e sarà citato per un brano del discorso tenuto alla Spezia il 5 novembre 1972, in una manifestazione elettorale al Teatro Civico per le elezioni comunali, quando era segretario del partito:
“E’ stato operato il tentativo più pericoloso che la destra reazionaria abbia tentato e portato avanti dalla Liberazione a oggi. Questo tentativo disgregante, che è stato portato avanti con una trama che aveva radici organizzative e finanziarie consistenti, che ha trovato delle solidarietà probabilmente non soltanto di ordine interno, ma anche di ordine internazionale, questo tentativo non è finito. Noi sappiamo in modo documentato che questo tentativo è ancora in corso”.
Forlani, soprannominato il “coniglio mannaro”, è stato un virtuoso del silenzio e, su questo punto, nient’altro ha mai aggiunto in vita sua.
Ma a cosa si riferiva? E perché lo disse proprio alla Spezia?
LA “STRATEGIA DELLA TENSIONE”, DALLA STRAGE DI PIAZZA FONTANA AL TENTATO GOLPE BORGHESE
Il “tentativo disgregante” aveva avuto il suo primo momento significativo il 12 dicembre 1969: una bomba era esplosa alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, provocando sedici morti e ottantotto feriti. Lo stesso giorno scoppiarono tre ordigni a Roma, ferendo diciassette persone. Fu seguita la “pista anarchica”, come già per gli attentati precedenti del 25 aprile 1969 e dei mesi successivi (senza vittime). Per piazza Fontana fu accusato l’anarchico Pietro Valpreda: tre anni di carcere in attesa del processo, il proscioglimento solo nel 1985. Un altro anarchico, Giuseppe “Pino” Pinelli, accusato senza motivo, morì cadendo dalla finestra dell’ufficio del commissario di polizia Luigi Calabresi. Secondo la versione ufficiale si suicidò. La sentenza della magistratura, nel 1975, scartò le ipotesi di omicidio o di suicidio e parlò di un “malore” in grado di provocare la caduta.
Lentamente, ma inesorabilmente, la versione della polizia sulla responsabilità degli anarchici cominciò a disintegrarsi e iniziò a farsi strada un’altra spiegazione: le prove che la polizia aveva deciso di ignorare portavano non agli anarchici, bensì al gruppo neofascista del Veneto Ordine Nuovo, facente capo a Franco Freda e Giovanni Ventura e legato a una parte dei servizi segreti – in particolare al colonnello del SID (Servizio Informazioni Difesa) Guido Giannettini – e al MSI. Era iniziato un complotto ai danni della democrazia: una serie di attentati e di altri crimini avrebbero propagato panico e incertezza, creando le precondizioni di un colpo di Stato. Era la cosiddetta “strategia della tensione”, impiegata con successo dai colonnelli in Grecia, e che adesso si cercava di riproporre in Italia.
La strage di piazza Fontana fu certamente un “avvertimento”: al movimento operaio e studentesco, al PCI, ai sindacati. Uno storico non comunista, Agostino Giovagnoli, ha scritto: “il significato politico di questa strategia apparve chiaro: impedire a qualunque costo l’avvento del comunismo in Italia”.
Un altro dirigente democristiano, Aldo Moro, nel suo “Memoriale”, scritto nel carcere delle Brigate Rosse nel 1978, sostenne che erano implicati nella “strategia della tensione” servizi segreti del mondo occidentale e anche alcuni settori del servizio di sicurezza italiano, ma che la DC non ebbe responsabilità e, al massimo, si poterono verificare casi di omissione per incapacità e non perspicace valutazione delle cose. Moro si soffermò soprattutto sulla figura di Giulio Andreotti, a causa dei suoi rapporti privilegiati con i servizi segreti statunitensi e con i servizi segreti militari italiani, essendo stato a lungo ministro della Difesa.
Il generale Gianadelio Maletti, responsabile dell’Ufficio D del SID, condannato con sentenza definitiva per avere agevolato la fuga all’estero di Giannettini e rifugiatosi in Sudafrica per evitare il carcere, spiegò in più occasioni che in quegli anni in Italia era stata in atto una strategia americana, di cui erano al corrente il presidente della Repubblica Saragat, socialdemocratico, e Andreotti.
Lo storico Miguel Gotor ha spiegato che sono le stesse risultanze processuali delle lunghissime inchieste delle stragi a dimostrare l’evidenza di un’attività di infiltrazione e di raccolta di informazioni dei servizi segreti statunitensi all’interno del ramo veneto dell’organizzazione Ordine Nuovo.
Risulta quindi abbastanza chiaro il quadro “delle solidarietà probabilmente non soltanto di ordine interno, ma anche di ordine internazionale” evocato da Forlani nel discorso al Teatro Civico.
Prima di quel discorso il neofascismo si era manifestato, dopo la strage di piazza Fontana, con il tentato golpe di Junio Valerio Borghese (nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970) e con la strage di Peteano (31 maggio 1972, tre morti). Forlani parlò probabilmente alla Spezia perché la nostra città era stata la sede del comando della X Mas e uno dei luoghi principali dell’attività eversiva di Borghese: il suo tentato golpe vide la partecipazione di molti spezzini e liguri.
