Presentazione di “La giustizia negata” di Daniele Rossi, La Spezia 27 Gennaio 2023 – Intervento di Giorgio Pagano
Presentazione di “La giustizia negata”
di Daniele Rossi, La Spezia 27 Gennaio 2023
Intervento di Giorgio Pagano
Il libro di Daniele Rossi è un intreccio potente di testimonianze, documenti e immagini, guidato dall’etica: studia e documenta l’etica delle vittime e l’assoluta mancanza di etica dei carnefici.
“La giustizia negata” è anche un libro sulla Resistenza lunigianese, così vicina a quella spezzina. Emergono i tratti comuni: dall’l’importanza della cultura contadina, pacifista e defascistizzata, al ruolo del piccolo clero. La peculiarità lunigianese è data dalla presenza di formazioni partigiane solo di sinistra, anche se ci fu un ruolo degli ex popolari in alcuni CLN comunali.
Ricordo solo alcune delle vicende, delle formazioni e delle figure che accomunano la Resistenza lunigianese alla spezzina: il rapporto tra Brigata Muccini e Divisione Lunense, fino al tragico episodio di Monte Anima; la Repubblica partigiana di Comano; la figura di Domenico Azzari di Casola. E naturalmente la Brigata La Spezia, che deve il suo nome al ricordo del partigiano spezzino Ottavio Manfroni detto “Speza”, ucciso al passo del Cerreto nel rastrellamento del 3-4-5 maggio 1944. Nei soli Comuni di Fivizzano e Casola sono morti 11 partigiani spezzini, compreso Manfroni. Un altro nome per tutti: Giulio Carozzo, lericino, ucciso l’8 agosto 1944, la notte stessa in cui la moglie gli partoriva il figlio.
Ma “La giustizia negata” è, soprattutto, un libro sulle stragi nazifasciste e, appunto, sulla “giustizia negata”. Ricordo i dati nazionali: 23 mila morti, uccisi in 5.222 stragi e uccisioni. Oltre il 20% è da attribuirsi ad azioni fasciste, il 14% ad azioni congiunte di fascisti e nazisti. A livello statistico, ad ogni episodio organizzato dai nazisti corrispondono 4,44 vittime, mentre se l’azione è organizzata congiuntamente dai fascisti e dai tedeschi, si arriva a 6,15 vittime per episodio.
Le stragi iniziarono con i rastrellamenti della primavera 1944. Alla base degli orrori nazisti vi furono gli ordini di Hitler del novembre e dicembre 1942 e poi l’ordine di Kesselring del primo luglio 1944, in cui il principio della rappresaglia soppiantò quello della lotta militare contro i partigiani; alla base degli orrori fascisti vi fu il decreto di Mussolini del 18 aprile 1944, che inserì tra i soggetti da condannare a morte non solo i partigiani e i renitenti alla leva repubblichina, ma anche tutti coloro che li sostenevano.
Il libro documenta che a tutte le stragi, tranne la prima a Bardine di San Terenzo Monti, parteciparono i fascisti, in una tragica emulazione con i tedeschi: la Decima Mas, la GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) le Brigate Nere, il Battaglione San Marco, la Divisione Monterosa… C’era, ai vertici del fascismo repubblichino, una forte presenza degli estremisti più violenti e fanatici.
Nei nazisti vi furono motivazioni di carattere razzista – contro gli italiani prima impreparati nella guerra, poi traditori – e di carattere strategico: si puntava a declassare una nazione, a controllarla totalmente e a difendere la produzione bellica in Italia. A tal fine si giustificarono tutti gli eccessi: l’impunità fu totale, come in nessun altro Paese occidentale. Si passò dalla fase in cui l’obiettivo era distruggere le bande partigiane a quella in cui il nemico da annientare era la popolazione civile che sosteneva le bande.
Sia le rappresaglie che le stragi non ebbero quasi mai un motivo scatenante. Si volevano ottenere due effetti: colpire i partigiani e attizzare l’odio delle popolazioni contro i partigiani. Ma, per lo più, si ottenne l’inasprimento della lotta.
Nel dopoguerra non ci fu nessuna giustizia. Nel 1950 nelle carceri italiane c’erano solo cinque ufficiali tedeschi, che scontavano pene miti.
Prevalse la ragion di Stato, l’estradizione era sgradita sia ai tedeschi che agli italiani, perché la Germania Ovest doveva entrare nella Nato e perché, se l’Italia chiedeva l’estradizione, doveva poi concederla per i fascisti italiani autori delle stragi per cui chiedevano l’estradizione i greci, gli albanesi… Prevalse, inoltre, una malintesa volontà di pacificazione: le amnistie, a partire da quella di Togliatti, furono gestite in modo tale da garantire l’impunità per molti e l’assoluta continuità dello Stato. Fu un fallimento totale.
Il libro prende in esame tutte le stragi del settore nord occidentale della linea gotica.
Il primo rastrellamento che si concluse con una strage fu quello nell’area attorno al passo del Cerreto, a Sassalbo e soprattutto a Mommio. L’operazione fu condotta il 3, 4 e 5 maggio 1944 dalla 135a Brigata da fortezza tedesca di guarnigione nello spezzino, da altre truppe tedesche e da reparti fascisti della GNR e della Decima Mas, che aveva sede nella nostra città. A Mommio e nella zona circostante furono uccise 21 persone. Il paese fu dato alle fiamme. Aristide Giuseppe Alberini di Magliano raccontò:
“I più tremendi furono i fascisti garfagnini”.
