Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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“Noi per voi!!! Sana e robusta Costituzione”. La Spezia 5 maggio 2023 – Intervento di Giorgio Pagano

a cura di in data 26 Ottobre 2023 – 20:39

“Noi per voi!!! Sana e robusta Costituzione”
La Spezia, 5 maggio 2023 al CAMeC
Intervento di Giorgio Pagano

Ha senso che il copresidente del Comitato Unitario della Resistenza intervenga a questa iniziativa dell’associazione “Orizzonte Spezia”: perché c’è identità e consanguineità tra Resistenza e Costituzione.
La data del 1° gennaio 1948 ha segnato la nascita di qualcosa che ha continuato a vivere, è vivo e ha un futuro: una tavola di principi e di valori, di diritti e di doveri, di regole e di equilibri, che costituiscono la base del nostro stare insieme. E anche, come disse Piero Calamandrei nel 1955, “una polemica contro il presente, contro la società presente”.
Alla Resistenza dobbiamo anche il contesto di rispetto della nostra sovranità entro il quale fu elaborata la Costituzione. In Germania e in Giappone la nuova costituzione la fecero, sostanzialmente, le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale. In Italia, invece, dopo il 25 aprile 1945 nacque, il 2 giugno 1946, la Repubblica, e lo stesso giorno le italiane e gli italiani elessero l’Assemblea Costituente che, in un anno e mezzo, scrisse in piena libertà e autonomia di pensiero la nostra Costituzione. E’ difficile immaginare quale sarebbe stato il percorso, se in Italia non ci fosse stata la Resistenza, se il nostro Paese non avesse trovato in sé la forza per affrancarsi dall’alleanza con la Germania e per scegliere l’alleanza antifascista. Le idealità e le aspirazioni dei nostri combattenti per la libertà diventarono così il punto di riferimento per i nostri costituenti.
Anelito Barontini nel 1974, nel suo intervento alla Conferenza “La Spezia marzo 1944. Classe operaia e Resistenza”, fu molto chiaro: Hitler era stato sconfitto dai sovietici a Stalingrado, gli anglo-americani erano sbarcati nel sud, “si poneva con urgenza la necessità politica di un intervento della classe operaia e dei lavoratori italiani anche per evitare al Paese il pericolo di un processo, da parte degli alleati, di semicolonizzazione. Pertanto era necessario e doveroso che il popolo italiano, nel suo stesso interesse, facesse sentire la sua volontà di lotta e il contributo della sua forza nella battaglia per riconquistare la libertà e l’indipendenza nazionale: condizione indispensabile per l’avvenire del Paese e per la stessa unità nazionale”.
I costituenti erano donne e uomini espressione di culture politiche diverse, che seppero dialogare gettando così basi comuni per la convivenza civile e democratica dell’Italia. Raccontando della sua esperienza di giovanissimo deputato Vittorio Foa scrisse:
 “Vi è stata allora quella che si potrebbe chiamare una mente costituente, una capacità di guardare insieme agli interessi particolari (individuali, di classe o di partito) e agli interessi generali; di guardare all’oggi e insieme anche al domani. I contrasti politici erano molto forti, ma pur nella evidenza di questi contrasti la Costituente riusciva a toccare un livello altro, e questo altro livello era quello della ricerca comune. Era una democrazia plurale, le differenze erano legittime, si trattava di vivere civilmente nella diversità. Convivere, dunque, non significa negare il conflitto, vuol dire saperlo vivere. E dare stabilità alle regole senza però chiuderle di fronte alla storia del futuro”.
Quindi la Costituzione fu un risultato a cui si giunse grazie a un confronto ricco, paziente e approfondito e alla graduale confluenza tra le diverse correnti politiche e culturali rappresentate nella Costituente, consapevoli delle loro diversità ma anche e soprattutto della loro missione comune.
La Costituzione fu un punto di incontro alto tra posizioni diverse, espressione di una società con un pluralismo di culture. Non fu concepita -anche se di questi tempi ci sembra impossibile- come strumento di affermazione di qualche partito a danno di qualche altro. Se non fosse stata un punto di incontro alto, non sarebbe riuscita nel suo compito unificatore che ha svolto per tanti anni e nelle condizioni più difficili per la nostra democrazia.
C’è un nucleo costituzionale al cuore dell’incontro: è rappresentato dal valore della persona umana.
