Dalla parte dei produttori di paesaggio, contro il luna park
Città della Spezia, 21 maggio 2023
Agostino Bonanni, contadino saggio e sapiente di Riomaggiore, lo diceva già nel 1982:
“Se noi valutiamo tutto questo lavoro che l’uomo ha fatto in queste montagne, è sicuramente superiore a quelli che hanno costruito le piramidi in Egitto. Hanno scavato il pane dalla roccia [parla con un tono solenne]. Hanno dissodato le montagne, hanno separato la terra dai sassi e con i sassi hanno costruito i muri. E dove scarseggiano sia la terra che i sassi ce li hanno portati con le loro spalle. Noi non ci diamo importanza, ma questo è un lavoro immane, fatto senza l’aiuto di alcuna macchina. […] Non è un bene redditizio, ma un bene monumentale. Io non ne traggo nessun guadagno”.
Questa è una delle testimonianze del libro straordinario con cui concludo la rassegna dedicata alla “creatività dei nonni”: “Cinque Terre con le spalle al mare. Testimonianze di vita” di Doriano Franceschetti. Un’opera diversa dalle precedenti, che erano riflessioni o memorie o veri e propri studi storici (gli articoli sono stati pubblicati nei numeri del 22 agosto e 25 settembre 2022 e del 7 e 18 maggio 2023).
In questo caso l’autore ha raccolto storie, andando in giro con il magnetofono a intervistare gli anziani di Riomaggiore e Manarola. Prima da solo o con Dario Capellini, nel 1982-1983, poi con Franco Bonanini, questa volta anche con telecamera, nel 1995. Il libro comprende la trascrizione di alcune di queste conversazioni. E’ auspicabile che segua presto il secondo volume, perché si tratta di documenti estremamente utili, scrive Doriano, a far capire di che “cosa è stata capace la nostra gente”: contadini che hanno partecipato a costruire “una storia con la ‘S’ maiuscola”, che hanno praticato l’agricoltura in un territorio con caratteristiche fisiche inadatte, per di più da sempre franoso e in dissesto. Che sono stati sia “produttori di beni” sia “produttori di paesaggio”.
Nel libro c’è innanzitutto l’epopea della gente delle Cinque Terre: storie di fatica e di miseria, là dove non erano ancora arrivate – come altrove – la luce, l’acqua, i gabinetti, dove i bisogni si facevano in certi luoghi dei paesi per poi gettare tutto in mare, dove non c’erano nemmeno le scarpe e le donne camminavano e lavoravano scalze, con i piedi sanguinanti, dove la gente emigrava in tutto il mondo.
L’epopea della gente che ha costruito da sola – lo racconta Eugenio Bonanni – la Via dell’Amore, negli anni Trenta: tre o quattro anni di lavori, con i residenti impegnati con zappa e picco, da Manarola e da Riomaggiore. La gente che l’ha vista poi crollare, con le alluvioni del 1966 e poi del 1985.
Era tutto meno difficile – spiega il pescatore Angelo Pirolozzi, che dopo l’8 settembre 1943 era marinaio e aveva come lavoro quello di pescare il pesce per il Comando in Capo della Marina – perché nel dopoguerra “c’era più solidarietà e le persone erano più umane, la gente era più socievole”.
Eugenio Bonanni già nel 1982 non vedeva alternative alla “decadenza” dell’agricoltura: “quando gli ultimi non continuano più l’attività dei primi, ciò che hanno fatto i primi viene annullato dagli ultimi”.
Nel libro “Tra spiaggia, scoglio, fiume e collina” la storica Elisa Tizzoni spiega che la superficie coltivata a vite nelle Cinque Terre, pari a circa 1700 ettari nei primi anni del Novecento, si è ridotta a 1200 ettari nel 1970 ed è attualmente di 100 ettari. Eloquenti, al contempo, sono le cifre concernenti l’aumento del patrimonio edilizio.
Ma nell’opera di Franceschetti c’è anche molto altro.
C’è la conversazione con il colonnello Eugenio Pasini, sindaco DC di Riomaggiore negli anni Sessanta, in lite perenne con i socialcomunisti, che racconta ed esalta la storia del vino delle Cinque Terre. Probabilmente Pasini esagera quando dice che Plinio, in epoca romana, intendeva come vino di Luni quello delle Cinque Terre, ma ha ragione quando cita Dante, Boccaccio, Petrarca, Manzoni e Carducci come estimatori del vino di Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso. E’ dall’epoca tardomedievale, infatti, che abbiamo la certezza che esistessero i terrazzamenti: non si può escludere che ci fossero anche in precedenza, ma evidenze non ce ne sono. Dall’XI secolo, comunque, la “vernaccia” diventò davvero celebre. E la prosperità risulta evidente dalla ricchezza del patrimonio architettonico e artistico che è rimasto ai nostri giorni.
