Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Gli anni Sessanta a Lerici La rivolta del Sessantotto – Quinta parte

a cura di in data 5 Dicembre 2022 – 07:04

La Spezia, via Chiodo – Manifestazione per lo sciopero per le pensioni – 14 novembre 1968
Foto Archivio Storico della Mediateca Regionale Sergio Fregoso

Gli anni Sessanta a Lerici

LA RIVOLTA DEL SESSANTOTTO
Quinta Parte

Lerici In – 1° Novembre2022

Il Sessantotto veniva da lontano, dai fermenti e dai disagi degli anni Sessanta.
La crisi della scuola e quella della fabbrica portarono alla ribellione degli studenti e degli operai.
Ho raccontato l’incubazione, anche a Lerici, della “rivolta etica” che esplose nel Sessantotto: una lotta antiautoritaria contro autorità a cui non si riconosceva più legittimità, che si intrecciò con la lotta al classismo nella scuola e nella società.
Fu un movimento complesso, con un intreccio tra l’affermarsi della volontà di autogoverno della propria vita e lo sviluppo di un’azione collettiva: l’essere persone nuove e lo stare insieme.
Gli studenti ripresero la parola. L’8 giugno 1961 Valeria, studentessa di Pitelli, scrisse una lettera a un giornale dopo aver visto gli operai del Muggiano sfilare in corteo, il primo a Spezia dopo molti anni. Dalla lettera scaturì il primo incontro nazionale tra studenti e operai.
Le lotte studentesche culminarono nelle occupazioni delle scuole superiori nel dicembre 1968, precedute, a febbraio, da quella del Liceo Scientifico.
Tra i tanti studenti lericini ne cito uno solo, scomparso nel 2016. Si chiamava Roberto Casella:
“Madre casalinga e padre tassista, con ciò che poteva significare quel mestiere in un gioiello della Riviera affacciato sul Golfo dei Poeti. […] Casella aveva una capacità non comune nel cogliere i tipi sociali, le varie figure descritte nel vivo di un dettaglio rivelatore o di un risvolto inatteso, e certo il taxi in questo fu la sua scuola. Dagli anni a Lerici, e da una vecchia zia, asseriva anche di aver mutuato quel che rivendicava come ‘spirito lericino’, un certo modo di porgere tra l’ironico e l’impalpabile canzonatura, viatico per lasciar scivolare osservazioni anche puntute, senza averne l’aria”[1].
E gli operai? Negli anni Sessanta era cominciato il “ritorno in fabbrica” del sindacato: dalla contrattazione “centralizzata” a quella “articolata”, cioè alla costruzione delle rivendicazioni a partire dalle condizioni di lavoro in fabbrica, per la dignità umana degli operai.
Nel 1962 iniziò la lotta per salvare il Muggiano: una difesa epica, che durò tutto il decennio. Nel 1965, nel 1967, nel 1969 si tennero scioperi memorabili. La lotta si intrecciò, spiega l’operaio Dino Grassi, con i temi della condizione operaia:
“Capimmo che la battaglia per il cantiere doveva essere accompagnata da una nuova fase di lotta contro i bassi salari e l’ambiente di lavo­ro nocivo. Lanciammo la vertenza per l’adeguamento dei cottimi – avevamo i cottimi più bassi di tutta l’industria navalmeccanica italiana – e per il risanamento dell’ambiente di lavoro. La nostra parola d’ordine era ‘A uguale lavoro uguale salario’. La vertenza si chiuse nel 1968, fu il preludio dell’Autunno caldo[2]”.
Alla Pertusola le condizioni lavorative erano ancora peggiori. Il 16 settembre 1968 morì l’ennesimo operaio, colpito dal “braccio” di ferro di una macchina. Si chiamava Angelo Mecconi, di San Terenzo. Il figlio Beppe, allora un ragazzo, ha raccontato la tragedia nel romanzo “Trabastia”.