Questo nucleo fu il terreno di incontro tra il cattolicesimo sociale, che indicava la via di un impegno per la trasformazione della società, e la sinistra comunista, socialista e azionista che voleva anch’essa una trasformazione profonda della società.
Da qui la prima parte della Costituzione: la lotta alle ingiustizie sociali e alle diseguaglianze; la concezione dello Stato come strumento di questa trasformazione (lo Stato interventista o programmatore, non lo “Stato guardiano notturno” dell’Ottocento liberale); la visione comunitaria, anti individualistica, dell’uomo e della società. Persona non è individuo. Comunitarismo non è totalitarismo.
Il personalismo cattolico si incontrò con le forze della sinistra, che avevano abbandonato il proposito rivoluzionario immediato e avevano scelto la “lunga marcia” attraverso lo Stato: Antonio Gramsci, in carcere, aveva parlato di passaggio dalla “guerra di movimento” alla “guerra di posizione”, “la sola possibile in Occidente”, e aveva sostenuto che l’alternativa al fascismo non era il bolscevismo ma l’”economia programmatica”, una forma superiore di economia di piano poiché non sopprime il mercato, ma lo regola politicamente sulla base di un “compromesso” tra le classi fondamentali. E all’amico Piero Sraffa, trait de union con Togliatti, poco prima della morte aveva indicato la proposta politica dell’Assemblea Costituente.
La tradizione liberale si riconobbe anch’essa nell’essenziale della Costituzione, per la dichiarazione dei diritti e delle libertà. Anche se nella Costituzione c’era non la concezione liberale classica ma quella di tipo sociale, che aveva elaborato, tra gli altri, Carlo Rosselli, secondo cui è centrale “l’organizzazione della libertà nella sfera sociale, cioè nella costruzione dello Stato e nei rapporti tra i gruppi e le classi”.
La Costituzione è un testo attualissimo, ma ignorato, disapplicato, quando non avversato.
Pensiamo all’eguaglianza, principio fondamentale della Costituzione: l’eguaglianza formale o giuridica, secondo cui tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, e l’eguaglianza sostanziale, secondo cui la legge deve garantire il rispetto della persona umana nella società. Eguaglianza di fronte alla legge ed eguaglianza di fronte alla società, al di là delle diverse condizioni sociali. Le differenze sociali ci sono, e comportano diseguaglianze tra i cittadini. La Costituzione non lo ignora, e afferma di conseguenza: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. La Costituzione si impegna quindi a eliminare le differenze sociali e a tutelare le situazioni di diseguaglianza economica nel campo della giustizia, della salute, della scuola, fino a favorire “l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”.
O, ancora, pensiamo al diritto al lavoro: la Costituzione attribuisce all’attività lavorativa un ruolo centrale nella vita dello Stato, che non è più soltanto garante dei diritti di libertà di tutti i cittadini, ma è chiamato a intervenire nei rapporti sociali per impedire il predominio del potere economico fondato sul capitale e per consentire una più equa redistribuzione dei beni economici tra le diverse classi sociali. Ecco perché “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.
Un altro esempio, riguardante la libertà di iniziativa economica privata: essa non è assoluta, ma incontra limiti oggettivi nel fatto che non deve porsi in contrasto con l’utilità sociale e non deve recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La Costituzione vuole cioè impedire che la proprietà del capitale condizioni la società civile e di conseguenza il diritto al lavoro. Nella Costituzione è ben presente la situazione concreta esistente nella società, nella quale il lavoratore è il soggetto debole rispetto all’imprenditore, soggetto forte. E la Costituzione non usa mai a caso le parole: il lavoro è definito “diritto”, mentre l’iniziativa economica è definita “libertà”, peraltro non assoluta.
Un cenno alla questione delle autonomie locali. L’articolo 5 riconosce e promuove le autonomie locali, ma a condizione che si preservi l’unità e l’indivisibilità della Repubblica. La domanda è quindi: siamo sicuri che attribuire in via esclusiva ad alcune Regioni, fatti salvi i livelli essenziali, materie come sanità, scuola, lavoro ci faccia rimanere ancora una nazione, “una e indivisibile”? La Costituzione prevede un regionalismo solidale, non un regionalismo competitivo. Per dare attuazione al regionalismo previsto dalla Costituzione dovremmo iniziare a costruire dalle fondamenta. E queste sono iscritte nell’art. 119, che prevede di istituire un fondo perequativo peri territori con minore capacità fiscale per abitante, nonché risorse aggiuntive per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale.