Nel Diario Storico della IV Brigata Apuana Garibaldi si legge:
“Tra i più accaniti nell’opera di persecuzione e di saccheggio è doloroso dover segnalare gli italiani rinnegati, inquadrati nella Milizia Repubblicana”.
Gli abitanti di Mommio furono fatti prigionieri, radunati nel campo di smistamento di Marinella di Sarzana (nella colonia Fiat, poi Olivetti) e poi in molti casi avviati al lavoro forzato in Germania. Qualcuno fu impiegato alla Spezia a recuperare i morti che erano rimasti sotto i bombardamenti.
Prima della guerra a Mommio abitavano 600-700 persone. Poi il paese non si risollevò più. Leggiamo la testimonianza di Adriano Turcolini:
“A gente come noi che siam stati bruciati… non c’è rimasto niente… senza mangiare… c’han fatto tribolare… abbiam risistemato le case… tutto… tutto… Dopo la guerra se ne son fregati i governanti di questi lavori!… Se ne son fregati!”.
I criminali nazisti condannati all’ergastolo per la strage di Mommio non scontarono alcuna pena, perché la Germania non accettò la richiesta di estradizione. I fascisti di carcere ne fecero pochissimo.
“La giustizia negata” si sofferma poi sui grandi massacri successivi.
Il 9 giugno i partigiani costituirono la “libera Repubblica di Forno”, nel territorio di Massa. Il 13 giugno, per rappresaglia, i nazisti della 135a Brigata e i fascisti della Decima Mas, al comando di Umberto Bertozzi, organizzarono la strage: 60 morti. Bertozzi appare la figura più sanguinaria e crudele dell’intero gruppo nazifascista. Se la cavò con soli sei anni di carcere.
Il 17 agosto la banda Ulivi di Carrara fu chiamata da un gruppo di paesani di Bardine di San Terenzo Monti, esasperati per le requisizioni del bestiame da parte delle SS. L’azione provocò 16 caduti tedeschi, un morto tra i partigiani. Il 19 agosto uomini della divisione di Walter Reder e altri reparti SS rastrellarono l’area. I morti furono 159. Le vittime furono legate agli alberi e ai pali di sostegno delle vigne e poi uccise e lasciate a decomporsi nel caldo agostano. I responsabili tedeschi non furono mai estradati.
Il 24 agosto ebbe inizio un rastrellamento dell’intera area apuana, ad opera del gruppo di Reder e di altre truppe tedesche e di un centenario di fascisti della Brigata Nera apuana. Tredici i morti a Guadine, 6 a Castelpoggio, altri nei paesini vicini. Vinca fu sterminata: 143 morti, nella stragrande maggioranza donne, anziani e bambini. Perché Vinca? Nella memoria della comunità, racconta Rossi, la responsabilità ha un nome: Giovanni Bragazzi, sergente della Brigata Nera di Carrara, che aveva sposato una donna di Vinca e da lei si era separato, con molti contrasti. Una sorta di vendetta privata. Undici fascisti carrarini furono condannati all’ergastolo nel 1950, le pene furono ridotte nel 1952. Al resto pensò l’amnistia: Bragazzi fece solo cinque anni di carcere.
Walter Reder fu arrestato nel 1948 in Baviera dagli americani ed estradato in Italia, dove venne processato a Bologna per le stragi di San Terenzo e di Vinca e poi di Sant’Anna di Stazzema e di Marzabotto e condannato all’ergastolo. Scarcerato nel 1985 per volontà del governo Craxi, rientrò in Austria accolto come un eroe. Nel 1986 dichiarò a un settimanale: “Non ho bisogno di giustificarmi di niente!”. Negli atti processuali contro Reder si legge, riguardo a Vinca:
“Il cadavere di una povera vecchia mendicante è stato ritrovato con un palo conficcato nel didietro. Un’altra donna che era in stato di gravidanza assai avanzato, dopo essere stata uccisa fu sventrata ed il feto schiacciato con i piedi. Un’altra donna è stata ritrovata con un palo conficcato nei genitali. A Vinca i bimbi in fascia venivano lanciati in aria e poi fatti segno con arma da fuoco”.
Il 13 settembre l’orrore arrivò a Tenerano, dove furono bruciate vive due famiglie. Il 17 settembre a Bergiola Foscarina, 71 vittime. Nello stesso giorno i circa 160 detenuti del carcere di Massa furono presi in consegna dalle SS: 147 fra loro furono portati sull’argine del torrente Frigido, fucilati e interrati in alcuni crateri provocati da un bombardamento.
In tutti questi casi la violenza fu estrema: una bestiale caccia all’uomo, o meglio alle donne e ai bambini. Le pagine del libro di Rossi sono di una grande tragicità narrativa. Tra le vittime ci furono anche degli spezzini, che erano sfollati in quei luoghi. Così tra i sopravvissuti. Nella memoria i tedeschi sono considerati responsabili al pari dei fascisti, ma le uccisioni più crudeli furono fatte dai fascisti.
Il 10 ottobre 1943 il noto fondista tedesco di politica estera Hans Schwarz Van Berk aveva formulato, in un articolo su Das Reich, il giudizio secondo cui il movimento di resistenza in Italia non aveva alcun futuro.
E invece finì molto diversamente.
A un durissimo prezzo, purtroppo.
Grazie a Daniele Rossi, perché la sua indagine storica ci invita a non dimenticare e a non confondere vittime e carnefici, bene e male.
Giorgio Pagano
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