Lerici, piazza Garibaldi ed il Castello – fine anni Sessanta – foto Tiziano Gagliardi
archivio Gagliardi

L’Autunno caldo vide protagonisti gli operai della Pertusola. Racconta Ovidio Iozzelli:
“Quanti scioperi, quanti cortei… In ogni manifestazione portavamo il nostro cane lupo, con il cartello al collo ‘Io ci sono’. E poi avevamo la cassa da morto: la portavamo in spalla, con lo striscione ‘I padroni vogliono mettere l’operaio qui’. Ogni corteo, sempre il cane lupo e sempre la cassa da morto. Facevamo tanto di quel rumore con i bidoni, all’alba… La gente del Muggiano sopportava tutto quel rumore perché ci voleva bene!”[3].
La vita culturale era fervida. Leggiamo Carla Sanguineti, giovanissima insegnante:
“A Pozzuolo, nella Sezione del PCI, fondammo un Circolo culturale […] con i locali padroni di casa, Tito Bianchi e Attilio Campodonico, e inoltre il Parroco don Ruggero Ringressi, sempre tra la gente come uno del popolo – era molto apprezzato il suo giocare a carte nel bar – affabile e disponibile al colloquio; la famosa Primina Toni, Consigliera comunale a Lerici, espressione dei contadini e degli operai di Pozzuolo, attivissima soprattutto per le donne, che parlava l’italiano con qualche imbarazzo ma aveva un portamento signorile che ancora mi commuove nel ricordo; William e Liliana Bettalli, lui camionista e lei casalinga, Delfo e Abrama Freccia che avevano un negozio a San Terenzo, e i giovani Carlo Chiara, Giuseppe Francesconi, Claudio Ceccon, Mirco D’Antoni, i fratelli Nello e Riccardo Tonelli, Adriano Colazzina…”[4].
Nel 1968 nacque a Lerici la Scuola Alberghiera, diretta da Enrico Calzolari. La Calata, la Barcaccia, da Ciccillo, il bar Corona… Era un pullulare di incontri, di iniziative…
Anche la politica locale svoltò: nel 1969, dopo due anni di Giunta DC-PSI-PRI, tornò la Giunta di sinistra PCI-PSI, con in più il PRI. Fu decisivo Pietro Di Sibio, repubblicano, “con uno slancio tipico del suo modo di fare politica”[5], ricorda Alfredo Lupi.
Alla fine degli anni Settanta le idee del Sessantotto furono sconfitte.
Chi scrive, allora dirigente provinciale del PCI, ricorda la straordinaria partecipazione ai funerali di “Madì”: il popolo di Lerici, gli intellettuali, i ragazzi con il sacco a pelo… Dopo l’orazione funebre la bara fu portata a spalle tra due ali di folla, mentre la banda suonava som­messamente “Bandiera rossa”. Intuivo che quel giorno finiva, con “Madì”, l’originalissimo comunismo lericino. Con i funerali di Enrico Berlinguer, nello stesso anno, la perdita fu irreparabile e più generale: la chiusura di una storia.
Oggi resta la consapevolezza delle potenzialità di una parte del passato. Le speranze dei vinti possono ancora essere utili perché nascano le utopie del Ventunesimo secolo.

Giorgio Pagano

Fine. Le precedenti puntate sono state pubblicate nei numeri di luglio, agosto, settembre e ottobre.

[1] “Testa e passione di Roberto Casella”, “Lotta Comunista”, 2016, novembre, n. 555, p. 2.
[2] Giorgio Pagano, Maria Cristina Mirabello, “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, Volume primo, Edizioni Cinque Terre, La Spezia, 2019, p. 413.
[3] Giorgio Pagano, Maria Cristina Mirabello, “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, Volume secondo, Edizioni Cinque Terre, La Spezia, 2021, p. 58.
[4] Giorgio Pagano, Maria Cristina Mirabello, “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, Volume primo, cit., p. 608
[5] Giorgio Pagano, Maria Cristina Mirabello, “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, Volume secondo, cit., pp. 551-552.

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