Un cenno, infine, prima del ragionamento conclusivo, alla questione oggi più drammatica, quella della pace. La Costituzione “ripudia la guerra” come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, in ogni caso. E le limitazioni di sovranità che essa prevede sono espressamente finalizzate per assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni e a promuovere le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Limitazioni per promuovere la pace, dunque, non per partecipare alle guerre, né proprie né altrui.
L’invito della Costituzione è chiaro: è quello di ricercare altre strade, alternative alla guerra, per assicurare la pace tra le Nazioni.
La Costituzione è più che mai attuale proprio perché è stata in gran parte inattuata. Non siamo stati fedeli all’impegno del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, che il 22 dicembre 1947, subito dopo il voto finale, disse: “Il governo ora, fatta la Costituzione, ha l’obbligo di attuarla e di farla applicare: ne prendiamo solenne impegno”.
Dopo gli anni del centrismo, e dopo il fallimento del centrosinistra negli anni Sessanta, il momento chiave fu il Sessantotto, inteso come momento conclusivo di un processo di democratizzazione iniziato con la Costituzione. Sconfitto il Sessantotto -che originò una stagione di riforme breve e disorganica, ma la più importante che l’Italia abbia mai avuto- la società italiana, dalla fine degli anni Settanta, è diventata sempre più diseguale e sempre meno solidale. I ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri. La disoccupazione è cresciuta, è tornata la libertà di licenziare, a parità di mansioni restano le differenze tra uomo e donna. Regna la precarietà nel lavoro e nella vita. Nella scuola chi viene da famiglie benestanti parte avvantaggiato; e più l’istruzione si fa alta più crescono le diseguaglianze. In campo sanitario si è persa l’omogeneità nazionale del servizio; e il sistema pubblico cede spazi a quello privato. Il fisco è sempre meno progressivo. La ricerca è ferma, e non abbiamo arginato abusi, frane e cemento. E ora il Paese è in preda a un atlantismo bellicista.
Si può uscire dalla grave crisi del Paese. Il declino non è ineluttabile. Ma per evitarlo dobbiamo tornare alla lezione della Costituzione, che ci detta un sentiero di profonda inversione di rotta rispetto agli ultimi decenni: partecipazione popolare, diritti, dignità del lavoro, lotta alle diseguaglianze, solidarietà, pace. Il problema della politica non è quello delle riforme per restringere il campo del comando, ma la capacità di rappresentare la società, il lavoro in primo luogo, e di battersi per la sua dignità. Il sentiero della Costituzione è l’unica garanzia di un Paese libero e civile. E’ il sentiero che impedisce il ritorno al passato ed è un monito contro ogni rischio di autoritarismo.
Aggiungo che in questa fase della vita del Paese dobbiamo riaffermare con forza due principi fondamentali:
il fascismo è anticostituzionale e la Costituzione è la negazione del fascismo;
il razzismo è anticostituzionale e la Costituzione è la negazione del razzismo.
Il fascismo sta tornando tingendosi, come nel resto d’Europa, di una forte connotazione razzista. Non basta la vigilanza della magistratura. Serve una mobilitazione di massa e culturale che ricordi cosa sono stati il fascismo e il razzismo italiani: in Italia come in Etiopia o in Libia o in Jugoslavia o in Grecia. E che costruisca un nuovo senso comune storico del fascismo e del razzismo, una coscienza costituzionale che sappia fare da argine al ritorno dei fantasmi del passato.
L’ultima considerazione: la Costituzione è anche un compito. Di essa dobbiamo dare una “interpretazione evolutiva”, come dicono i costituzionalisti. Il tema più grande è questo: siamo in una fase storica in cui sono messe a rischio persino le condizioni della riproducibilità della vita umana sulla terra. Va scossa una convinzione: che il mondo non umano sia una massa passiva aperta a ogni manipolazione e sfruttamento. E quindi il tema della direzione della libertà degli esseri umani non può non essere posto. La libertà va finalizzata alla vita nel suo complesso, e alla continuazione per le generazioni a venire. Non è che non c’è più bisogno della libertà: ce n’è bisogno per progettare un mondo diverso.

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