Dialogo tra Francesco Filippi e Eric Gobetti – Fact Checking in tour, Martedì 18 Aprile 2023 – Intervento di Giorgio Pagano
Dialogo tra Francesco Filippi e Eric Gobetti Fact Checking in tour
Martedì 18 aprile 2023 al Circolo ARCI del Canaletto
Intervento di Giorgio Pagano
Vorrei innanzitutto sottolineare l’importanza del Festival Fact Checking e della collana. Sottolineare cioè l’importanza della storia oggi. Al tema, recentemente, ha dedicato un libro denso e colto Adriano Prosperi, che ha per titolo “Un tempo senza storia”: si pone il problema di contrastare l’indifferenza nei confronti del passato, lo “spettro del pensiero a breve termine” denunciato da David Armitage e Jo Guldi nel libro di qualche anno fa “Manifesto per la storia. Il ruolo del passato nel mondo d’oggi”.
La storia è “un campo di battaglia”. Non c’è, però, tra gli avversari, solo il “presentismo”. C’è anche l’abuso della storia, la sua sostituzione con qualcosa che con la storia non ha nulla a che fare. Nel dibattito pubblico, nei social, la storia si riscrive, con falsificazioni.
La storia della Resistenza, per esempio, è anche dimenticata, ma è soprattutto drogata e deformata.
Bisogna opporre alle falsificazioni i risultati della storia.
La storia non ha mai un punto. Però i fatti sono fatti. Gasparri ha parlato di milioni di italiani nelle foibe. Nel racconto pubblico sono 10 mila. I fatti dicono che le vittime furono dalle 3 alle 4 mila.
Ecco l’importanza dell’impegno di una nuova generazione di storici, non accademica, che sente la responsabilità di questa battaglia.
I due autori protagonisti dell’incontro di oggi sono Francesco Filippi, storico delle mentalità e formatore, autore di “Prima gli italiani! (sì, ma quali?)” e Eric Gobetti, studioso di fascismo, seconda guerra mondiale, Resistenza e storia della Jugoslavia nel Novecento.
“Prima gli italiani” è uno slogan, è una politica, è una visione.
Ma dietro che fatti ci sono?
Questa categoria ha un senso?
Il libro di Filippi la smonta. La parola “Italia” nasce dai greci per identificare una piccola area a sud di Catanzaro. E l’antica Roma non era una nazione. Parlare di nazionalismo, allora, è sbagliato. Tant’è che dalla fine dell’Impero romano a tutto il Rinascimento la parola “Italia” sparisce. Anche “l’italiano di Dante” allora non c’era, è arrivato molto dopo. La nazione si forma nell’800, si basa – diceva Eric Hobsbawm – su “tradizioni inventate”. Tutte le nazioni nascono nell’Ottocento. In Italia la crea una monarchia che a corte parla francese. Vittorio Emanuele II quando diventa re si rifiuta di diventare Vittorio Emanuele I.
Il libro dimostra dunque che l’idea di nazione italiana ha avuto nei secoli un percorso accidentato.
La tesi di Filippi è che l’Europa è entrata in un’epoca post nazionale. E che il racconto “sangue e suolo” inventato nell’Ottocento è del tutto inadeguato a rispondere alle sfide del mondo globale (guerre, cambiamenti climatici), nonostante si tenti di riprodurlo cavalcando le paure, quella delle migrazioni in primis.
Un racconto pubblico unificante della popolazione italiana non c’è. Ci sono molti particolarismi. E’ un racconto che non può esserci, dice Filippi: siamo in un mondo aperto e plurale, come gli esseri umani.
I fatti sono questi: serve il “cosmopolitismo della sopravvivenza”. Un approccio europeo, globale. L’internazionalismo, il multilateralismo.
Il nazionalismo provoca le guerre. Il nazionalismo è un enorme ostacolo nei negoziati per il clima, i cui cambiamenti ignorano i confini nazionali.
Tuttavia l’ideologia nazionalista è dura a morire. Anche a sinistra. Qualche giorno fa ho presentato il libro di Daniele Conversi “Cambiamenti climatici”, la cui tesi è: “Ci piaccia o non ci piaccia, il nazionalismo va compreso, e va capito se ci può essere un “nazionalismo verde”. Stefano Fassina parla di un’Europa che sia più “comunità di Stati nazione” che “unità”. Michael Broning, direttore della Friedrich-Ebert-Stiftung a New York, braccio USA della fondazione di cultura politica legata alla SPD tedesca, ha scritto il libro “Lode alla Nazione. Perché non possiamo lasciare lo Stato nazionale ai populisti di destra”. Il tema è quello dell’imprescindibilità della nazione a fondamento di una vocazione internazionalista. La nazione, secondo questo filone di pensiero, non è una reliquia dei tempi passati. Lo Stato-nazione non è la strada sbagliata. Va riabilitato per rendere forte l’Europa. Bisogna unire impegno per la nazione e internazionalismo.
Chiedo a entrambi – anche a Gobetti, che evidenzia il male del nazionalismo quando spiega il contesto delle foibe e quando critica la giornata del ricordo, intrisa di nazionalismo e razzismo verso Slovenia e Croazia: perché questa ideologia è così forte? Possiamo “cavalcarla”?
E in ogni caso: quale racconto pubblico, nazionale o europeo?
L’unico non è forse quello antifascista?
C’è un altro discorso pubblico possibile in Italia e in Europa?
La Resistenza è un grande fatto europeo, internazionalista, non solo patriottico.
Gobetti racconta dei tanti partigiani italiani nei Balcani: 30 mila, 10 mila morti. Come in Italia!
L’alternativa “Italia fortezza”, “Europa fortezza” non regge. Possiamo fare tutti gli accordi del mondo con i regimi, Libia, Turchia… ora Tunisia… Ma alle migrazioni non si sfugge.
Sul libro di Gobetti: intanto spiega bene il contesto storico, le responsabilità fasciste per l’invasione e l’occupazione della Jugoslavia, e per la violenza agita sulla popolazione locale. Le foibe, l’esodo, il vortice di violenza che esplode si spiegano anche così.
La comprensione della complessità della storia aiuta Gobetti a smontare le falsificazioni, capitolo per capitolo.
I territori di confine non sono italiani, sono meticci.
Nessuna giustificazione, anzi condanna netta. Ma non fu un genocidio: fu violenza politica, non nazionale, non etnica. Contro i fascisti (e i nazisti), non contro gli italiani.
Servirebbe un riconoscimento reciproco delle sofferenze subite. Si è comportata meglio la Germania di noi…
Ricordo che accompagnai, da Sindaco, il mio concittadino Giuseppe Sincich al Quirinale. Quel giorno ricevette dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in memoria del padre, vittima della polizia jugoslava, un diploma e una medaglia commemorativa. Oggi sono sicuro che mi direbbe: “Non solo fate passare i fascisti per vittime, ma le vittime per fascisti: ma mio padre non era un fascista!”. Stiamo facendo l’elogio dei fascisti e il torto alle vittime. Dobbiamo ricordare, invece, i fatti, i danni prodotti dal nazionalismo.
Concludo tornando alle domande chiave: quale europeismo, globalismo, cosmopolitismo contro il nazionalismo?
Quale racconto pubblico se non l’antifascismo?
Che fare di fronte al tentativo di espungere l’antifascismo come perno fondante delle istituzioni repubblicane?
Una cosa è certa: la conoscenza storica è fondamentale.
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