Dopo il 1972 ci furono la strage della Questura di Milano (17 maggio 1973, quattro morti) e altre due stragi che con quella di piazza Fontana avevano rilevanti punti di contatto: quella del 28 maggio 1974 in piazza della Loggia a Brescia (otto morti) e quella del treno Italicus esploso a San Benedetto Val di Sambro nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974 (dodici morti). Il 1973 fu anche l’anno in cui, proprio alla Spezia, fu scoperta l’organizzazione neofascista Rosa dei venti: la Questura ne venne a conoscenza grazie all’eccentrico comportamento del medico neofascista ortonovese Giampaolo Porta Casucci, che aveva consegnato a un sacerdote una borsa contenente documenti compromettenti e, una volta interrogato, mostrò del materiale documentale occultato in una canonica, concernente un progetto di colpo di stato e una lista di 1617 persone da eliminare.
ANDREOTTI, MORO E LA SCONFITTA DELLA SPERANZA
Il 26 novembre 1972 il giornale di destra “Il Borghese” pubblicò l’articolo “All’insegna della trama nera”, che così commentava le dichiarazioni di Forlani:
“Le recenti dichiarazioni del segretario DC Forlani […] non erano indirizzate contro la destra. Forlani, infatti, si è affrettato a distinguere fra la destra politica ufficiale, che ha chiamato ‘grande destra’, e i gruppi sovversivi di destra. Egli voleva colpire questi ultimi, ma, soprattutto, voleva far sapere che possiede in proposito un’ampia documentazione. Così facendo, Forlani ha voluto mettere sull’avviso il presidente del Consiglio [Andreotti]. Infatti, in seguito a ripetute segnalazioni dell’on. Rumor, al vertice della Democrazia cristiana si è ormai certi che l’on. Andreotti sia da lungo tempo invischiato, per il tramite di alcuni suoi fiduciari, con ambienti e personaggi della destra extraparlamentare. […]
Cosa vuole fare Giulio Andreotti? Che egli pensi di mettere in difficoltà Almirante è da escludere: i due si conoscono troppo bene. L’ipotesi più probabile è, invece, che il presidente del Consiglio voglia continuare a manovrare la leva dei disordini da destra, per garantire a se stesso, cioè all’uomo del ‘recupero a destra’, la possibilità di restare a lungo a Palazzo Chigi. Forlani e Rumor, tutto questo, lo hanno ormai scoperto. Ecco perché il segretario democristiano ha parlato”.
Andreotti in quel 1972 aveva dato vita – dopo dieci anni di governi di centrosinistra – a un governo di centrodestra, senza i socialisti e con i liberali. Era attaccato dalla sinistra ma anche dall’estrema destra. E anche da settori del suo partito. Andreotti fu sempre garante degli equilibri nel quadro dell’Alleanza atlantica, posizionandosi ora a più a destra ora più a sinistra, ma sempre con il medesimo compito politico e con la medesima ambizione personale di giocare il ruolo di “perno” del sistema.
E’ difficile sostenere con certezza che Forlani si riferisse a lui. Andreotti fu certamente sempre a contatto con i neofascisti: fu lui, secondo molte testimonianze, a dare il contrordine a Borghese nella notte del tentato golpe del 1970. Così come fu certamente sempre collegato alle centrali di intelligence USA.
Ma la verità giudiziaria, e storica, sulla “strategia della tensione” purtroppo non c’è ancora.
Moro, il leader della sinistra democristiana, fu ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978. Dal carcere brigatista scrisse sconsolato, riferendosi ad Andreotti:
“E vi era chi progettava mentre io non progettavo […] Quanto costa lo spettacolo di un’apparente grandezza”.
Alla fine di quegli anni terribili la democrazia fu in ogni caso difesa. Ma la speranza di “un mondo nuovo” fu sconfitta.
Il grande Franco Battiato interpretò, con le canzoni del suo bellissimo album del 1981 “La voce del padrone”, la nuova epoca. Non era più il tempo del Bob Dylan di “Mr. Tambourine Man” e di “The Times They Are A-Changin’”. Di fronte al potere e al terrorismo non restava che smobilitare:
“Mister Tamburino non ho voglia di scherzare
Rimettiamoci la maglia, i tempi stanno per cambiare […]
Quante squallide figure che attraversano il paese. Com’è misera la vita negli abusi di potere […]
Ho sentito degli spari in una via del centro
Quante stupide galline che si azzuffano per niente […]
The end
my only friend
this is the end
Sul ponte sventola bandiera bianca, sul ponte sventola bandiera bianca”.
Post scriptum:
Sui temi dell’articolo odierno rimando al mio libro “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” e a questi articoli:
“Così la città visse il giorno della strage”, “Il Secolo XIX”, 13 dicembre 2009, leggibile su www.associazioneculturalemediterraneo.com
“La strage di piazza Fontana e le sentinelle della memoria”, “Città della Spezia”, 15 dicembre 2019
“La strage di piazza Fontana”, 20 maggio 2022, www.associazioneculturalemediterraneo.com
“Il golpe Borghese e le radici liguri dell’eversione”, “Il Secolo XIX nazionale”, 7 dicembre 2020, leggibile su www.associazioneculturalemediterraneo.com
Le fotografie di oggi sono di Enrico Amici. Sono state scattate nel cimitero di Turigliano, tra Avenza e Carrara, alla tomba di Giuseppe “Pino” Pinelli. La tomba con la dedica “A Pino Gli anarchici” ha come epitaffio la poesia di Edgar Lee Masters “Carl Hamblin”, tratta dall’“Antologia di Spoon River”, il libro che il ferroviere milanese aveva regalato al commissario Calabresi nei giorni in cui la polizia indagava gli anarchici per gli attentati del 25 aprile 1969.
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