Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
I due …

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La povertà non è una colpa

a cura di in data 28 Dicembre 2022 – 21:56

Agrigento, Favara, Farm Cultural Park
(2018) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 4 dicembre 2022

Gli ultimi rapporti Istat ci sbattono in faccia dati che solo qualche anno fa sarebbero apparsi inverosimili. Nel nostro Paese i poveri assoluti sono diventati, nel 2021, 5 milioni e mezzo (per la precisione 5.600.000). Le famiglie operaie in povertà assoluta sono il 13,3%, più del doppio del dato indicato dalla “Commissione povertà” nel 2010. Tra le famiglie numerose (con cinque figli) la percentuale sale al livello vertiginoso del 22%. Tra gli stranieri si arriva addirittura al 32,4%.
Quasi la metà si concentra nel Sud e nelle Isole. Ma la povertà riguarda anche le città metropolitane e i comuni sopra i 50.000 abitanti. Anche la Liguria e La Spezia conoscono il fenomeno, sia pure con dati inferiori a quelli nazionali. Vuol dire che il mito industrialista e produttivista del secolo scorso non funziona più. Lo sviluppo in sé non è più la chiave per la soluzione di tutti i problemi sociali e per la diffusione della felicità: non solo perché distrugge l’ambiente ma anche perché aumenta le diseguaglianze e la sofferenza delle persone.
Il rapporto Svimez 2022 sostiene che con la crisi energetica ci saranno 760 mila poveri in più, in aggiunta a quelli che già ci sono. Le spese di riscaldamento e per l’alimentazione sono incomprimibili e l’inflazione colpisce i più poveri. In questo contesto bisogna domandarsi: è giusto tagliare il reddito di cittadinanza?
L’articolo di oggi comincia ad affrontare questo tema, uno dei più divisivi nel nostro Paese. Avversato dal nuovo governo ma anche da buona parte della cosiddetta opposizione, sotto accanito attacco di tanti media, il reddito di cittadinanza viene additato come uno dei mali peggiori che hanno afflitto l’Italia. Perché accade? Perché quasi nessuno legge i diversi lavori di approfondimento prodotti sul tema – dal Comitato di valutazione dello strumento presieduto dalla sociologa Chiara Saraceno alla Raccomandazione dell’Unione europea, fino al rapporto Caritas, che sarà presentato martedì prossimo nella nostra città – che sostengono che, pur migliorabile, lo strumento è giusto e necessario? Perché in Italia la lotta alla povertà non è mai stata una priorità, nemmeno quando la sinistra è stata al governo?
Sostiene lo studioso Isaia Sales:
“I tre momenti della vita in cui si può essere presi dalla paura di non farcela da soli (quando non si può lavorare per l’età, quando ci si ammala o quando non si trova lavoro) non sono stati affrontati allo stesso modo dalle forze politiche… Lo stato sociale italiano, dal secondo dopoguerra in poi, è stato attento a chi va in pensione e a chi si ammala, ma molto meno a chi non dispone di un guadagno per affrontare i bisogni elementari della sua famiglia. Il reddito di cittadinanza, con tutti i suoi limiti, ha coperto una necessità sempre trascurata nel passato dall’insieme della politica italiana, compresa la sinistra”.
Secondo l’idea produttivistica a cui accennavo prima, la disoccupazione era vista come un rifiuto preconcetto del lavoro: “il non lavoro – continua Sales – era visto come un segno di inferiorità morale e umana e non come un momento difficile da affrontare con un sostegno pubblico”. Questa emarginazione degli “improduttivi” è proseguita fino ad oggi, fino a diventare disprezzo. A quell’accusa del divano che ci ha tormentato in questi anni. Tutti scansafatiche, tutti furbetti. In Francia un Presidente presunto socialista (di un partito non a caso pressoché scomparso) i poveri li chiamava “gli sdentati”. Brutta gente, sporca e cattiva.
Appena il 5% degli italiani – spiegano Leonardo Morlino e Francesco Raniolo in “Diseguaglianza e democrazia” – ritiene opportuno l’intervento pubblico per ridurre le diseguaglianze. Siamo ultimi in Europa: la media è il 20,4%, in Svezia arriva al 48,1%. Anni di liberismo hanno fatto svanire la cultura comunista, socialista, cattolico-sociale, lamalfiana… Mentre nessuno o quasi parla più di lotta all’evasione. Il bel condono agli evasori previsto dal nuovo governo fa da ovvio pendant al disprezzo per i poveri.