Nel libro ci sono inoltre le storie di Angelo Gaeta “Angiulin”, che conobbe Mao in Cina, di Orlando Castiglione, fratello di don Attilio, sacerdote amico dei partigiani e per tanti anni indimenticato parroco di San Terenzo, di Chiara Bonanni, che fece in tempo a sentire i racconti di chi aveva conosciuto il grande pittore toscano Telemaco Signorini, che quando da Biassa scese al santuario di Montenero disse estasiato: “Non ci ho più visto”, e da allora diventò “macchiaiolo” anche di Riomaggiore. Fino al nazista buono che diceva a una bambina “Hitler Kaput” e le portava pane e marmellata, e alla produzione da parte degli abitanti di Riomaggiore del sale, per poi salire con i carretti fino a Parma a scambiarlo con la farina.
Ma torniamo alla questione centrale che il libro di Franceschetti al fondo affronta: come salvare questo “monumento”. La difficoltà è in sostanza come integrare agricoltura e turismo. E’ vero che il ridimensionamento dell’agricoltura cominciò negli ultimi decenni dell’Ottocento, quando fu inaugurata la ferrovia e nacque l’industria a Spezia. Certamente, come scrive la Tizzoni, il calo della produzione agricola è continuato dopo la Litoranea, dopo lo sviluppo turistico e anche dopo l’istituzione del Parco, ma era già in corso prima dello sviluppo turistico, che ha comunque dirottato sull’area attenzione e finanziamenti per conservare il paesaggio rurale e le produzioni tipiche. Ma altrettanto certamente ha ragione Doriano quando, citando Nuto Revelli, contesta un turismo sbagliato e scombinato.
La sindaca di Riomaggiore Fabrizia Pecunia mi dice che, contro un “turismo incontrollato”, occorre un “governo dei flussi”:
“Va adottato un sistema di prenotazione, partendo dai gruppi, in grado di distribuire le persone nello spazio e nel tempo, dando priorità al turista che risiede nei borghi rispetto a quello di passaggio e al turismo esperienziale rispetto a quello del selfie, con un ruolo di regia in capo al Parco Nazionale delle Cinque Terre, volto anche a reinvestire risorse in favore del territorio: agricoltura, muri a secco, recupero terre incolte, dissesto idrogeologico”.
L’alternativa a questo “governo dei flussi”, continua la sindaca, è “il declino stesso della destinazione turistica delle Cinque Terre, la progressiva diminuzione dei residenti con la conseguente perdita di identità storica e del patrimonio culturale che ci caratterizza”.
E conclude ribadendo: “il turismo deve essere messo in connessione con l’agricoltura, attraverso un piano di investimenti mirato” e con un “piano straordinario di prevenzione contro il dissesto idrogeologico”.
La strategia deve essere questa, non c’è dubbio. Ma occorre una svolta condivisa anche da Governo, Regione e dalla popolazione delle Cinque Terre. Serve probabilmente una sorta di “legge speciale”, ma serve certamente il coinvolgimento dei residenti. Senza residenti non c’è vita, e non c’è nemmeno turismo.
Bisogna agire sul numero di chi entra alle Cinque Terre ma bisogna anche far tornare le Cinque Terre ad essere un luogo con un’identità. La Via dell’Amore, quando riaprirà – ha ragione l’ex presidente del Parco Vittorio Alessandro – dovrà essere il simbolo dell’anima delle Cinque Terre, non il divertimento preferito del luna park.
Post scriptum:
Le mie foto di oggi sono state scattate a Riomaggiore (2016) e a Manarola (2008).
Sull’argomento si vedano, in questa rubrica, gli articoli:
“Cinque Terre, è iniziata la rinascita”, 25 marzo 2012
“Facciamo rifiorire le Cinque Terre”, 13 luglio 2014
“La strada del Palaedo, le Cinque Terre e la lezione di Pietro Leopoldo”, 9 ottobre 2016
“Di troppo turismo si muore”, 30 settembre 2018
“Turismo, cambiamo modello”, 21 novembre 2021
Su “Città della Spezia” si veda inoltre l’articolo:
“I flussi economici del turismo vanno riusati per la tutela del territorio”, 29 settembre 2017
Si vedano, infine, su www.associazioneculturalemediterraneo.com:
“Salvare le coste, Cinque Terre banco di prova”, “Repubblica Liguria”, 4 febbraio 2014
“La miopia Ue affossa il recupero dei migranti”, “Il Secolo XIX” nazionale, 20 dicembre 2015
lucidellacitta2011@gmail.com
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