Agrigento, Favara, Farm Cultural Park
(2018) (foto Giorgio Pagano)

Il credo liberista è stato imposto alle persone, è entrato nella nostra psiche. Il pensiero che scatta in testa alla maggioranza di noi è sempre lo stesso: se uno è povero è colpa sua. Lo Stato fa poco per meritare la nostra fiducia, è vero. Tuttavia, in un sistema di welfare di impianto novecentesco, il vuoto è stato riempito da una misura: il reddito di cittadinanza. I Cinque Stelle, pasticcioni e inesperti quanto si vuole, hanno aiutato gli ultimi: a sopravvivere, non a spassarsela (581 euro in media a persona). Hanno capito che non c’è solo bisogno di “fare”, e che alla mera logica del “fare” bisogna abbinare quella del “curare”: “curare” le ferite delle persone che stanno indietro, il loro dolore, la loro solitudine. Ma ora si vuole spazzare via questo primo segnale in controtendenza, con una assurda guerra ai poveri. Una scelta ingiusta e anche pericolosa, perché rischia di fare esplodere la rabbia sociale. Pensate, invece, se andassero a votare in massa – oggi ci vanno in pochi: affermerebbero la loro esistenza, qualcuno si accorgerebbe di loro. Il panorama politico ne sarebbe sconvolto. L’altra ipotesi è quella di un ritorno al passato, quando il reddito non c’era: a quel “sistema discrezionale, illegale e spesso controllato da criminali, ma con risorse pubbliche in gran parte gestite dall’INPS” di cui scrive Sales. Vi ricordate le false cooperative, le false iscrizioni all’albo dei braccianti e i tanti imbrogli per procurarsi un reddito? Era un sistema clientelare che costava allo Stato più del reddito di cittadinanza, e che prevedeva una intermediazione clientelare o un controllo criminale che sono stati in gran parte debellati: non è una cosa da poco per il Sud.
Giorgia Meloni dice che la soluzione per chi è in grado di lavorare non è il sussidio ma il lavoro. La realtà, però, è più complicata. Il 75% dei poveri senza lavoro ha fatto solo la terza media, a volte nemmeno quella. Ci sono anche i meno giovani. Un impiego vero, specie al Sud, non glielo dà nessuno: troppo poco qualificati. In Italia, anche a Spezia, mancano le specializzazioni che non sono quelle dei percettori del reddito. Queste persone sono povere e non lavorano non per colpa propria ma perché l’attuale mercato del lavoro non è interessato alle loro figure.
In questa rubrica – nell’articolo “Il Sud può salvarsi da sé”, 10 marzo 2019 – ho raccontato la straordinaria esperienza di Favara (Agrigento), dove ho scattato le foto di oggi. I giovani del Sud vogliono “sognare”, non “dormire”. Ma non tutti possono realizzare il loro sogno. Il passaggio da “occupabili” a “occupati” non è automatico: i numeri della disoccupazione sono grandi, la domanda di lavoro, specie nei territori più difficili, è scarsa, i servizi per l’impiego vanno potenziati, il PNRR di Draghi non favorisce la nascita di imprese dove non ci sono. Ci vogliono tempo e investimenti. E nel frattempo queste persone devono mangiare. Quando non c’è lavoro deve esserci assistenza: “assistenza non è una parolaccia, è un segno di civiltà, di solidarietà sociale e di una cittadinanza più coesa”, ha scritto un altro studioso, Gianfranco Viesti. Garantire un minimo vitale a persone che ne hanno bisogno è giusto, oltre che necessario. La Caritas – ne scriverò domenica prossima, anche in riferimento alla realtà spezzina – è indispensabile, ma non possiamo consentire che per milioni di persone resti solo la Caritas. L’arrabattarsi rende ricattabili. E le bolle di rancore potrebbero gonfiarsi.

Post scriptum:
sul tema di oggi rimando agli articoli della rubrica:
Reddito minimo per tutte e per tutti”, 28 ottobre 2012
Cresce la povertà, ecco come combatterla”, 25 dicembre 2016
Reddito di dignità, ecco il nuovo welfare”, 14 gennaio 2018
Reddito di cittadinanza, come sfamare i nuovi poveri”, 13 giugno 2020
Sul tema ho scritto anche: “Un reddito minimo garantito, la sfida ligure alla povertà”, in Primocanale.it, 26 maggio 2015, leggibile in www.associazioneculturalemediterraneo.com

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